
- la sonorizzazione delle occlusive intervocaliche: lad. ciavei, nadel, formia ita. capello, natale, formica;
- la conservazione di -s finale nella morfologia nominale (plurale) e verbale (2a persona del singolare e plurale): lad. cian, cians; nuet, nuetes ita. cane, cani, notte, notti; lad. tu ciantes, vos cianteis vs. ita. tu canti, voi cantate;
- la degeminazione delle consonanti geminate: lad. steila, flama, ciacia ita. stella, fiamma, caccia;
- lo sviluppo della u lunga latina in ü: lad.(gaderano): mür, dür, scür ita. muro, duro, scuro;
- la caduta delle vocali finali non accentate eccetto a: lad. fam, giat, videl ita. fame, gatto, vitello;
- il mantenimento dei nessi consonantici con l: lad. plan, fle, blanch, clef, glacia ita. piano, fiato, bianco, chiave, ghiaccio;
- la cosiddetta “dittongazione francese” di e e o chiuse latino volgari in sillaba finale ladina: lat. neif, ajei, crousc, golous ita. neve, aceto, croce, goloso;
- la palatalizzazione di ca e ga in cia e gia: lad. cian, ciaval, vacia, giat, gialina, lungia ita. cane, cavallo, vacca, gatto, gallina, lunga;
- la delabializzazione dei nessi qua e gua in ca e ga: lad. cater, caranta, carsema, lenga ita. quattro, quaranta, quaresima, lingua;
- lo sviluppo di a tonica in sillaba aperta latina e in sillaba finale ladina in e (eccetto davanti a nasale): lad. cianté, nes, nadel ita. cantare, naso, natale;
- lo sviluppo di l preconsonantica in u: lad. aut, ciaut, ouje vs. ita. alto, caldo, volgere;
- trasformazione di ce in posizione interna della parola in –j-: lad. ajei, majarei ita. aceto, macereto;
- la trasformazione (tramite precedente dittongo) fino in ö della o aperta latino volgare: lad.(gaderano): nöt, öre, cör vs. ita notte, olio, cuore;
- la conservazione del dittongo latino au: lad. taur, paussé ita. toro, (ri)posare.
Questi criteri (come anche i tratti morfologici, lessicali e sintattici che si potrebbero aggiungere) presi uno per uno si ritrovano anche in altri idiomi neolatini. Il ladino si distingue però per la “particolar combinazione” di questi elementi, secondo la famosa definizione del glottologo Graziadio Isaia Ascoli che ha dedicato al ladino un famosissimo studio (“Saggi ladini”, in: Archivio Glottologico Italiano 1, 1873). In questo studio, Ascoli dimostra l’appartenenza dei tre tronconi ladini (romancio grigionese, ladino dolomitico e friulano) allo stesso geotipo ladino; si tratta di uno dei testi fondatori della ladinistica (e della dialettologia romanza in senso più lato) come discipline scientifiche.
Il tratto extralinguistico più caratteristico del ladino è che con i suoi circa 32.500 locutori è la più piccola lingua romanza riconosciuta ufficialmente. Inoltre è una delle pochissime lingue di minoranza europee, e soprattutto di dimensioni così ridotte, che riesce a mantenere constante e persino ad aumentare leggermente il numero dei propri locutori. Il ladino è diventato così attrattivo che negli ultimi due-tre decenni si assiste nelle province di Belluno e di Trento ad un fenomeno denominato “neoladinità”: gruppi di locutori (“neoladini”) al di fuori delle vallate ladine storiche, che in un passato recente e più lontano non si sono mai sentiti “ladini”, che invece adesso reclamano di esserlo e di essere riconosciuti in quanto tali.
Una terza caratteristica extralinguistica del ladino brissino-tirolese è che è parlato in un territorio geograficamente contiguo, nelle cinque vallate di Badia, Gardena, Fassa, Fodom/Livinallongo e Ampezzo, ma che amministrativamente è suddiviso in tre province e due regioni diverse. Risulta così sempre più difficile attuare misure di tutela e di conservazione della lingua unitarie.
Come si sono sviluppate glotto- ed etnogenesi del ladino e dei ladini?
