
Ascoltare e leggere Recalcati vuol dire sintonizzarsi sulle frequenze dell’inconscio. La parola di Recalcati sorge dall’enunciazione del suo desiderio inconscio e arriva a toccare le corde interiori più profonde di ciascuno di noi. Lo ascoltiamo e lo leggiamo per rimanere in contatto con quella voce intraducibile che sentiamo pulsare in noi.
Esprime bene questa situazione la psicoanalista Simona Bonifati che, nel suo contributo al libro Destini del desiderio. Contributi per la lettura dell’opera di Massimo Recalcati (2020) curato dalla collega Natascia Ranieri, ne parla così: “Ho avuto la fortuna di conoscere per la prima volta Recalcati all’epoca in cui teneva un Seminario presso la cattedra di Filosofia Morale del Professor Fergnani. Il Recalcati de Il vuoto e il resto, per intenderci. Il primo incontro con la sua etica, il suo modo di incarnarla, è stato lì. […] Quello che colpiva del suo talento non era soltanto la chiarezza espositiva, la lucidità, la logica impeccabile delle sue argomentazioni, l’apertura alla messa in discussione, lo spirito al tempo stesso critico e costruttivo delle sue argomentazioni, ma l’energia unita alla grazia che sprigionava nel fondere teoria e clinica psicoanalitica con un rigore ed una passione che lo rendevano un impareggiabile maestro da lì ad oggi. Solo con il tempo ho potuto nominare tutte queste caratteristiche, che insieme miscelate rendevano letteralmente folgorante ed irrinunciabile l’incontro con lui, una declinazione preziosa del desiderio dell’analista. Un desiderio incarnato e non solo teorizzato”.
Vorrei aggiungere un’ultima considerazione sul “successo di massa” di Recalcati. Il termine “massa” in ambito psicoanalitico viene visto con particolare sospetto perché il “successo di massa” solitamente rimanda al successo dei leader dei regimi totalitari. In quei regimi la folla era rapita dalla figura carismatica del leader che si proponeva come modello a cui identificarsi e in tal modo omogeneizzava le particolarità degli individui. L’effetto “massa” dei leader dei regimi totalitari viene indicato come un fattore negativo perché con l’identificazione e l’omogeneizzazione annullano la soggettivazione e la singolarità di ciascuno.
È vero che Recalcati ha raggiunto un notevole “successo di massa” tanto che oltre a posizionarlo nella categoria degli intellettuali potremmo anche considerarlo un influencer. Però in questo modo la particolarità di Recalcati non verrebbe colta, si tratterebbe solo di una catalogazione superficialmente sociologica. Ricordiamoci allora le parole di Simona Bonifati e riprendiamo la sua sottolineatura sul “desiderio incarnato”: è a questo proposito che ci accorgiamo che il successo di Recalcati può essere compreso solo nell’ottica della testimonianza del desiderio. Senza la testimonianza del desiderio Recalcati produrrebbe un effetto “massa”, con la testimonianza del desiderio invece vediamo che l’elemento centrale del suo successo consiste nel richiamare ciascuno alla soggettivazione del proprio desiderio per estrarne la cifra singolare, ciò che lo rende irrinunciabile e unico.
Quali tappe hanno scandito la biografia di Massimo Recalcati?
La vita di Recalcati è caratterizzata dalla capacità di trasformare gli inciampi in un’occasione per nuovi slanci e aperture. Molti allievi e colleghi hanno sottolineato questo aspetto della sua vita che ritroviamo anche nella biografia intellettuale. Potremmo addirittura dire che per cogliere il vissuto più intimo della biografia di Recalcati occorre studiare le sue opere: scrittura ed esistenza si intrecciano in un unico movimento.
Nelle sue opere Recalcati fa riferimento anche ad alcuni momenti biografici che hanno lasciato una traccia indelebile, una traccia che ha marchiato la sua vocazione. Per esempio, dai libri dedicati alla trasmissione intergenerazionale del desiderio e all’arte sappiamo che da bambino osservava il padre mentre scriveva in bella calligrafia i nastri a corredo delle corone funebri. Il gesto della scrittura si è impresso così come una prima traccia che verrà rilanciata da un altro incontro alle soglie della maturità con la professoressa delle superiori Giulia Terzaghi: da allora Recalcati non ha più smesso di amare lo studio.
