Marcello Simoni: «Il libro è una finestra affacciata sul tutto»

Marcello SimoniMarcello Simoni, come definirebbe la Sua passione per i libri: bibliofilia, bibliomania, o come?
La passione si basa sulle emozioni. Ed è appunto questo che mi lega ai libri: le emozioni, divise tra il ricordo di ciò che hanno significato per me fin dall’infanzia e l’importanza che hanno rappresentato, in seguito, per la mia formazione culturale. Senza i libri, il mio universo immaginario sarebbe molto diverso e soprattutto molto più povero, per non parlare della mia sensibilità storico/artistica. Alla passione si unisce quindi la gratitudine, ponendomi esattamente a metà strada tra la bibliofilia e la bibliomania. Tra questi due poli esiste infatti una condizione mentale in cui il libro acquisisce valore non solo per via di ciò che contiene ma anche per quel che rappresenta sul piano simbolico: una finestra affacciata sul tutto.

Quando è nato il Suo amore per i libri?
Quando mi fu regalato Pinocchio, la prima storia che ho letto tutto da solo. Si trattava di una bella edizione illustrata, con grandi pagine e una copertina rigida. All’epoca avevo circa cinque anni. Ho iniziato a leggere e scrivere molto presto, e dovevo essere buffo con quel libro aperto sulle ginocchia che mi nascondeva quasi per intero. Qualche tempo dopo mi fu regalato Ventimila leghe sotto i mari. Che segnò la seconda, fondamentale tappa della mia vita di lettore.

Come si diventa scrittori?
Nello stesso modo in cui una gazzella impara a correre: per necessità. I miei primi racconti scritti risalgono a quando avevo dieci anni. Nessuno mi forzava a scrivere. Mi sentivo naturalmente attratto da questa forma di espressione che, già da allora, mi dava l’idea un’escursione in un universo parallelo. Col tempo questa sensazione si è rafforzata, al punto che quando sto lavorando a un romanzo m’immergo a tal punto nella scrittura da non accorgermi dello scorrere del tempo e di quello che mi accade intorno.

Viene prima la passione per la lettura o quella per la scrittura?
Sono fermamente convinto che le due cose siano intimamente connesse. Oggi, in quanto scrittore, io sono il primo lettore delle cose che scrivo, e se mentre leggo mi accorgo che tutto funziona al meglio ne ricavo un immenso piacere. Ma anche come lettore ho sperimento fin dall’infanzia lo stesso piacere della creazione, avendo plasmato nel mio immaginario contesti descritti da qualcun altro. L’Isola del tesoro, il Barone rampante e Sherlock Holmes sono diventate parti di me dal momento stesso in cui ne ho letto le descrizioni, e questo bagaglio non ha fatto altro che trasformarsi in humus per la mia narrativa.

Le capita mai di fare tsundoku, acquistare cioè compulsivamente libri senza però poi trovare il tempo o la voglia di leggerli?
Ogni volta che entro in una libreria. È più forte di me, non riesco a controllarmi. Mi basta trovarmi davanti a una bella copertina, scorrere qualche parola del primo capitolo, e quel libro è già mio, pur sapendo che avrò pochissimo tempo per leggerlo, dal momento che a casa l’aspettano molti altri fratellini. Senza contare i libri e le bozze ancora da pubblicare spedite dagli editori che mi chiedono strilli e recensioni! Ma per esperienza so che i libri – e i film – sono sempre soldi ben spesi!

I dati Istat evidenziano come oltre il 60% degli italiani non legga: quali a Suo avviso le cause e quali le possibili soluzioni?
Potrei avanzare l’ipotesi di un pericoloso aumento della stupidità accelerato dalla diffusione della tv spazzatura, e che forse prende le mosse da una sorta di involuzione del genere umano, che da homo sapiens sta tornando australopithecus. Cosa che, pur rappresentando una buona materia per scrivere un thriller fantascientifico alla Richard Matheson, onestamente mi spaventa davvero. Scherzi a parte, temo davvero che la causa primaria sia la pigrizia, unita allo spaventevole luogo comune che esce dalla bocca di molti: non ho tempo per leggere. Come dire: non ho tempo per respirare. Spero che prima o poi quei cretini si accorgano che stanno soffocando.

Può dare a chi non legge una ragione per farlo?
Sinceramente no. Sono sempre stato intollerante verso gli idioti. 