Il processo di glottogenesi del ladino è parallelo a quello delle altre lingue neolatine, e può essere riassunto nella maniera seguente: il latino introdotto nelle Alpi occidentali (province romane di Rezia e Norico) si differenzia gradualmente da altre latinità/romanità per caratteristiche proprie, e ulteriormente per l’influsso dei sostrati e superstrati caratteristici per la regione. Per quel che riguarda i sostrati, i più importanti sono il celtico, il venetico (ricostruibile in prima linea mediante toponimi inizianti con f-) e il retico. A quest’ultima lingua si attribuiscono soprattutto una serie di parole prelatine che denominano alcune particolarità geomorfologiche, della flora e della fauna della regione in cui il ladino si è sviluppato, p.es. lad. roa ‘frana’, troi ‘sentiero’, lersc ‘larice’, ciamourc ‘camoscio’, barancl ‘pino mugo’, dascia ‘rami delle conifere’ ecc.
La lingua che funge da principale superstrato per il ladino brissino-tirolese è il bavarese antico. Ad essa si possono fare risalire termini come lad. utia ‘capanna’, arpé ‘ereditare’, blot ‘puro’, lietra ‘scala a pioli’, slef ‘labbro’, jafa ‘sapone’ etc.
Un fattore determinante è l’inclusione del mondo ladino a partire dal VI secolo (presenza di un conte baiuvaro a Bolzano) e definitivamente dall’VIII secolo dopo Cristo in unità politiche, amministrative e ecclesiastiche tedesche. Il ladino è dunque una lingua romanza orientata verso nord. Il fatto di essere inclusa come lingua neolatina in un contesto germanico ha plasmato il ladino dandogli le sue caratteristiche più distintive: mantenimento dei criteri “galloromanzi” (sepolti invece nell’Italia settentrionale di fronte all’avanzamento dell’italiano di tipo centrale) e conservazione/sviluppo di strutture autonome sostenute dalla vicinanza del tedesco (come la sintassi con il verbo secondo mantenuto; oppure le numerose costruzioni verbo+avverbio del tipo dé tres ‘trasmettere’, fé fora ‘mettersi d’accordo’; oppure significati come ora ‘ora, orologio’, roda ‘ruota, bicicletta’, audì ‘sentire, [fare] come si deve) dove il secondo senso in ladino risale all’esempio delle rispettive parole tedesche Uhr, Rad, [ge]hören che hanno entrambi i significati.
La etnogenesi dei ladini avviene con un certo ritardo rispetto a quella di altri popoli romanzi, in quanto l’esiguità della popolazione della regione dolomitica (per il medioevo-prima era moderna si può ricostruire una popolazione di ca. 15.-20.000 anime) e la mancanza di strutture politiche e centri culturali propri (mancavano nell’area ladina corti feudali oppure monasteri) hanno ritardato questo processo. Ciò nonostante, la popolazione ladina arriva a formare un sentimento di appartenenza a una comunità culturale e linguistica specifica, nonché un senso di alterità verso le comunità italiane limitrofe meridionali, che a partire dagli inizi del Novecento si manifestano in maniera sempre più concreta. Già nel tardo medioevo le comunità ladine reclamano dal vescovo di Bressanone l’invio di sacerdoti che capiscano il ladino, e in pieno periodo napoleoniche i sindaci e i giudici delle vallate di Badia e Gardena asseriscono di non parlare l’italiano, ma una lingua a se stante, il ladino. Tutto questo invece non è avvenuto nel caso delle popolazioni cadorine e agordine che hanno fatto parte della Repubblica di Venezia.
Quali vicende hanno segnato la storia del ladino?
In Val di Fassa circolava un adagio secondo il quale nella storia dei ladini ci sarebbero stati soltanto due avvenimenti importanti: il Concilio di Trento che ha cacciato le streghe (la Val di Fassa ha avuto più delle altre vallate ladine processi per stregoneria) e la Prima Guerra mondiale che ha fatto arrivare gli italiani (dopo che i ladini erano stati integrati per almeno 12 secoli in unità politiche e ecclesiastiche tedesche).
Dal punto di vista linguistico le date più importanti sono sicuramente:
- il 15 avanti Cristo: data della conquista romana della regione e presupposto per la sua successiva latinizzazione e romanizzazione;
- il 774-798 dopo Cristo: integrazione della regione nel regno di Carlo Magno e nella provincia metropolitana di Salisburgo;
- 1363: passaggio delle vallate ladine (eccetto Ampezzo, all’epoca ancora sotto il patriarcato di Aquileia) con il Tirolo all’Austria;
- 1806-1813: parentesi napoleonica (bavarese) per l’area ladina;
- 1914-1918: Prima Guerra mondiale con il conseguente passaggio all’Italia; tripartizione dell’area ladina voluta dal fascismo;
- 1948: attribuzione di un’autonomia alla regione Trentino-Alto Adige e alle province di Bolzano e di Trento.