Come si è svolta la sua formazione?
Recalcati ha compiuto gli studi filosofici all’Università Statale di Milano dove si è laureato nel 1985 con Franco Fergnani con una tesi intitolata Desir d’être e Todestrieb. Ipotesi per un confronto tra Sartre e Freud. Nell’estate dello stesso anno è avvenuto il suo primo incontro con il testo di Jacques Lacan e la sua vita ne è stata irreversibilmente condizionata: è iniziato il secondo tempo della sua formazione. Nel 1989 si è specializzato presso la Scuola di Psicologia dell’Università di Milano discutendo la tesi, Analisi terminabile ed interminabile. Note sul transfert, con Enzo Funari. Dal 1988 al 2007 ha svolto la sua formazione analitica tra Milano e Parigi.
Attualmente Recalcati continua la sua formazione ogni volta che prende parola: quando scrive, quando insegna e quando interviene pubblicamente come intellettuale. Conosciamo Recalcati come maestro e testimone del nostro tempo, però è importante ricordarsi che ogni volta che prende parola si mette in gioco come ricercatore ed è lui stesso che sta imparando qualcosa di nuovo: ecco una delle ragioni per cui ci accorgiamo di imparare anche se lo ascoltiamo e lo leggiamo su un argomento per cui lo seguiamo da tanto tempo. È in questi casi che ci accorgiamo che il suo percorso di vita, di formazione e di lavoro intellettuale si sviluppa in una traiettoria spiraliforme dove ad ogni giro ripercorre lo stesso punto ma in un movimento in avanti che lo rende nuovo.
A tutto questo va aggiunto che ogni volta che studia, scrive o parla Recalcati compie anche uno sforzo di poesia e non soltanto uno sforzo concettuale.
Quale ruolo riveste la psicoanalisi nella visione di Recalcati?
Per Recalcati la psicoanalisi è la sua vita. Una volta l’amico e collega Aldo Becce mi aveva raccontato che una sera alcuni amici si erano rivolti a Recalcati con una certa premura ricordandogli di non spremersi troppo nel lavoro clinico e intellettuale. Recalcati aveva risposto: “per la psicoanalisi ho dato la vita”.
La psicoanalisi per Recalcati non è soltanto una disciplina o un ambito professionale e culturale. La psicoanalisi è qualcosa di più che attraversa il suo lavoro nella stanza d’analisi ma anche il suo intervento nel dibattito pubblico.
Nella visione di Recalcati la psicoanalisi è una pratica clinica ma è anche una teoria critica del discorso sociale. La versione recalcatiana della psicoanalisi sottolinea che il lavoro di un analista deve essere sempre collegato al rumore di fondo della città e al fluire delle dinamiche sociali. Se si smarrisce il nesso tra inconscio e società si perde l’essenza della pratica psicoanalitica perché è pur vero che il divano dell’analista accoglie un soggetto per volta, ma non esiste un soggetto senza l’Altro e durante una cura psicoanalitica l’inconscio fa ingresso anche come discorso dell’Altro.
Come Recalcati aveva sinteticamente enunciato in una delle sue argomentazioni in difesa dell’inconscio: “il mondo interno è esterno” e l’inconscio non va confuso con la cosiddetta “vita interiore”, anzi l’inconscio “inventato” da Freud non è “pensabile se non in una relazione a ciò che accade nell’Altro”.
Per Recalcati la questione dell’inconscio è già decisiva nel momento in cui ci si occupa del linguaggio della psicoanalisi. Su questo punto Recalcati trova ispirazione nell’opera di Elvio Fachinelli che considera una tra le figure più notevoli e originali della psicoanalisi italiana. Sulla scia di Fachinelli, Recalcati intende superare un certo uso della terminologia psicoanalitica che irrigidendosi in formulazioni chiuse su se stesse impedisce, anziché facilitare, la comprensione dei vissuti e delle situazioni concrete. Si interroga allora Recalcati su quale linguaggio adottare per accogliere il Reale dell’esperienza dell’inconscio.