È possibile educare alla lettura? Se sì, come?
Partendo dalle famiglie, sempre che non siano composte da persone che non leggono. Affidare il futuro di un potenziale lettore soltanto alla scuola è limitante, oltre che sbagliato. Nel mio caso, è stato proprio dalla famiglia che è nata la mia passione. In primis dai miei genitori, che quand’ero piccolo mi raccontavano le favole e, man mano che crescevo, mi regalavano libri. E poi da un mio zio pittore, che mi prestava quelli del suo studio. Col tempo, grazie a loro, ho potuto definire i miei gusti e capire cosa mi piaceva leggere. E anche cosa mi piaceva scrivere.

Lei è un maestro indiscusso del genere del thriller storico, con titoli che hanno venduto oltre 1 milione di copie, come L’abbazia dei cento delitti: qual è la formula del successo di questo genere?
La formula precisa non la conosco nemmeno io. Posso solo rispondere dicendo di scrivere romanzi che vorrei leggere. E di non smarrire mai il divertimento che sta alla base della scrittura e dell’invenzione di trame ambientate in epoche passate. Benché vincolato a un contratto e a una data di scadenza, un libro non lo si scrive mai per mestiere, ma per amore.

Ne Il mercante di libri maledetti e la saga di Ignazio da Toledo protagonista è l’amore per i libri e le biblioteche: quanto c’è del Simoni bibliotecario nella ricerca dell’Uter ventorum?
C’è molto di me, naturalmente. Ma nella passione libresca che caratterizza il personaggio del Mercante si nasconde anche una provocazione rivolta a un mondo sempre più povero di idee, di consapevolezza e soprattutto di fantasia. Ignazio da Toledo incarna la curiositas, ossia la chiave di volta che rende fratelli gli uomini d’ingegno appartenuti a ogni epoca. E la curiositas non può che nutrirsi di libri. Libri veri, intendo. Libri che non siano scontati. Libri che spingono la gente a riflettere. A svegliarsi dallo stato di sonnambulismo in cui ancora oggi versano le masse.

A quali autori si ispira maggiormente?
Sulla mia scrivania, negli ultimi tempi, c’è sempre un libro di Robert Louis Stevenson, il Furioso dell’Ariosto e il Decameron di Boccaccio. Le altre delle letture cambiano di continuo, sotto forma di pile ammassate in modo informe e precario. Non mancano inoltre disegni, stampe e illustrazioni di libri d’arte. Se devo essere sincero, non mi ispiro a particolari modelli letterari. Nonostante sia stato spesso associato ora a Umberto Eco, ora a Emilio Salgari, ora a Dan Brown, spero che un giorno qualche critico dichiarerà che, più semplicemente, scrivo come Marcello Simoni.

La tecnologia fatta di tablet ed e-book reader insidia il libro cartaceo: quale futuro per i libri?
Il libro, a mio avviso, resterà ancora a lungo in corpore cartaceo. I tablet e gli e-book possono essere comodi, addirittura utili per chi si porta in viaggio molti testi da leggere, ma sono fermamente convinto che, se amiamo un libro, se ne rispettiamo il contenuto, se lo riteniamo importante, allora lo compreremo in formato cartaceo e lo riporremo con orgoglio sugli scaffali della nostra casa.

Quali provvedimenti andrebbero a Suo avviso adottati per favorire la diffusione dei libri e della lettura?
I libri vengono diffusi anche troppo. Librerie, biblioteche e centri commerciali sono zeppi di libri. Per non parlare dei gruppi di lettura, delle community dedicate alla condivisione di particolari gusti letterari, dei Saloni, degli eventi di promozione, degli aperitivi-cene-incontri con gli autori. Credo che mai come in questa epoca ci sia stata una diffusione spropositata dell’oggetto libro. Che però troppo spesso – anzi, forse proprio in conseguenza di questa saturazione degli spazi – viene inteso come un prodotto di mercato e non come un vettore di contenuti. Se quindi vogliamo che la gente ritorni a leggere, si dovrebbe lavorare di più su un altro aspetto, ovvero sull’instillare la consapevolezza che i libri non sono un mero bene di consumo, ma qualcosa di più. Qualcosa che se venisse a mancare nelle nostre vite si porterebbe via con sé la nostra anima, lasciandoci come degli zombie, a vagare senza una meta, senza una coscienza. Senza umanità.

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