Tutti questi avvenimenti hanno avuto delle ripercussioni dirette e indirette sulla lingua ladina stessa: di carattere prettamente linguistico quelli più antichi, più di tipo sociolinguistico i più recenti.
Di quali idiomi si compone il ladino?
Il ladino in senso lato è rappresentato dal romancio grigionese, dal ladino brissino-tirolese e dal friulano. Il ladino brissino-tirolese a sua volta è composto dalle varietà parlate e scritte nelle cinque valli dolomitiche di Badia, Gardena, Fassa, Fodom/Livinallongo e Ampezzo. Ognuna di queste vallate ha un idioma scritto normato, impiegato (dove previsto) nelle scuole, nell’amministrazione e nei media:
- il ladino scritto della Val Badia,
- il ladino gardenese,
- il ladino fassano,
- il ladino livinallese e
- il ladino ampezzano.
- Per unificare queste cinque varietà è stata proposta a partire dal 1998 la lingua scritta ladin dolomitan, che però finora non ha avuto un riconoscimento ufficiale.
A livello di varianti locali, la differenza è molto più marcata: in Val Badia si possono tuttora individuare il marebbano, il ladino di Rina, il ladino della Val Badia centrale (base della koinè valliva della Val Badia), il ladino di La Valle, il badiotto, il ladino di Corvara e quello di Colfosco; in Val di Fassa il ladino dell’alta valle, chiamato cazet (base della koinè valliva della Val di Fassa), quello della bassa valle, chiamato brach, la variante di Soraga e il ladino di Moena; a Livinallongo il ladino fodom e il ladino di Colle Santa Lucia; mentre le vallate di Gardena e di Ampezzo sono dialettalmente compatte. Già nel 1833 è stato fatto, per opera del sacerdote Micurà de Rü/Nikolaus Bacher (1789-1849) un primo tentativo di creare di una koinè scritta ladina sovralocale. La grammatica che conteneva la descrizione di questa lingua scritta per varie ragioni è rimasta manoscritto fino al 1995 e non ha potuto esercitare l’influenza che avrebbe sicuramente avuto se fosse stata stampata. Basti pensare che nel 1869 la costituzione dell’Impero Austriaco (Cisleitania) ha riconosciuto una serie di diritti alle nazionalità sulla base della presenza di una lingua scritta; riconoscimento del quale i ladini non hanno potuto usufruire.
Che nesso esiste tra coscienza linguistica e identità ladina?
Il nesso è molto stretto, in quanto solo dove si è storicamente sviluppata una coscienza linguistica autonoma – le cinque vallate brissino-tirolesi appena nominate di Badia, Gardena, Fassa, Fodom/Livinallongo e Ampezzo – si è sviluppato un sentimento storico di identità ladina, che poi si è manifestato in aspirazioni culturali e politiche comuni. Diversamente, nelle aree “neoladine” (Cadore, Agordino, Valli di Non e di Sole) un sentimento storico di identità ladina non è esistito (il glottonimo ladino stesso lì è di matrice dotta, in quanto la parola in quelle varietà ha assunto da tempo il significato di ‘agile, facile, veloce’ come nel resto dell’Italia settentrionale) e si è sviluppato, semmai, solo negli ultimi decenni e per vie differenti da quelle percorse dalle varietà ladine brissino-tirolesi.
Quali sono le opere e gli autori più significativi della letteratura ladina?
La letteratura ladina (intesa nell’accezione più modesta di “uso scritto del ladino con ambizione estetica”) è un fenomeno che si sviluppa a partire dal primo Novecento. Questo però riguarda l’uso scritto del ladino. I ladini invece avevano dei miti (le note leggende dei Monti Pallidi e del Regno dei Fanes) che sono molto più antichi e che sono stati tramandati di generazione in generazione a livello orale, prima di offuscarsi sotto l’impeto illuminista dell’Ottocento al punto che il famoso raccoglitore delle leggende ladine, il giornalista bolzanino Karl Felix Wolff (1879-1966), le udì e le poté documentare soltanto in modo frammentario.
