
E invece nel 1748 Agnesi pubblica un chiarissimo libro di matematica, il primo al mondo ad essere pubblicato da una donna. In questo libro spiega le nuove tecniche del calcolo infinitesimale a partire dall’algebra elementare, uno sforzo sistematico che nessuno aveva intrapreso fino a quel momento. Lo scopo principale del libro è rendere queste teorie accessibili a tutti coloro che abbiano anche solo una conoscenza di base della matematica. Per questo è scritto in italiano piuttosto che in latino. Si tratta di un libro di grande originalità: Agnesi deve, prima di tutto, inventare un linguaggio in cui parlare di questi nuovi oggetti matematici, e questo linguaggio resterà parte dell’italiano scientifico. Poi deve selezionare e organizzare i materiali, e per fare questo non segue lo stile tipico dell’epoca, ossia presentarli in base alla loro utilità pratica. Li organizza invece su base logica, legando l’algebra, la geometrica analitica, e il calcolo infinitesimale in un’unica grande costruzione concettuale, che Agnesi ritiene bella e interessante a prescindere dalle sue possibili applicazioni. Il libro viene tradotto in francese e in inglese, ed è celebrato da molti matematici dell’epoca per la sua chiarezza e sistematicità.
Quali vicende segnarono la vita di Maria Gaetana?
La vita di Agnesi fu per molti versi eccezionale, segnata da grandi successi e grandi difficoltà. Era una bambina prodigio, abituata ad esibirsi in pubblico fin dall’età di cinque anni: parlava varie lingue, aveva una memoria prodigiosa, e studiava filosofia naturale già prima dei dieci anni. Durante l’adolescenza, e contro l’opinione dei suoi tutori, decide di dedicarsi allo studio della matematica. In quegli anni perde la madre: troppo, anche per una ragazzina determinata come lei. Per circa un anno non troviamo più sue tracce, si sa solo che è “malata” di una malattia misteriosa. Ma si riprende, e verso i vent’anni si lancia nell’impresa di scrivere un libro sulla matematica più avanzata dell’epoca. Il padre, Pietro, dapprima si oppone. Pietro supporta con entusiasmo gli studi e la carriera pubblica della figlia, ma pensa che la matematica non sia adatta a mostrarne in pubblico le capacità intellettuali. Agnesi insiste, minaccia di farsi monaca, e Pietro cede, sostenendo la preparazione e la pubblicazione del libro. Gli anni tra il 1748 e il 1750, subito dopo la pubblicazione, segnano l’apice del successo scientifico di Agnesi. Riceve numerosi riconoscimenti da istituzioni scientifiche come l’Accademia di Francia e da figure di spicco del mondo intellettuale e politico —tra i suoi ammiratori troviamo anche papa Benedetto XIV. Nel 1750 l’università di Bologna le offre una posizione di lettrice onoraria in matematica: un gesto tanto più significativo quanto all’epoca le donne non potevano entrare all’università neanche come studenti.
È chiaro però che Agnesi considera di avere raggiunto il suo obiettivo e vuole concentrare la sua attenzione su questioni urgenti, non più rimandabili. Dedica una parte sempre maggiore del suo tempo all’assistenza di donne e bambine in difficoltà: insegna nelle scuole per i poveri e assiste anziane e malate nell’ospedale della città. Crea anche un piccolo ospedale in un’ala del palazzo di famiglia. Negli anni settanta è nominata direttrice della sezione femminile del Pio Albergo Trivulzio, posizione che terrà sino alla morte, nel 1799. Questa fase della vita di Agnesi non deve essere vista in contrapposizione con la carriera scientifica: fin da adolescente aveva insegnato e prestato assistenza. Il libro stesso è concepito come parte di questo progetto più ampio.
Come si svilupparono gli studi e la passione per la matematica di Maria Gaetana?
Pietro Agnesi scopre presto il talento intellettuale della figlia, e le mette a disposizione i migliori insegnanti privati disponibili. Agnesi studia le lingue, i classici, e la filosofia naturale ma finisce col scegliere la matematica come ambito di studio preferito. Fare matematica, scrive testualmente, la riempie di gioia. L’idea del libro nasce dal fatto che mancavano introduzioni accessibili al calcolo infinitesimale, un’area della matematica che si stava affermando proprio allora in Europa. Lei stessa lo aveva studiato entrando in contatto epistolare con alcuni dei protagonisti della ricerca più avanzata. Nessuno prima di Agnesi aveva studiato il calcolo infinitesimale a Milano, e non vi era nessuna ragione ovvia perché la figlia di un ricco milanese facesse questa scelta. Perché —e per chi— Agnesi scrive il suo libro?
A differenza degli specialisti che stavano sviluppando i formalismi del calcolo, Agnesi non ne vede l’importanza nel momento applicativo. Per lei “fare matematica” ha una valenza educativa fondamentale, è il modo migliore di allenare l’intelletto. E più complesse sono le operazioni richieste, maggiore sarà l’effetto positivo sulla mente degli studenti. Il calcolo infinitesimale è, per Agnesi, la migliore palestra intellettuale che esista. Di più: questo esercizio rende migliore anche la vita spirituale di chi lo pratica. La fede di Agnesi è intensa ma razionale, composta: è convinta che l’intelletto debba avere un ruolo fondamentale nell’indirizzare le pratiche religiose del credente. Allenare l’intelletto significa quindi rafforzare quella religiosità civile e anti-barocca in cui Agnesi crede fermamente.
