“Medio evo del diritto” di Francesco Calasso

Medio evo del diritto, Francesco CalassoAdelphi pubblica il corposo studio del padre del suo fondatore Roberto Calasso, Francesco Calasso, storico del diritto, dal titolo Medio evo del diritto.

Titolo che potrà forse apparire eccessivamente astratto, come ammette l’Autore, dal momento che «Medio evo – si dice – è soltanto un concetto della nostra mente, qualcosa dunque di relativo, e destinato a sparire quando le ragioni che lo generarono si saranno consumate nella nostra coscienza. E diritto – si dice anche – è una cosa che i giuristi cercano ancora di definire»; tuttavia, l’Autore, si giustifica con la considerazione che «quelle astrattezze sono state per secoli gli spiragli attraverso i quali lo spirito umano è riuscito a intravedere qualcosa di concreto: altrimenti, non avremmo potuto nemmeno pensare quelle astrattezze.»

In Come ordinare una biblioteca, Roberto Calasso ricorda i ponderosi tomi del padre e la «parete con testi giuridici fra il Cinquecento e la fine dell’Ottocento, molti dei quali in-folio e per la maggior parte in latino […] libri che per loro natura non si leggono di seguito, ma si consultano e si compulsano. Quanto a me, passavo accanto a quei volumi tutti i giorni della mia infanzia e adolescenza. Perciò ero costretto, almeno visivamente, a ritenerli familiari anche se del tutto ignoti. Eppure so che devo a loro moltissimo, perché di quei libri non potevo non aver letto i dorsi, con quei nomi e quei titoli spesso oscuramente intrecciati. […] Donellus, Cuiacius, Albericus de Rosate, Baldus Ubaldus, Azo, Bartolus a Saxoferrato, Matthaeus Afflictis, Fulgosius, Placentinus, Zabarella: nomi che ero impossibilitato a non vedere ogni giorno, anche mentre giocavo. E che potevano sembrare estranei e ostili, come inevitabilmente appaiono in un certo momento a ogni bambino le cose degli adulti».

Nell’opera, che si rivela una dotta esposizione di storiografia del diritto, viene tratteggiata l’evoluzione della scienza giuridica, dalla caduta dell’Impero con la conseguente crisi del diritto romano sino a «quell’intensificarsi della vita del diritto, che siamo abituati a chiamare rinascimento giuridico» e al «fatto centrale» rappresentato dalla nascita della scuola di Bologna: «tra gli ultimi anni del sec. XI e i primi del seguente noi assistiamo a un importante fenomeno: le prove, che trovammo fin qui sparse per documenti privati e pubblici, nelle collezioni di testi giuridici e nei formulari notarili, di una netta ripresa del diritto romano e del suo sollevarsi sopra tutte le altre leggi accanto alle quali si era trovato a convivere nel sistema della personalità del diritto».

«Non è facile seguire questa evoluzione, che si era lentamente preparata nel crogiolo dell’alto medio evo, e sulle soglie dell’epoca nuova esplode in una fioritura meravigliosa e quasi improvvisa. Essa però ha un punto di riferimento che può essere bene individuato, anche se non si possa, né d’altra parte avrebbe senso, fissarlo con una data: la nascita della scuola di Bologna. È un avvenimento […] che abbiamo già preannunciato, parlando delle scuole episcopali: perché germogliò appunto da questo terreno fecondo, dove il pensiero, non inceppato da regulae, affidato alla sola iniziativa individuale, trova le sue espressioni più libere e spontanee. La scuola di Bologna nasce, tra lo scorcio del sec. XI e gl’inizi del XII, per opera di un semplice maestro di arti liberali, Irnerio, il quale rivela il suo genio con una grande intuizione: dare all’insegnamento del diritto quel posto autonomo che, come si vide, nella enciclopedia del sapere medievale non gli era riconosciuto, e, nel tempo stesso, studiare il diritto giustinianeo nei testi genuini e completi, mettendo da parte epitomi ed estratti di cui l’età precedente s’era compiaciuta.

