
Si potrebbe rispondere in due modi.
Il primo è cronologico: è stato un ragazzo cresciuto in una facoltosa famiglia borghese nella Torino degli anni Venti-Quaranta e formatosi, tra il 1936 e il 1944, presso l’Istituto Sociale, il rinomato collegio subalpino retto dai padri gesuiti. È stato novizio della Compagnia di Gesù nella Cuneo del 1944-1946, a cavallo tra guerra, liberazione e repubblica. È stato studente in filosofia all’Istituto Aloisianum di Gallarate, il vecchio seminario delle missioni estere della Compagnia di Gesù, nel 1946-1949. E ancora, studente in teologia a Chieri nel 1949-1953, diventando prete nel 1952. E poi, ancora, studente al Biblico e alla Gregoriana di Roma e giovane docente di critica testuale a Chieri, prima di essere chiamato al Biblico stesso come docente nel 1962.
Il secondo è tematico. Per dare due elementi, il giovane Martini, prima di essere un uomo della Parola, è stato un uomo dell’ascolto, prima di essere un maestro ha saputo essere un allievo, di tutte le figure ricordate nel libro. O ancora, è stato un uomo capace di abitare senza esenzioni i confini dell’Italia e dell’Europa del suo tempo, un uomo capace di “passaggi di confine” reali e simbolici: quello tra Vaticano I e Vaticano II; o tra vecchia e nuova esegesi biblica; o tra esegesi cattolica e protestante della Bibbia. Forse stanno davvero lì le radici remote del suo sogno di un’Europa dello spirito che non avrebbe mai smesso di sognare.
Come trascorre gli anni della giovinezza a Torino?
Se vogliamo sintetizzare dobbiamo dire: da figlio di una benestante famiglia del vecchio Piemonte borghese e della Compagnia di Gesù. La sua educazione ruota essenzialmente intorno a questi due poli. Ai genitori anzitutto. Dal padre, l’ingegner Leonardo Martini, apprende – più attraverso le cose fatte che quelle dette, come normale allora – soprattutto il senso dell’onestà e del rigore, della responsabilità e del dovere. Aggiungo: anche l’amore per la montagna. Dalla madre Olga Maggia, figlia d’un ricco industriale laniero biellese, donna di preghiera e di carità, succhia invece e soprattutto la fede.
Che vive il suo secondo incontro decisivo all’Istituto Sociale di Torino – è la stessa scuola che hanno frequentato o frequentano Pier Giorgio Frassati, Mario Soldati, Carlo Dionisotti, Aldo Garosci, Cesare Pavese, Edgardo Sogno, Gian Piero Bona, Silvio Golzio, Pietro Citati – dove Martini è colpito, fin dai 10-11 anni, dall’esempio dei padri gesuiti. Il collegio gli piace “per la sua stessa severità, per il significato serio della vita che proponeva” e anche i padri, di cui ammira “la dedizione al lavoro, la grande lealtà, le grandi virtù anche umane”. Ci resta fino alla maturità – compreso uno sfollamento di guerra a Gozzano, sul lago d’Orta – che consegue a diciassette anni, nella Torino sventrata dai bombardamenti, nell’estate 1944.
Quando e come Martini matura la decisione di entrare nella Compagnia di Gesù?
La sua vocazione matura lentamente. La avverte intorno ai 10 anni e poi – poiché gli spiriti vanno “testati” – entra in Compagnia a 17 anni, subito dopo l’esame di maturità. A guidarlo lungo questa strada, di cui sappiamo pochissimo perché nell’estate del 1944 Martini brucia i propri diari personali, sono i suoi padri spirituali. In primis, il gesuita Carlo Brignone, che gli fa la proposta vocazionale. Ma anche altri padri della Compagnia come Giovanni Costa, Carlo Bosco e il rettore del Sociale Angelo Bodrito che, d’intesa più o meno esplicita con la madre di Martini, lascia a quell’embrione di vocazione il tempo di crescere e verificarsi.
In quei sette anni, a nutrire quel seme sono – sappiamo – l’accesso ai sacramenti, gli Esercizi spirituali, i colloqui con i padri spirituali e la frequentazione dell’allora Congregazione mariana. Soprattutto, l’allenamento alla meditazione quotidiana del vangelo. E ancor più l’incontro diretto con il testo biblico: verso i 12 anni, Martini gira per le librerie torinesi alla ricerca d’una Bibbia in traduzione italiana, trovandola – con buona probabilità è l’edizione Treves in due volumi illustrata da Gustavo Dorè, edita nel 1869-1870 – dopo non pochi sforzi. E qualcosa di questo itinerario ci dicono anche le sue letture, i libri conservati nell’archivio di famiglia, probabilmente suggeritigli dai diversi padri spirituali.
Poi arriva il momento dell’ingresso in Compagnia, che per i genitori – come testimoniano le loro lettere ai familiari e agli stessi padri gesuiti – è difficile da accettare. Di certo non solo per suo padre, che aveva sognato per lui un futuro da luminare della medicina.
Come vive il noviziato e gli studi di filosofia e teologia?
