
Quale importanza rivestiva il mare per l’economia medievale?
Chiaramente, una grande importanza. Non bisogna credere, tuttavia, ch’essa risiedesse unicamente nella costruzione di reti economiche di lunga distanza. Le più recenti proposte storiografiche hanno rivalutato le economie regionali, dotate di caratteri propri; aree, s’intende, profondamente interconnesse, eppure capaci di mantenere in auge le proprie specificità. Con ciò, il mare costituiva, comunque, un mezzo di sostentamento insostituibile, permettendo la ricerca e lo smercio di prodotti di prima necessità, oltre che di lusso.
Quale importanza avevano i porti?
Brecce lungo la costa, zone ibride fra terra e mare, porte d’entrata e d’uscita, aree di scambio di merci e culture, varchi di comunicazione aperti verso il mondo, i porti avevano funzioni molteplici, tra cui spicca, per ovvie ragioni, quella economica. Il porto era, innanzitutto, un «mercatus»: luogo di divisione le merci. Alcuni contesti tentavano a proporsi quali empori esclusivi, tanto verso la costa, quanto verso il rispettivo entroterra, imponendo norme e gabelle sin dove riusciva ad allargarsi la propria giurisdizione. Buona parte delle entrate pubbliche di tali centri era costituita da imposte sulla movimentazione delle merci. L’obiettivo era il controllo dei traffici. È quanto tenta di fare Venezia nell’Adriatico, coinvolgendo mercanti stranieri, salvo ingaggiare una lotta secolare per riportare all’obbedienza le località dalmate, tese continuamente a sottrarsi alla sua influenza. Da questo punto di vista, si può dire che porto e città siano realmente tutt’uno, sorreggendosi a vicenda, nel tentativo di contrastare i concorrenti. La singolarità dei paesaggi portuali nasce in questa maniera.
Quali navi solcavano i mari nel Medioevo?
Nell’arco del millennio medievale, e, in particolar modo, dopo il Mille, col termine navis s’era soliti indicare un particolare tipo d’unità navale utilizzata espressamente per il commercio o per il trasporto di persone e animali. Per indicare genericamente un natante, si faceva uso del termine lignum, in riferimento alla principale materia prima con cui era costruito. Ligna, dunque, erano le naves commerciali: bastimenti a scafo tondo, capienti, dalle linee costruttive tondeggianti; e ligna erano anche tutte quelle unità a scafo sottile, adatte agli spostamenti veloci, utilizzate in prevalenza nelle operazioni belliche, tra cui si segnala, in particolar modo, la galea. Tuttavia, numerosi erano i tipi intermedi: la barca, il palischermo, la gondola – tirrenica o lagunare, corrispondenti a modelli differenti –, il gatto, il lembo, il leudo, lo schiffo, la vacchetta, destinati al piccolo commercio, alla pesca o al trasporto veloce di uomini e armati lungo la costa.
Da chi erano composti gli equipaggi?
Siamo di fronte a uomini senza volto: autentici naufraghi della storia, dimenticati dalla storiografia, che ha preferito di gran lunga concentrarsi sulle professioni artigiane di terraferma o sulle altisonanti figure di mercanti e ammiragli – le quali, certo, hanno lasciato ampio materiale documentario –, senza tenere conto degli ingranaggi del sistema, essenziali per il suo funzionamento. E ciò, nonostante numerose fonti – atti notarili, statuti, libri di bordo – rechino abbondanti notizie circa la loro condizione. La pratica del mare costituiva la principale professione per migliaia di persone, provenienti da realtà culturali differenti ma accomunate dal fatto d’adottare una prassi e una cultura comune. Tale categoria visse probabilmente quella che potrei definire come la più ampia esperienza globalizzante del tardo medioevo, giocata nel continuo scambio di odori, sudori, paure, incoraggiamenti, consigli ed esperienze, fianco a fianco, notte e giorno, ai remi, presso le marinerie più disparate – mediterranee, atlantiche, nord-africane, mamelucche, greco-bizantine, turche, tartare e perfino indiane –, nella mutua condivisione di sistemi di valori, norme, credenze, usi e costumi.
Com’era la vita di bordo?