In quale contesto ideale operò Maria Gaetana Agnesi?
Ci sono vari elementi di contesto che rendono comprensibile come, a metà Settecento, l’opera di una donna matematica possa essere stata considerata legittima e credibile. Ne indico due: la famiglia e il contesto culturale-religioso. Pietro Agnesi è una figura chiave: investe fortemente nella figlia e nella sua carriera, e lo stesso farà con un’altra figlia, una musicista. Possiamo solo speculare sulle motivazioni di Pietro, ma è chiaro che il talento di questa figlia “filosofessa” lo aiuta nella sua strategia di avanzamento sociale. Pietro sta cercando disperatamente di entrare nel patriziato cittadino, e la sua carta migliore sono queste figlie prodigio —i soldi non bastano. Le risorse, economiche e sociali, che permettono ad Agnesi di accedere a una forma di conoscenza solitamente preclusa alle donne sono, per Pietro, importanti investimenti.
Al tempo stesso Agnesi si trova ad operare in un contesto relativamente aperto: è il mondo dell’Illuminismo cattolico di stampo muratoriano, che ha nella chiesa milanese uno dei suoi avamposti. In questa temperie riformista, le istituzioni ecclesiastiche vedono con benevolenza l’incremento della presenza femminile in ambito religioso, caritatevole, e educativo. Le “filosofesse” sono rare ma non impossibili nel mondo dell’Illuminismo cattolico: dopotutto l’antropologia cattolica nega che le capacità intellettuali degli esseri umani possano dipendere dalla loro conformazione corporea.
Quali interrogativi suscita la vicenda di Maria Gaetana Agnesi?
Uno dei motivi per cui è interessante ripercorrere la vicenda di Agnesi è che mostra chiaramente come pregiudizi che paiono originare da epoche remote (le donne sono inadatte allo studio della matematica) sono in realtà creazioni moderne, di cui si può ricostruire la genealogia. Ci sono precisi motivi storici per cui, nel corso del Settecento, le donne e altri “diversi” (molte popolazioni non europee, ad esempio) sono escluse dalla pratica della matematica, in quanto giudicate incapaci di elaborare un pensiero logico e coerente. Questo libro usa la vicenda di Agnesi per dare un esempio concreto delle modalità di questa esclusione.
Questo significa anche, tra le altre cose, che la storia dell’emancipazione femminile nella scienza non è una semplice progressione lineare. Ci furono momenti e luoghi in cui la possibilità di accedere alla conoscenza scientifica furono relativamente più alte per le donne, ad esempio in alcune città dell’Italia settentrionale durante la prima metà del Settecento. Ma queste porte si possono chiudere, questi avanzamenti possono essere abbandonati. Agnesi muore ormai dimenticata nel 1799. I suoi successi scientifici erano legati a un mondo e a possibilità che nel primo Ottocento non esistono più.
Infine la vicenda di Agnesi rivela come il significato del “fare matematica” vari radicalmente in diversi contesti. Una delle cose più difficili per me è stata ricostruire il senso che Agnesi stessa dava alla matematica. Siamo abituati a dare per scontato che tutti abbiano vissuto la matematica come la viviamo noi oggi, e questo ci rende ciechi ai molteplici significati che le sue pratiche possono assumere in momenti storici e in culture diverse dalla nostra. Che la matematica sia univoca e stabile nel suo significato è un’evidente illusione storiografica.
A quali fonti ha attinto per il Suo lavoro?
Le fonti sono state un grande problema. L’esclusione delle donne dal mondo della matematica e la dimenticanza di Agnesi hanno avuto effetti concreti e materiali, come la dispersione della documentazione che la riguardava. Esiste un fondo utilissimo, presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano, che raccoglie alcuni documenti, manoscritti, e lettere di Agnesi. Si tratta comunque di un patrimonio documentario relativamente esiguo se paragonato a quelli riguardanti molti filosofi e scienziati del Settecento. Sono riuscito a ovviare, almeno in parte, a questo problema identificando nuovi tipi di fonti che mi avrebbero potuto aiutare. Ad esempio i documenti archivistici legali e notarili, dove si trovano molte informazioni relative alla gestione di palazzo Agnesi, alle finanze di Pietro, e ai contenuti delle stanze in cui Agnesi viveva e lavorava. È anche grazie a questi documenti che oggi possiamo quasi vedere le coloratissime feste a palazzo in cui si esibiva la “filosofessa”.
Massimo Mazzotti è professore di storia della scienza presso l’Università di California, Berkeley, dove dirige il Center for Science, Technology, Medicine, and Society. La sua ricerca esplora la dimensione sociale e culturale della scienza nell’età moderna, in particolare la matematica e i processi di meccanizzazione e automazione.