
La catalogazione è molto importante, anche oggi, perché solo tramite il catalogo le persone possono trovare quel che c’è nel patrimonio delle biblioteche.
È molto importante la catalogazione condivisa a livello nazionale, nella rete del Servizio Bibliotecario Nazionale (SBN), perché spesso le persone hanno bisogno di un libro e possono scoprire lì in quali biblioteche si trova, magari nella loro città, in una biblioteca comodamente accessibile. Invece, purtroppo ci sono ancora tante biblioteche che non inseriscono i libri che possiedono nell’Indice del Servizio Bibliotecario Nazionale.
Anche nella singola biblioteca, solo una piccola parte dei libri che ci sono si può vedere direttamente sugli scaffali, a libero accesso, e non sempre è facile trovare, senza il catalogo, dove stiano, sugli scaffali, l’argomento, l’autore o l’opera che ci interessano.
Una cosa che molti non sanno è che una parte notevole del patrimonio delle biblioteche (in quelle più grandi, spesso la metà o anche più della metà) non è ancora registrata nei cataloghi che vediamo in rete, ma solo in vecchi cataloghi a schede, o addirittura in cataloghi manoscritti, o non è catalogata affatto.
A quali principi si ispira la catalogazione e quali metodi adotta?
Dei principi che devono ispirare la catalogazione si è cominciato a discutere esplicitamente a metà dell’Ottocento e poi nel Novecento, soprattutto con la grande Conferenza internazionale sui principi di catalogazione organizzata a Parigi dall’Unesco nel 1961.
La conclusione più importante a cui si è arrivati, già allora, è che i cataloghi delle biblioteche non servono solo a vedere se un certo libro c’è o no, compito tutto sommato abbastanza facile soprattutto con la ricerca in un database informatico, ma quali edizioni esistono di una certa opera (anche con titoli diversi, in lingue diverse, ecc.), quali opere di un certo autore (anche se firmate o pubblicate in modi diversi: ad esempio, per autori come Solženicyn o Čajkovskij sono state usate tantissime forme diverse), quali opere che trattino un particolare argomento (anche usando espressioni diverse, e in diverse lingue).
Il metodo, quindi, è in sostanza quello di registrare fedelmente, rigorosamente, quello che compare in ciascun libro (o disco, o qualsiasi altro materiale di biblioteca), ma nello stesso tempo collegare tutte queste forme a quella che viene scelta per identificare in modo univoco una persona, un ente o un gruppo, un’opera, un argomento. Bisogna anche, insieme, distinguere persone o cose diverse con lo stesso nome: ad esempio, in questo momento l’Indice SBN distingue ben diciotto autrici diverse che si chiamato tutte Paola Rossi. E si capisce che non sia un lavoro facile.
Come si sono evolute le norme catalografiche in ambito descrittivo e semantico?
Le norme di catalogazione, dopo il primo esempio costituito dalle 91 Regole approvate per la Biblioteca del British Museum nel 1839, sono diventate via via più dettagliate e complesse.
Dalla fine dell’Ottocento si è cercato di uniformarle a livello nazionale – le prime regole di catalogazione ufficiali in Italia furono approvate nel 1921 da Benedetto Croce, quando era ministro della pubblica istruzione – e poi di concordare a livello internazionale i criteri generali più importanti (e che contano di più per il pubblico).
Purtroppo il prevalere di preoccupazioni gestionali, soprattutto sulla riduzione dei costi (le biblioteche sono per lo più istituzioni pubbliche, finanziate con le entrate fiscali, dato che i loro servizi sono generalmente gratuiti), ha reso difficile, a partire dagli anni Ottanta del Novecento, far progredire la teoria catalografica e la collaborazione internazionale.
L’Italia, comunque, è uno dei pochissimi paesi che dispone, dal 2009, di una normativa di catalogazione interamente nuova, aggiornata sia all’elaborazione teorica internazionale sia alla varietà delle pubblicazioni di oggi (non solo libri ma anche dischi, video, ebook, ecc.), le Regole italiane di catalogazione (REICAT).