Il primo impiego di alcune parole e semi-frasi in ladino per scopi letterari è documentato in due poesie plurilingue del menestrello tardomedievale Oswald von Wolkenstein (1377-1445), ma le condizioni economiche e culturali delle vallate ladine fino a un tempo recente non hanno mai permesso a un autore ladino di “vivere” (inteso anche in senso artistico) di letteratura ladina. Non è un caso che autori ladini come Luis Trenker (1892-1990) o Roberta Dapunt (1970-) abbiano raggiunto i loro maggiori successi letterari utilizzando il tedesco il primo e l’italiano la seconda. Una prima fioritura della letteratura ladina si può constatare nell’ultimo quarto del Ottocento ed è collegata a nomi come Angelo Trebo (1862-1888), Giosef Brunel (1826-1892), Janmatî Declara (1815-1884) e Jan Batista Alton (1845-1900). Specialmente l’opera di Angelo Trebo, il primo autore ladino a staccarsi dalla mera poesia d’occasione, è caratterizzata da riflessi tardoromantici di matrice tedesca che caratterizzano bene il contesto culturale della Ladinia di allora.
Una seconda fioritura si può constatare per la seconda metà del Novecento per opera di autori come Max Tosi (1913-1988), Luciano Jellici (1928-2006), Frida Piazza (1922-2011), Felix Dapoz (1938-). Per la storia della letteratura ladina esiste un’antologia dettagliata: Bernardi, Rut/Videsott, Paul: Geschichte der ladinischen Literatur. Ein bio-bibliografisches Autorenkompendium von den Anfängen des ladinischen Schrifttums bis zum Literaturschaffen des frühen 21. Jahrhunderts (2012). Bd. I: 1800-1945: Gröden, Gadertal, Fassa, Buchenstein und Ampezzo. Bd. II/1: Ab 1945: Gröden und Gadertal. Bd. II/2: Ab 1945: Fassa, Buchenstein und Ampezzo. Bozen: Bolzano/Bozen University Press (2013; 22014) 1502 S. [Scripta Ladina Brixinensia, 3]
I critici sono unanimi nell’attestare alla letteratura ladina attuale un livello di buona letteratura regionale, che non deve rifuggire il confronto con le letterature regionali tedesche e italiane del Trentino-Alto Adige.
Come si esplica la tutela istituzionale del ladino?
Essendo l’area ladina tripartita in tre province e due regioni diverse, delle quali alcune autonome (Bolzano, Trento, Trentino-Alto Adige) e le restanti a statuto normale (Belluno, Veneto), la tutela istituzionale del ladino differisce in base all’appartenenza amministrativa.
La prima norma giuridica espressamente varata a favore del ladino è stata, in attuazione dell’articolo 6 della Costituzione della Repubblica italiana (La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche), l’articolo 87 del primo Statuto di Autonomia del Trentino-Alto Adige: È garantito l’insegnamento del ladino nelle scuole elementari ove esso è parlato. Le provincie e i comuni devono altresì rispettare la toponomastica, la cultura e le tradizioni delle popolazioni ladine.
Questo articolo ebbe però attuazione soltanto nelle valli altoatesine di Badia e Gardena, con l’istituzione della cosiddetta “scuola paritetica”, che oltre all’uso paritetico dell’italiano e del tedesco come lingue di insegnamento prevede l’insegnamento obbligatorio di due ore settimanali di lingua ladina. La norma specifica, resa di rango costituzionale con l’articolo 19 del secondo Statuto di Autonomia del 1972, recita:
La lingua ladina è usata nelle scuole materne ed è insegnata nelle scuole elementari delle località ladine. Tale lingua è altresì usata quale strumento di insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado delle località stesse. In tali scuole l’insegnamento è impartito su base paritetica di ore e di esito finale, in italiano e tedesco. Nel frattempo il ladino è stato introdotto come materia obbligatoria anche in Val di Fassa (1988), mentre a Livinallongo e Ampezzo resta facoltativa secondo le norme dell’art. 4 della legge 482/1999.
Un’altra disposizione fondamentale per la tutela del ladino è stata la sua promozione a lingua amministrativa in Alto Adige nel 1989 e nella Val di Fassa nel 1993. L’introduzione come lingua amministrativa ha reso necessaria una consistente elaborazione del lessico ladino, materializzata nella redazione dei grandi dizionari d’uso di tipo moderno per i singoli idiomi scritti vallivi. Purtroppo, anche nel caso dell’uso amministrativo del ladino, le disposizioni valevoli per Livinallongo e Ampezzo divergono sostanzialmente da quelle molto più elaborate in vigore in Val Badia, Gardena e Fassa.
