
di Bice Mortara Garavelli
Bompiani
«È del 1958 il Traité de l’argumentation di Perelman e Olbrechts-Tyteca, opera decisiva per la rinascita della retorica. Su questa disciplina antica erano piovute, a più riprese, condanne capitali nell’Ottocento e nel Novecento […]. Si voleva colpire la parte deleteria della dottrina e delle pratiche retoriche: una precettistica di cui sfuggivano le ragioni, la ripetizione acritica di schemi e modelli vulgati e volgari, la vuotaggine eretta a sistema; un coacervo di incrostazioni su un monumento reso irriconoscibile.
Decenni di studi neoretorici esimono da giustificazioni preventive della materia. Le cui teorie oggi largamente diffuse interessano le ricerche filosofiche, giuridiche, linguistiche, letterarie, semiotiche, pragmatiche, gli studi sulle tecniche dell’informazione e delle comunicazioni di massa. […]
Con questo trionfale rigoglio e con la dignità scientifica e istituzionale che la retorica ha conquistato stabilmente, coabita, immutato, il senso peggiorativo che la parola si trascina addosso, come effetto di pratiche degradate, nel tempo, a tumorale casistica classificatoria; a precettistica pedantesca e proterva, superata dall’esercizio autentico del parlare e dello scrivere appropriati; a sfoggio di vaniloquio reboante, nella piazza, in tribunale, nei palazzi del potere politico, nelle chiese. Retorica come declamazione, freddezza, eccesso; ostentazione e menzogna; degenerazione dello stile. […]
Due sensi, dunque, e un ventaglio di accezioni e di giudizi differenti in una sola parola. Che a un certo punto della sua storia si è trovata a designare il ‘cancro’, cioè il male per eccellenza di tutte le letterature, di tutti i modi di parlare, che si riducano a gusci vuoti e si votino all’insignificanza. È ben vero che questo male ha ben poco in comune – soltanto il nome – con l’antica arte del discorso persuasivo. Ovvero, con ciò che a tutti capita di fare: “di indagare su qualche tesi e di sostenerla, di difendersi e di accusare”. Se ciò si fa con un metodo preciso, è perché ci si avvale della “facoltà di scoprire in ogni argomento ciò che è in grado di persuadere”: della retorica, appunto, come fu definita da Aristotele.
Aristotele, a cui Perelman si richiama, aveva orientato sull’uditorio le tecniche della persuasione. Il rapporto con gli altri implica conoscenza; il trovare il modo più adatto per farsi capire implica partecipazione, l’adeguamento del discorso al destinatario (tema su cui Perelman ha indagato infaticabilmente) richiede simpatia umana, capacità di mettersi dal punto di vista dell’altro, di sentire il polso della situazione. Richiede anche la capacità di tacere. Nell’odierna civiltà di parole, scritte e pronunciate, di messaggi iconici a cui il discorso fornisce le tracce e i supporti, la comunicazione può essere menzogna e sortilegio. Oggi come agli albori della civiltà. Oggi come allora può pure essere garanzia di libero scambio delle idee, di rispetto per gli altri, che non si vogliono ‘costringere’ ma persuadere (o anche convincere) con la forza del ragionamento: il contrario dell’autoritarismo che non spiega le sue ragioni. In ogni caso è un agire. Tanto meglio se le regole saranno esplicite. […]
Scoprire e spiegare le regole del gioco comunicativo: questa è la funzione conoscitiva e sociale della retorica. Per l’interprete dei messaggi di ogni provenienza e fine è una funzione difensiva, contro le insidie della persuasione occulta […].
Le tre parti del manuale appaiono sproporzionate l’una rispetto all’altra; lo sono anche al loro interno. Si è fatto questo di proposito, o seguendo le esigenze della materia; il che fa lo stesso. La prima parte, se avesse dovuto dare un profilo storico attendibile, e niente di più che un profilo, avrebbe occupato tutto il volume. È stata perciò ridotta alle poche notizie sulla retorica antica che bisognava avere sotto mano per situare in una cornice sia pure sommaria la descrizione del patrimonio classico. È stata aggiunta qualche nota, poco più che un indice, su episodi che hanno caratterizzato la disciplina nelle epoche successive; e si sono scelti quelli che in qualche misura si collegavano ad argomenti dei capitoli successivi. Fino ad arrivare alla teoria dell’argomentazione di Perelman e Olbrechts-Tyteca: la teoria che prima e più d’ogni altra ha dato impulso all’attuale rinascita della retorica.
La seconda parte è la più protratta. Risponde all’intento principale del lavoro e alla preoccupazione maggiore di chi l’ha fatto: dare conto di ciò che è stata la retorica classica e di ciò che ne sopravvive oggi. Per questo alla descrizione del corpus delle nozioni tradizionali sono intercalati riscontri con la situazione odierna. Si è cercato specialmente di mostrare, quando se ne presentava l’occasione, quali siano i temi che, un tempo trattati dalla retorica, oggi sono oggetto di altre discipline, giuridiche o linguistiche. Abnorme rispetto alle rimanenti sezioni del secondo capitolo è lo spazio occupato dalle ‘figure del discorso’ (tropi e figure di parola e di pensiero). Ma un manuale di consultazione deve funzionare anche un po’ come un dizionario, e le figure sono tante (troppe), ma ricorrono nelle odierne analisi di testi di ogni specie (e non solo linguistici). Alcune ricorrono solo eccezionalmente, ma proprio perché sono meno consuete, e perciò meno conosciute, devono trovare posto in una rassegna informativa. […]
La terza parte, come già detto, è un notiziario parziale delle attuali tendenze. Si tratta di campioni certamente rappresentativi, ma limitati a episodi nell’ambito variegato degli studi retorici.»