
Pubblicato nel 1968, pervaso dagli umori della contestazione studentesca e del movimento pacifista, che se ne appropriò quasi immediatamente, Mattatoio n. 5 contende a Comma 22, di Joseph Heller, del quale condivide il medesimo umorismo sulfureo e «assurdista», il vessillo di capolavoro del romanzo di guerra in salsa postmoderna, ma si colloca anche, e organicamente, dentro un corpus di opere che […] fanno di Vonnegut, insieme a Philip K. Dick e a Ray Bradbury, la massima espressione della fantascienza postbellica.
La trama del romanzo è relativamente semplice: al suo centro si staglia Billy Pilgrim, che da autentico pellegrino del contemporaneo – come suggerisce il suo stesso cognome – attraversa un ventaglio di esperienze che mima la traiettoria esistenziale tipica dell’homo americanus: assistente cappellano, costretto a partecipare alla guerra suo malgrado, viene catturato dai tedeschi durante l’offensiva delle Ardenne, nel 1944, e trasportato da prigioniero di guerra prima in Lussemburgo, poi a Dresda, dove viene rinchiuso insieme ai suoi compagni nel mattatoio in disuso che dà il titolo al romanzo. Sopravvissuto al terrificante bombardamento alleato nascondendosi in una grotta utilizzata come cella frigorifera, riemerso tra le macerie di una città distrutta, Billy torna in patria con tutti gli onori e finisce quasi subito ricoverato in una clinica psichiatrica, vittima di stress post-traumatico. Qui incontra Eliot Rosewater, che lo inizia ai romanzi di Kilgore Trout, oscuro autore di fantascienza pulp. Uscito dalla clinica, si sposa quasi subito, e ha due figli. Ed è proprio durante la prima notte di nozze della figlia Barbara che Billy viene catturato da una navicella spaziale aliena e trasportato su un pianeta di nome Tralfamadore, dove incontra una pornostar, a sua volta rapita e data per morta, si innamora di lei e con lei ha un figlio, prima di essere rispedito sulla Terra per rivivere il proprio passato e il futuro che lo attende, ma che, dal punto di vista dei tralfamadoriani, è sempre già avvenuto.
Una trama relativamente semplice, si diceva, ma fondata su due principi portanti, entrambi innovativi e gravidi di conseguenze. In primo luogo, il romanzo si basa su una serie di momenti cristallizzati, senza una relazione cronologica convenzionalmente lineare. Di conseguenza la narrazione salta, in modo apparentemente casuale, da un episodio all’altro della vita di Billy: la sua fuga dai nazisti dopo la battaglia della Bulge; il suo matrimonio borghese fondamentalmente felice a Ilium, New York; la sua prigionia in uno zoo su Tralfamadore e la sua presenza al bombardamento di Dresda. Molte scene sono vissute due volte, o evocate nelle loro conseguenze prima ancora di essere raccontate, con una libertà compositiva e di montaggio che si riaffaccia in molti dei romanzi più innovativi degli ultimi anni […] In secondo luogo, il romanzo alterna, con una disinvoltura, un’eleganza e una leggerezza che lo rendono perfettamente godibile, più generi narrativi, ai quali corrispondono distinti livelli di realtà. Non è mai dato di sapere con certezza se il rapimento alieno avvenga veramente o sia il frutto della devastazione mentale indotta in Billy dallo stress postbellico, o magari della lettura dei romanzi di Kilgore Trout […].
La radice della grandezza di Vonnegut, e ciò che lo rende unico e forse irripetibile nel panorama americano dal secondo dopoguerra a oggi, sta tutta nella dolcezza svagata con la quale dà espressione a una tempra autenticamente swiftiana, e nel sorriso mai sardonico con il quale rivela gli orrori del mondo. E così, si ride senza vergogna, in un romanzo che sa raccontare come pochi l’assurdità e la ferocia della guerra.»
tratto da Americana di Luca Briasco, Minimum Fax