Se seguiamo il cammino psicoanalitico di Recalcati vediamo che la questione non è quella di adottare un linguaggio più o meno divulgativo, la vera posta in gioco della psicoanalisi contemporanea – per Recalcati “la psicoanalisi o è contemporanea o non esiste” – si mostra nel rapporto che ogni analista stabilisce con la tradizione psicoanalitica e nella soggettivazione dei suoi testi di riferimento, ossia quanta libertà e responsabilità si assume nel soggettivare il proprio rapporto con l’inconscio. Si tratta innanzitutto di un aspetto etico e non soltanto epistemico.
Come interpreta lo psicoanalista milanese il suo ruolo di intellettuale?
Il tratto intellettuale di Recalcati è un movimento che va dalla teoria alla pratica, ma in un senso più ampio rispetto a quello terapeutico, perché si tratta di un passaggio che va dal pensiero clinico all’impegno civile. Non solo come clinico, ma anche come intellettuale lo psicoanalista milanese prova a dare un’impronta al Reale, cercando di trasformare la riproposizione delle forme già definite della Realtà sociale. Perché sa che la Realtà sociale è anche il discorso dell’Altro.
Ora, nella prospettiva recalcatiana intervenire sull’Altro sociale diventa un’ulteriore apertura del campo di azione di uno psicoanalista. Con Recalcati la funzione critica dell’intellettuale vuole andare al di là di una pratica sociosemiotica. Recalcati ha il proposito di portare nel sociale l’interpretazione come un taglio: non un segno che si inserisce nella serie dei segni, ma un segno che introduce un’interruzione della serie, un taglio appunto che fa emergere il Reale che attiva il desiderio.
Recalcati non si esprime pubblicamente soltanto per mettere in evidenza la trama del discorso sociale: c’è un’urgenza vertiginosa nella sua enunciazione che lo espone innanzitutto a farsi agente di una dimensione traumatica. Ed è per tal ragione che il suo ruolo di intellettuale non può essere assorbito né come apocalittico né come integrato.
Nel dare un taglio psicoanalitico al suo ruolo di intellettuale Recalcati mette in evidenza la testimonianza del desiderio. La testimonianza di Recalcati esprime uno stile psicoanalitico che ha destituito lo psicoanalista come figura sacerdotale di un sapere e di una pratica elitaria.
Se l’intellettuale di solito svolge una funzione critica verso il potere e assume una posizione simile a quella del bambino che dice “il re è nudo”, Recalcati rivolge lo stesso atteggiamento verso la figura dello psicoanalista.
Si pensi per un attimo alla fondazione di Jonas e al taglio che viene dato a una versione novecentesca della psicoanalisi. Non per questo si tratta però di recidere i legami con la tradizione, anzi è grazie all’opera di Recalcati che l’insegnamento di Lacan continua ad essere rilevante, ma senza integrarsi mai del tutto nel discorso contemporaneo.
Tutta l’opera di Recalcati è attraversata dalla tensione verso una nuova lingua per la psicoanalisi: in questo movimento rimane legato alla tradizione ma senza alcun “sacrificio dell’intelletto”. Allo stesso tempo esplora le contraddizioni e i punti di cedimento della contemporaneità con l’intento di dare una nuova forma alla ripetizione del Reale. La posizione dello psicoanalista diventa quindi un’occasione per mantenere uno spazio insaturo e un’apertura che de-completa ogni eventuale ipostatizzazione identificatoria, compresa quella degli psicoanalisti.
Recalcati non è una figura consolante perché esorta continuamente a non soffermarsi alle forme già istituite e a mantenere un rapporto vivo tanto con le tradizioni del passato quanto con le sfide dell’avvenire.
Forse può sembrare strano, ma la vitalità che trasmette la testimonianza di Recalcati scaturisce dal confronto con il proprio essere uno scarto rispetto alle possibilità di rappresentazione del simbolico. Nel dire che “il re è nudo”, che non esiste un’unica versione della psicoanalisi o un’unica lettura possibile del testo di Lacan, Recalcati ha messo al tappeto (forcluso) ogni eventuale identificazione alla figura del vero analista che avrebbe accesso a un patrimonio mistico di salvezza e che sarebbe immune alle contaminazioni del discorso sociale contemporaneo.
Cosa ha rappresentato, nel suo cammino psicoanalitico, la creazione di Jonas?