Quali problemi pone la loro applicazione?
Le norme di catalogazione, a tutti i livelli – dalla descrizione bibliografica alla classificazione – sono piuttosto difficili da apprendere e da applicare, contrariamente a quanto molti si aspettano. Questo non per il piacere di complicare le cose semplici, ma perché sono molto complicati i fenomeni culturali di cui la catalogazione deve occuparsi. Faccio solo due esempi molto semplici.
In Italia siamo abituati che tutti abbiamo un nome e un cognome, li usiamo generalmente in questo ordine (nel discorso, nei testi scritti, e anche sui frontespizi dei libri, diciamo “Alessandro Manzoni”) e poi quando ci occorre un ordine alfabetico preferiamo il cognome come primo elemento (“Manzoni, Alessandro”), per tante ottime ragioni.
Ma nei cataloghi bisogna registrare autori di tutti i tempi e di tutte le culture, comprese quelle che non hanno cognomi, o che trattano il cognome diversamente da noi (anche oggi, ad esempio in Islanda, oltre che in vari paesi orientali). Il catalogatore deve trattare ogni nome nella maniera corretta per la cultura a cui appartiene, o apparteneva.
Secondo esempio: è evidente che l’argomento di molti libri è difficile da definire e da formulare, e ancora più evidente è che ogni argomento ha relazioni, e diciamo anche sovrapposizioni, con diversi altri. Gli argomenti dei libri non sono mattoncini di Lego tutti belli squadrati e separati. I sistemi di classificazione, come la Classificazione Dewey, hanno scelto come collocare vicini (o lontani) argomenti simili o connessi, ma per il catalogatore è spesso difficile valutare in quale punto è meglio collocare un certo libro, insieme a quali altri libri, oppure come è meglio formulare un argomento per la ricerca per soggetto.
Naturalmente questo non vuol dire che, essendo un lavoro difficile, è meglio rinunciarci, o farlo male. Tanti lavori necessari sono difficili, richiedono competenza ed esperienza. Restando in campi vicini al nostro, compilare una buona enciclopedia o un buon vocabolario, o anche tradurre bene un testo da un’altra lingua, sono lavori difficili, che richiedono notevole competenza, precisione e pazienza, come la catalogazione, ma sono lavori utili.
Quali sfide pone al processo di catalogazione l’ecosistema digitale?
Le biblioteche hanno iniziato molto presto, rispetto ad altri settori, a utilizzare strumenti elettronici, digitali. Basta dire che la rete SBN ha iniziato a lavorare all’inizio del 1986 e che il suo catalogo è liberamente accessibile nel Web dal 1997, quando ancora pochissimi in Italia sapevano che cos’era, o potevano utilizzarlo. L’uso di programmi informatici per la catalogazione è ancora più antico, risalendo agli anni Sessanta del Novecento.
Ma poi, con la crescita del Web e la creazione di servizi rivolti al pubblico generale (da Google a Wikipedia), e con la presenza sulla Rete di grandi fornitori di libri online, dei siti degli editori e di varie comunità di lettori, è diventato facile per tutti trovare qualche informazione su un libro, senza ricorrere ai cataloghi delle biblioteche.
In questa realtà, quella in cui viviamo, i cataloghi delle biblioteche non hanno perso la loro importanza, ma hanno – e devono porsi – scopi più precisi, forse più limitati per certi aspetti, ma anche più difficili e impegnativi per altri.
I cataloghi delle biblioteche, infatti, devono rappresentare in modo esatto e preciso (anche se con informazioni molto sintetiche) tutto ciò che è stato pubblicato in Italia, non solo oggi ma anche in passato, non solo dai grandi editori ma anche da editori piccoli e piccolissimi e da tanti enti, pubblici e privati, associazioni, fondazioni, e così via. Il grosso del mercato editoriale riguarda, si sa, i grandi e medi editori, ma in Italia si producono moltissimi libri utili e importanti da parte di piccoli editori o di soggetti che non sono editori commerciali, ma producono cultura.