Dicono i filosofi che i geni fanno sintesi a priori, vale a dire concentrano nella intensità del proprio pensiero sentimenti e idee largamente diffusi nelle coscienze ma ancora immaturi per una estrinsecazione, e li attuano nella creazione concreta, attorno alla quale poi le generazioni lavoreranno per secoli. Questa, la missione storica d’Irnerio. Ed ecco accanto a lui sorgere collaboratori e discepoli: fra questi primeggiano i famosi «quattro dottori»: Bulgaro, Martino, Iacopo ed Ugo; i quali diventano a loro volta maestri, e vedono l’opera loro continuata da altri, non meno grandi giureconsulti: Rogerio e Vacario, il Piacentino e Alberico di Porta Ravennate, Giovanni Bassiano, Pillio da Medicina, Ottone da Pavia, Lotario da Cremona, il beneventano Carlo di Tocco, del sec. XII; e poi ancora, del secolo seguente, Ugolino dei Presbiteri, Azzone, Accursio, Odofredo, per nominare solo i più grandi e noti, e tanti altri infine che nell’opera superstite sono meno rappresentati.

Ma questo non è tutto. Nella stessa Bologna, nel cuore del sec. XII, il monaco Graziano, con un’opera ch’era insieme di compilazione e di dottrina, accolta dai contemporanei con un favore senza precedenti come una rivelazione, apre un’epoca nuova negli studi canonistici, gettando le fondamenta del monumento grandioso della codificazione del diritto della Chiesa. E anche qui, tutta una schiera di giureconsulti dopo di lui lavorano nel medesimo solco, raccogliendo, commentando, sistemando: come Rolando Bandinelli, che fu poi papa col nome di Alessandro III, Rufino, Stefano Tornacense, Bernardo da Pavia, Giovanni Teutonico, Bartolomeo da Brescia, Uguccione da Pisa; e poi ancora la grande triade: Goffredo da Trani, Sinibaldo de’ Fieschi, più tardi pontefice col nome di Innocenzo IV, Enrico da Susa, detto l’Ostiense dal titolo cardinalizio di Ostia; anche qui, per nominare per ora solo i più grandi e noti.

Ora il fatto nuovo che l’opera di questi giureconsulti – civilisti e canonisti– segna, è questo: la nascita di un indirizzo scientifico nello studio del diritto, come coscienza riflessa di quel mondo in fermento che abbiamo descritto. È qui la frattura tra il vecchio mondo culturale e il nuovo. Dalla loro metodologia, che ha la sua espressione più caratteristica nelle glosse al testo legislativo – chiarimenti, cioè, succosi e sintetici, che seguono la lettera della norma positiva passo per passo – essi prendono infatti il nome di glossatori.

Che un indirizzo scientifico sia nato, lo confermerà la stessa crisi profonda che colpì, negli ultimi decenni del sec. XIII, gli studi di diritto, quando la metodologia dei glossatori, avendo ormai dato i suoi frutti, apparirà esaurita e incapace di ulteriori germogli: ma, appunto perché il solco era tracciato, la crisi verrà superata, a cavaliere del Trecento, con un rinnovamento spregiudicato e libero della metodologia che aveva fatto grandi i glossatori: l’esegesi cioè cederà il posto alla costruzione dogmatica e alle esigenze del sistema: e la nuova scuola sarà detta dei commentatori, anche qui dalla forma letteraria più tipica della loro attività, che è il vasto commentario ai testi legislativi. Nell’età aurea di questo nuovo indirizzo sovrastano, tra i civilisti, Cino da Pistoia, Bartolo da Sassoferrato (il più grande giurista, forse, che sia mai vissuto), Baldo degli Ubaldi, Alberico da Rosate, Raniero da Forlì, Luca da Penne, del sec. XIV; e del seguente, Giovanni da Imola, Paolo di Castro, Alessandro Tartagna, Bartolomeo da Saliceto, Giason del Maino, Filippo Decio; fra i canonisti, ricordiamo sopra tutto Giovanni d’Andrea, Pietro d’Ancarano, Francesco Zabarella, del sec. XIV; e del XV, Niccolò Tedeschi, Andrea Barbazza, Giovanni d’Anagni, Mariano Socino, Felino Sandeo. Anche questa è una semplice anticipazione di nomi.

Ma in questa profonda trasformazione di metodologia e di tecnica, una cosa non è cambiata: l’ardore per gli studi di diritto, che appassiona intelletti elevati tra i più grandi che in quest’epoca così ricca di geni emergano; la libera critica, che, pur inchinandosi alla tradizione dei glossatori, ne mette in discussione le premesse e i risultati; gli strumenti dell’indagine, i quali, pure affinandosi nello sforzo innovatore, servono sempre alla libera ricerca del vero.»

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