I ritmi della vita di bordo erano dettati dalle concrete necessità della navigazione. Certo, non si trattava d’una vita facile. Non bisogna credere, a ogni modo, che le condizioni del viaggio fossero improbe. Sia sulle navi che sulle galee, il vitto era solitamente abbondante, benché esistessero differenziazioni tra gli ufficiali e il resto dell’equipaggio, così come tra gli eventuali mercanti presenti a bordo e i comuni passeggeri. Ma, del resto, era possibile scendere a terra frequentemente, vista la predilezione per il cabotaggio. Ciò che si nota è una crescente diversificazione di trattamento a seconda del ceto d’appartenenza, capace d’accomunare navi e galee, legata strettamente alla progressiva differenziazione sociale interna al mondo marittimo di cui s’è detto. Se nell’XI secolo, la distanza tra gli ufficiali e i marinai è percepibile solamente nei ruoli o nella spartizione della preda – meno, nella condivisione del pasto comune e negli alloggiamenti –, fra XIII e XIV secolo, la disparità si fa più evidente.
Quali regole seguiva la navigazione?
La navigazione procedeva generalmente «per costeriam», fermandosi sovente al crepuscolo per ripartire alle prime luci dell’alba, riparandosi dietro qualche promontorio in caso di condizioni meteomarine avverse, stando attenti alle rocce o, per converso, ai bassi fondali, cercando d’evitare le acque note per la presenza dei pirati. Rispetto alle galee, a ogni modo, le navi tonde erano maggiormente propense ad affrontare il mare aperto – «pelagus», nelle fonti –, vista la maggiore capacità di carico e l’elevato bordo libero. La differenza stava, dunque, nel numero di scali intermedi toccati di necessità, che, per queste ultime, paiono diminuire man mano che ci si inoltra nel XV secolo per effetto dell’affinamento degli strumenti nautici, capaci di consentire una più sicura navigazione d’altura, e della costruzione di velieri imponenti, in grado di caricare a bordo ingenti quantitativi di merci. L’introduzione di strumenti nautici come la bussola, la carta nautica e le tavole di martelogio modificheranno il modo di navigare. Un elemento, però, rimarrà imprescindibile: l’esperienza maturata nel tempo.
Cosa stabiliva la legislazione marittima dell’epoca?
A differenza di ciò che comunemente si pensa, la legislazione marittima era assai sviluppata, contemplando un’ampia casistica. Da questo punto di vista, le città di mare italiane sono, senz’altro, degli osservatori privilegiati, disponendo, oltre che di statuti e regolamenti, di fonti notarili in abbondanza – ancorché, distesi diversamente nel tempo e nello spazio –, capaci di fornire informazioni utili per verificare l’applicazione della legislazione vigente. Tra i primi esempi disponibili vi sono gli Ordinamenta et consuetudo maris di Trani, giuntici in alcune copie cinquecentesche in volgare ma datati al 1063 – benché il testo conosciuto contenga evidenti aggiunte posteriori –, validi per l’area del basso Adriatico; coevi alla Tabula de Amalpha, parimenti d’incerta datazione, benché il suo nucleo originario possa essere fatto risalire ai secoli XI e XII. Ciò che colpisce è l’attenzione per il lavoro marittimo, tutelato nell’ottica della comune condivisione dei rischi del viaggio. Ci si dilunga, dunque, sulla gerarchia di bordo, individuando con precisione le mansioni del capitano – cui spettava la verifica delle condizioni della nave, la direzione delle operazioni di stivaggio, la stipulazione dei contratti d’uso e l’eventuale getto in mare delle merci in caso di pericolo, sulla scia della «lex Rhodia de iactu» –, del nocchiero, preposto alla direzione tecnica della navigazione, dello scrivano, responsabile del registro, e del comito, con funzioni di coordinamento dell’equipaggio. Ma ci si preoccupa anche del trattamento economico del marinaio, cui doveva essere corrisposto un adeguato anticipo, garantito anche in caso di malattia o di cattura da parte di pirati e corsari.
Quale importanza strategica rivestiva la guerra sul mare?