Che diffusione ha il ladino nei mass media, in internet e nei social network?
Già in epoca austro-ungarica sono stati intrapresi due tentativi per pubblicare dei giornali ladini, entrambi però falliti dopo pochi numeri per problemi vari, primi tra tutti la mancanza di finanziamenti adeguati e le difficoltà di stampare un giornale in numerose varianti ladine allora non ancora pienamente normate a livello ortografico.
Dopo l’intervallo tra le due guerre, che ha azzerato ogni sforzo per la promozione della lingua e cultura ladina, le attività riprendono nel 1946 nel contesto della questione dell’Alto Adige, la cui sorte definitiva (rimanenza in Italia, ma con l’assicurazione di una ampia autonomia per la popolazione tedesca – i ladini non sono stati nominati in questo accordo) viene sancita dal Trattato De Gasperi-Gruber (“Trattato di Parigi”) del 5 settembre 1946. Il 4 aprile 1946 viene trasmessa la prima trasmissione radio in ladino sui canali della RAI di Bolzano. Durante l’estate 1946 si pubblicano 11 numeri del settimanale “Zent ladina Dolomites” e il 23 agosto 1946 esce il primo numero (rimasto unico) del giornale “’L popul ladin”. Dopo questi tentativi ancora una volta rimasti effimeri, la pubblicistica ladina riceve continuità nel 1949 con la fondazione del giornale “Nos Ladins”, sostituito nel 1972 dall’attuale settimanale “La Usc di Ladins”. Le trasmissioni radio regolari della RAI di Bolzano iniziano nel 1955 e sono state gradualmente ampliate al palinsesto attuale che prevede 352 ore di trasmissioni all’anno. Dal 1988 esistono anche i programmi televisivi in ladino della RAI di Bolzano nella misura di 100 ore di trasmissioni giornalistiche e culturali all’anno.
Negli ultimi anni il ladino ha trovato sempre maggiore spazio anche in internet e sui social media. Gli studi dimostrano che proprio in questi settori il ladino è più utilizzato di quanto ci si potesse aspettare partendo dal suo status di lingua di minoranza.
Quali aspetti sociolinguistici caratterizzano il plurilinguismo dei ladini?
Gli aspetti più rilevanti sono l’alto numero di lingue e varietà che contribuiscono al plurilinguismo dei ladini e la qualità relativamente alta delle competenze linguistiche che i ladini dimostrano di avere. Un ladino “medio” della provincia di Bolzano parla la propria varietà di ladino, ha competenze nei dialetti italiani e tedeschi limitrofi, nonché nelle lingue standard italiano, tedesco e inglese (tutte insegnate a scuola). Inoltre, sa scrivere il proprio idioma ladino di vallata (raramente anche la lingua scritta intervalliva ladin dolomitan) e le lingue standard italiano, tedesco e inglese. Gli studi più recenti sulle competenze linguistiche dimostrano che il livello di competenza dei ladini nell’italiano e tedesco si avvicina a quello dei locutori L1 di queste due lingue, mentre le competenze dei ladini nell’italiano e tedesco come L2 superano generalmente di molto le competenze dell’italiano e tedesco come L2 riscontrabili rispettivamente tra i tedeschi e italiani dell’Alto Adige.
Paul Videsott (1971) è professore ordinario di Filologia Romanza presso la Facoltà di Scienze della Formazione della Libera Università di Bolzano, dove insegna dal 2006 e della quale dal 2017 è Preside. È direttore scientifico dell’Istituto Sudtirolese dei Gruppi Etnici (Bolzano) e vicepresidente della commissione culturale dell’Istituto Culturale Ladino “Majon di Fascegn” (Vigo di Fassa). Si è formato presso le Università di Innsbruck (Austria) e di Eichstätt (Germania) (PhD 1999, abilitazione 2004) e ha lavorato presso le università di Innsbruck, Trento, Salisburgo, Monaco di Baviera, École des Chartes di Parigi, Nancy, Montréal. I suoi interessi di ricerca vertono sulla linguistica storica italiana, francese e ladina, toponomastica e dialettologia alpina, scriptologia e scriptometria e linguistica dei corpora.