Tramite i cataloghi, soprattutto un catalogo nazionale come l’Indice SBN, si può rintracciare un numero enorme di pubblicazioni che non sono in commercio, o sapere quali biblioteche italiane hanno acquistato libri stranieri spesso costosi o difficili da procurare. Oggi i cataloghi indicano, quando è possibile, anche l’esistenza di una versione digitale che si può vedere da casa (gratis o a pagamento), e anche ciò che non è accessibile in rete può essere richiesto, in molte biblioteche, tramite il prestito interbibliotecario.
Inoltre, i cataloghi delle biblioteche devono registrare i dati esatti e precisi dei libri (e di altri materiali) pubblicati, mentre informazioni di questo tipo sono spesso fornite in modo inesatto, o non sono fornite per niente, da altri strumenti.
Per questi motivi, i cataloghi delle biblioteche rivestono una grande importanza anche nell’ecosistema digitale di oggi, perché svolgono soprattutto una loro funzione specifica, diversa da quelle di altri servizi, senz’altro utilissimi (da Google alle grandi librerie online) ma con scopi e caratteristiche differenti.
Quale futuro, a Suo avviso, per la catalogazione?
Se vi rispondessi che vedo un futuro radioso direi una bugia. Vedo un futuro difficile, fatto di scelte che non sono scontate, e che spesso non sono capite. Ma questo lo potrei dire esattamente allo stesso modo per la nostra società, argomento molto più grosso e importante della catalogazione.
Spesso si sottovalutano i problemi di lungo periodo – come l’ambiente del nostro pianeta o lo sviluppo dell’istruzione – e si sottovaluta l’importanza della qualità del lavoro, preferendo risparmiare col precariato, il lavoro non qualificato, la mancanza di controlli.
Questo succede anche nella catalogazione, che non sta in un mondo ideale ma nel nostro mondo: si rinuncia a ricatalogare quanto non sta nel catalogo elettronico o a catalogare ciò che non è stato mai catalogato (tanto chi se ne accorge, di quello che nel catalogo non c’è?), si fa lavorare personale non qualificato, e con compensi a cottimo che costringono a lavorare in fretta e furia (tanto chi se ne accorge, se la catalogazione è sbagliata?), e così via.
A questo si aggiunge l’alluvione delle chiacchiere, dei bei discorsi sul mondo del Web e sulle sue sorti magnifiche e progressive, cosicché anche nei convegni, negli articoli, nei libri sulla catalogazione non si parla quasi mai dei problemi reali della catalogazione stessa, per migliorarla dal punto di vista degli utenti, delle persone a cui i cataloghi devono dare buone risposte, e anche dal punto di vista dei catalogatori, perché lavorino meglio, comprendendo meglio il loro lavoro e producendo cataloghi migliori per i lettori.
Il libro che Simona Turbanti e io abbiamo scritto vuole servire a questo, sia nella sua parte teorica introduttiva, sia nell’ampia presentazione di casi concreti, da cui – diversamente rispetto alle chiacchiere – c’è sempre molto da imparare.
Alberto Petrucciani (Roma 1956), professore di Biblioteconomia e bibliografia alla Sapienza di Roma, ha insegnato a Bari e Pisa ed è stato bibliotecario a Genova. È presidente del Comitato per le biblioteche e gli istituti culturali del MiBACT e membro del Consiglio superiore per i beni culturali. Alla Sapienza coordina il Dottorato di ricerca in Scienze documentarie, linguistiche e letterarie e insegna Catalogazione e indicizzazione e Storia delle biblioteche. Ha pubblicato volumi e saggi di biblioteconomia, catalogazione, storia del libro e delle biblioteche.