È difficile condensare in poche parole questi nove anni di formazione. Ma provandoci, a Cuneo (1944-1946) vive le dure condizioni d’una formazione che avviene in tempo di guerra – il freddo e dunque le malattie, la fame e dunque la questua, le bombe e dunque il rischio della vita sono la norma – ma è già dura per conto suo. Quella formazione “austerissima e liberante”, di cui il ragazzo nelle lettere indirizzate a casa tace i dettagli, Martini la vive come un “lavoro di semplificazione” fatto “sfrondando ogni cosa superflua”. In questa pratica di spoliazione da ogni amor proprio la bussola sono le sei esperienze fondamentali pensate da Ignazio di Loyola: il mese completo di Esercizi Spirituali, quello di servizio in ospedale; quello di pellegrinaggio in povertà, mendicando; o lo svolgimento dei lavori domestici più “umili e bassi”, l’insegnamento “della dottrina cristiana ai fanciulli o ad altre persone incolte”; il predicare, il confessare, o ambedue le cose.
A Gallarate, tra il 1946 e il 1949 – quindi a cavallo delle elezioni-spartiacque del 18 aprile 1948, dove la Compagnia si mobilita in supporto della Democrazia Cristiana – giunge “il tempo della povertà e dell’entusiasmo”. O meglio, viene il tempo degli studi in filosofia. Tomismo rigoroso, in ancor più rigoroso latino: san Tommaso è la bussola. Tuttavia, a Martini la scolastica non interessa più di tanto. Come avrebbe ricordato il suo docente, padre Roberto Busa: era “una bella testa filosofica” che “della filosofia non si è mai innamorato”.
A Chieri (1949-1953), dove nel luglio 1952 Martini è consacrato prete dall’arcivescovo di Torino, il cardinal Fossati, qualcosa si muove. In anni nei quali la libertà di ricerca biblica, e non solo, subisce attacchi pesantissimi da parte di più d’un ambiente curiale, in un ambiente piuttosto chiuso come quello di Chieri Martini ha la fortuna di avere quale professore di Sacra Scrittura padre Silverio Zedda, uomo di grande libertà che lo instrada alla pratica del metodo storico-critico, nei canoni dell’esegesi praticata al biblico di Roma retto fino al 1949 dal cardinal Bea, confessore di Pio XII e poi grande protagonista del Vaticano II. È un incontro fondamentale, che immette il giovane Martini entro una di quelle correnti del rinnovamento ecclesiale – il rinnovamento biblico per l’appunto – che, sotto al volto granitico della chiesa di Pio XI e Pio XII, stanno già preparando i tempi del Concilio del 1962-1965.
Come si sviluppano i suoi studi biblici a Roma?
Non si sviluppano solo a Roma, perché Martini è un padre di formazione europea – Germania in primis – e anche più, considerando il suo primo viaggio in Terra Santa del 1959.
Ma possiamo dire che per otto anni, dal 1954 al 1962, Martini “rimbalza” tra Roma e Chieri, che se lo contendono. Dal 1954 al 1956 studia al Biblico di Roma, poi la provincia torinese – che ha bisogno di averlo come docente a Chieri – lo sposta in Gregoriana per timore che, viste le sue qualità, venga trattenuto a Roma in pianta stabile. Dal 1957 al 1962, dunque, insegna critica testuale alla Facoltà teologica che i gesuiti hanno a Chieri, ma il braccio di ferro con il Biblico continua. Fino a che, nel 1962, il conflitto esegetico in corso a Roma tra l’Istituto Biblico e la Lateranense porta alla sospensione di due padri gesuiti, Lyonnet e Zerwich. Sono i suoi maestri, e Martini stesso – il cui insegnamento è ritenuto da alcuni padri chieresi troppo avanzato – è tra coloro che sono chiamati a sostituirli. È l’inizio di una nuova tappa della sua vita, del “secondo Martini”: nel 1969 sarebbe stato nominato rettore del Biblico e nel 1978 della Gregoriana, per poi, nel 1979, essere chiamato da Giovanni Paolo II alla cattedra di Ambrogio. Ed ecco, a Milano, il “terzo Martini”.
Carlo Maria Martini, oltre che uomo di Chiesa, è stato un fine biblista e un appassionato studioso, punto di riferimento per credenti e non credenti: quali maestri e quali esperienze ne hanno plasmato la vita?
Tutti noi, e dunque anche Martini, siamo un edificio che altri hanno impastato.
Facciamo l’elenco: i suoi genitori, Olga Maggia e Leonardo Martini, che lo generano alla fede e al senso dell’onestà. I padri gesuiti del Sociale, in primo luogo Carlo Brignone, che ne accompagnano i primi passi vocazionali. I professori del Sociale, Carmelo Ferro e Giovanni Bessone, di cui avrebbe ricordato il peso educativo. Il maestro del noviziato di Cuneo, padre Rocco Zola. Padre Roberto Busa, suo professore a Gallarate. Padre Silverio Zedda, suo professore a Chieri. I padri Augustin Bea, Alberto Vaccari, Stanislas Lyonnet, Maximilian Zerwich, suoi maestri al Biblico e giganti degli studi biblici. Renè Arnou e Michel Ledrus, anche loro gesuiti, suoi padri spirituali. Esegeti protestanti come Kurt Aland e Ernst Hänchen.
E chissà quanti altri di cui non conosciamo il nome.
Alberto Guasco è docente di storia contemporanea presso la Link Campus University di Roma. Specialista di storia della chiesa (cfr. Cattolici e fascisti. La Santa Sede e la politica italiana all’alba del regime 1919-1925, Il Mulino 2013), collabora con Radio 3 Rai (format Uomini e Profeti), La7, e le testate “Civiltà Cattolica”, “Jesus”, e “Avvenire”.