La fondazione di Jonas nel 2003 traduce nel campo istituzionale la nuova apertura teorica formulata da Recalcati in Clinica del vuoto (2002), un testo che allarga l’orizzonte clinico che Recalcati aveva costruito con i suoi precedenti testi sull’anoressia-bulimia. Nell’atto di fondazione di Jonas Recalcati non è stato però soltanto un clinico che creava una serie di Centri di consultazione e cura basati sul modello teorico che aveva elaborato: questo sarebbe stato soltanto un essere dentro il discorso sociale. L’aspirazione di chi oggi lavora come psicoanalista in Jonas, rimanendo fedele all’atto di fondazione, è anche contro il discorso sociale.
Nella pratica psicoanalitica di Jonas la dimensione clinica e terapeutica si intreccia con la funzione critica rispetto al discorso sociale. Ritroviamo questa visione intellettuale di Recalcati anche nelle diverse pubblicazioni degli autori-clinici di Jonas: il sintomo del soggetto, oltre a essere indice di una scelta soggettiva (inconscia), è anche effetto del discorso sociale dominante. E se il discorso sociale assume la struttura del discorso del capitalista allora l’atto clinico di istituire il discorso dell’inconscio diventa in un solo momento non soltanto un intervento individuale, familiare o di gruppo, ma anche un atto politico.
I lettori di Recalcati sanno che il nesso inscindibile tra inconscio e discorso sociale costituisce una delle cifre caratteristiche del suo lavoro, ed è proprio questa una delle ragioni che ha permesso alla sua prospettiva teorico-clinica di diventare così importante per intendere le trasformazioni antropologiche e politiche che stanno avvenendo nella nostra epoca.
È importante ricordarsi che il tratto intellettuale del lavoro di Recalcati non si ferma al movimento di decifrazione del nesso tra inconscio e discorso sociale. Possiamo cogliere la specificità del suo impegno intellettuale solo se osserviamo la traduzione dell’elaborazione teorico-clinica in architettura istituzionale.
La cifra sociale e politica dell’impostazione psicoanalitica di Recalcati è però anche uno degli aspetti che lo espone maggiormente a critiche o commenti dubbiosi: quanto può uno psicoanalista pronunciarsi sui cambiamenti sociali se il proprio campo di intervento si limita al “chiuso” della stanza d’analisi? Se uno psicoanalista non compie delle analisi sociologiche o delle indagini che rispettano i criteri della scienza politica, può autorizzarsi a prendere la parola sulla vita sociale? Se la cosiddetta base empirica delle ricerche psicoanalitiche prende forma dall’ascolto clinico rivolto a singoli soggetti, come può uno psicoanalista formulare delle interpretazioni sulla vita sociale? Recalcati ha mostrato con il suo lavoro che questa possibilità può avvenire, c’è la possibilità di intrecciare il lavoro clinico con l’impegno intellettuale e reperire il nodo tra inconscio e discorso sociale; anzi secondo lo psicoanalista milanese l’avanzamento della clinica psicoanalitica può realizzarsi soltanto se la pratica terapeutica rimane agganciata alla vita della città.
Nel Manifesto di Jonas per la psicoanalisi Recalcati ha scritto che “la psicoanalisi nasce e vive nella città. La missione di Jonas (Centri di clinica psicoanalitica per i nuovi sintomi), sin dal tempo della sua fondazione, è quella di rompere con la tradizione della psicoanalisi come terapia elitaria (perché costosa e distante dai circuiti della salute pubblica) per spalancarla al campo sociale. […] La posta in gioco in una cura psicoanalitica è troppo importante per essere considerata solo una questione individuale. La clinica psicoanalitica è sempre politica nel senso che essa incide sulla vita della città (polis) e non solo su quella soggettiva. L’inconscio non è un luogo solipsistico ma una forza che struttura legami generativi allargando e fertilizzando il campo della vita. Sotto questa luce prendersi cura del desiderio inconscio è già di per sé un progetto culturale. Progetto di apertura contro la chiusura, di inclusione contro l’esclusione, anti-segregativo contro le nuove forme della segregazione ipermoderna”.
Lei è uno dei più brillanti allievi di Recalcati: quale aneddoto esprime meglio, a Suo avviso, la personalità e il genio di Massimo Recalcati?