Luogo d’incontri e di contaminazioni, il Mediterraneo medievale fu, anche e soprattutto, un luogo d’aspri scontri, i cui protagonisti – dalla marineria saracena a quella bizantina, a quella italica, normanna, catalana – ricorsero a ogni mezzo, lecito o illecito, per affermare una parvenza di talassocrazia e accaparrarsi il monopolio delle maggiori rotte di trasporto. La guerra sul mare possedeva delle intrinseche peculiarità, dovute alla necessità di manovrare macchine complesse secondo tempi e modi opportuni, pena l’incapacità di raggiungere il nemico o l’impossibilità di districarsi dal groviglio di remi che si veniva inevitabilmente a creare nella confusione dello scontro. Certo, nel corso del lungo millennio medievale, le metodiche andarono affinandosi: se, sino ai secoli XI-XII, si sarebbe preferita la guerra anfibia, posteriormente si sarebbe andati più spesso a battaglia, con lo scopo d’interrompere una guerra generalmente lunga e logorante. È solo a partire dal Duecento, a ogni modo, ch’è possibile registrare una differente articolazione del pensiero tattico-strategico. Si pensi, ad esempio, alla comparsa, d’una pianificazione navale strutturata, capace di quantificare i costi della singola impresa in rapporto alla costruzione navale, all’arruolamento d’uomini, alla necessità di pagare loro il soldo o di caricare a bordo il necessario vettovagliamento. Non a caso, è in questo periodo che si svolgeranno le principali battaglie navali dell’intero periodo medievale.
Antonio Musarra è nato a Genova il 22 aprile 1983. Dal 17 giugno 2019 è ricercatore in Storia medievale (tipologia b) presso Sapienza Università di Roma. Il 27 marzo 2018 ha ottenuto l’Abilitazione Scientifica Nazionale alle funzioni di professore di II fascia, settore concorsuale 11/A1 – Storia medievale (art. 16, comma 1, Legge 240/10). Laureato in Storia presso l’Università degli Studi di Genova (2007) e in Scienze Religiose presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Genova-Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale (2012), diplomato in Archivistica, Paleografia e Diplomatica presso l’Archivio di Stato di Genova (2012), ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Scienze Storiche presso l’Università degli Studi di San Marino (2012) con una tesi sulla partecipazione genovese al movimento crociato e sui rapporti politici, economici e culturali tra Genova e la Terrasanta nel XIII secolo. Ahmanson Fellow 2016-2017 presso Villa I Tatti (The Harvard University Center for Italian Renaissance Studies), docente a contratto di Paleografia latina presso il Dipartimento di storia, scienze dell’uomo e della formazione dell’Università degli Studi di Sassari (2017-2018), assegnista di ricerca presso il Dipartimento di eccellenza di Storia, Archeologia, Geografia, Arte, Spettacolo (SAGAS) dell’Università degli Studi di Firenze (2017-2018; 2018-2019), ha all’attivo un’ampia partecipazione a convegni nazionali e internazionali, nel corso dei quali ha presentato i risultati delle proprie ricerche, incentrate sulla storia del Mediterraneo medievale, con particolare riguardo alla storia della crociata e dell’Oriente latino, alla storia della navigazione e della guerra navale, alla storia del viaggio e del pellegrinaggio, alla storia del francescanesimo e del minoritismo e alla storia politica, economica e sociale delle città italiane nel Medioevo. Tra i suoi lavori principali si segnala la corposa monografia dedicata al rapporto tra Genova e la crociata (In partibus Ultramaris. Genova, la crociata e la Terrasanta, secc. XII-XIII, Roma, ISIME, 2017), che ha contribuito a ricentrare il problema delle origini stesse dei comuni italiani nell’ambito della contrapposizione tra papato e impero. Ha dedicato, inoltre, due monografie, pubblicate per il Mulino, alla fine della dominazione latina in Terrasanta (Acri 1291. La caduta degli stati crociati, Bologna, il Mulino, 2017; Il crepuscolo della crociata. L’Occidente e la perdita della Terrasanta, Bologna, il Mulino, 2018), che hanno ricevuto un plauso internazionale. Al contempo, e in tempi ravvicinati, ha fornito due ariose ma puntuali monografie centrate sui rapporti tra Pisa, Genova e Venezia, edite per Laterza (1284. La battaglia della Meloria, Roma-Bari, Laterza, 2018; Il Grifo e il Leone. Genova e Venezia in lotta per il Mediterraneo, Roma-Bari, Laterza, 2020). Numerosi, inoltre, gli interventi di carattere scientifico, tra cui si segnala la cura, presso una sede di prestigio, del volume Multi-ethnic Cities in the Mediterranean World, vol. 1, Cultures and Practices of Coexistence, 13th-17th Centuries, edited by Marco Folin and Antonio Musarra, New York-London, Routledge, 2021 [2020].