La ringrazio nel definirmi uno dei più brillanti allievi di Recalcati, la definizione però mi fa sorridere perché in realtà sarebbe più preciso dire che sono una causa persa. E non bisogna stupirsi di ciò, Recalcati ha una vera passione per tutti quei soggetti che sono delle cause perse. Condivido questa condizione con tanti altri allievi, e siamo brillanti perché abbiamo imparato da Recalcati a esprimere fino in fondo la nostra condizione di base.
Possiamo estendere questa osservazione al di là della comunità degli allievi e dei colleghi di Recalcati, perché tutti noi avremo sentito nel nostro intimo, almeno una volta, la sensazione di essere persi: Recalcati parla a quella parte lì e, oltre a farlo con forza desiderante, lo fa anche con un sorriso perché da quella condizione può sorgere e rinascere il nostro slancio vitale più autentico.
Potremmo dire che i vari momenti che esprimono la personalità e il genio di Recalcati sono raffigurati dalla splendida foto di Riccardo Attardi che troviamo nella copertina del libro e forse il contenuto del libro potrebbe essere considerato un commento a quel sorriso.
Oltre alle mie parole vorrei aggiungere altri due aneddoti, raccontati nel libro curato da Natascia Ranieri, che mettono in luce due tipi di “grazie” che prendono vita nella relazione con Recalcati.
Nel primo Mario Giorgetti Fumel ci rende partecipi di un movimento che ci porta verso l’enunciazione di Recalcati: “La giornata era lunga già da un pezzo e la stanchezza molta e forse per questo quel tuo caratteristico accompagnare le parole con la danza delle tue mani restò piuttosto cheto. Ci fu, come sempre, com’è nel tuo stile, il tempo per qualche breve risata in sala. Poi, improvvisamente, evocasti la professoressa Giulia Terzaghi, e le tue parole descrissero un attaccarsi a due mani a quella presenza. Calò per un’istante che sembrò infinito il silenzio nella sala. Avevi smesso di parlare. Sul tuo viso, dalla prima fila si scorse con chiarezza una piccola smorfia per l’impossibilità di riprendere a parlare. Ma la prima fila rimaneva comunque troppo distante per scorgere quella lacrima che con un gesto rapido e spigliato raccogliesti dal tuo volto, evitando a tutti una soggezione maggiore di quella che comunque fu. Lo colsero tutti, quel momento di profonda e genuina umanità, e fu celebrato con un applauso che suonò diverso da tutti quelli che lo avevano preceduto e che lo avrebbero seguito. Fu un abbraccio forse, più che un applauso. […] ‘Grazie’ fu la parola che ti venne maggiormente rivolta. Non complimenti, ma grazie”.
Nel secondo aneddoto Mauro Grimoldi ci racconta delle sue corse al parco con l’amico psicoanalista: “Chiunque lo conosca conosce questa prerogativa che può farlo sembrare talora ruvido. Recalcati non ricorda nulla di futile. Recalcati scolpisce in una memoria di granito solo alcuni elementi specifici, non sempre distinguibili, per il parlante, dal flusso del proprio flatus vocis.
Ciò che è futile, ciò che è mondano, il denaro, i tecnicismi, le piccole miserie della vita quotidiana non riescono a penetrare, non vengono sentiti da Recalcati. È quasi un meccanismo fisiologico, come se la coclea di Recalcati non vibrasse di fronte all’inessenziale. […] Per essere ascoltati da Massimo occorre, il più delle volte, produrre bellezza. E si sa che produrre pensieri belli – nel mio caso, peraltro, non vorrei si dimenticasse, correndo – non è compito mai lieve e qualche volta non è neppure possibile. Il meglio, allora, se si è fuori forma, è ricorrere a una citazione. Nietzsche, Rilke, Pasolini, per chi volesse provare, il più delle volte funzionano.
Ma non è solo questo a funzionare. È, per esempio, anche la fascinazione magnetica per la clinica, l’incontro, l’irripetibile dell’altro che lo stupisce sempre.
E poi, vi è stata anche una volta diversa dalle altre. Vi è stata quella volta in cui, durante la corsa, condivisi con Recalcati qualcosa che aveva che fare con mio padre. Lo ricordo perché al termine della corsa, mi ha detto: grazie”.
Nicolò Terminio, psicoterapeuta e dottore di ricerca, pratica la psicoanalisi nel proprio studio di Torino