“Manifesto per un animalismo democratico” di Simone Pollo

Prof. Simone Pollo, Lei è autore del libro Manifesto per un animalismo democratico edito da Carocci: quale rilevanza ha assunto, tra i fenomeni della società contemporanea, l’animalismo?
Manifesto per un animalismo democratico, Simone PolloSenza timore di esagerare, credo che si possa sostenere che l’animalismo sia uno dei fenomeni più importanti dell’età contemporanea. L’animalismo, infatti, può essere definito in modo generale come un movimento culturale e sociale che sostiene la necessità di modificare molte delle relazioni che gli esseri umani intrattengono con gli animali non umani. Nel sostenere e perseguire questo compito l’animalismo si fonda su alcune delle più significative trasformazioni del pensiero e della società che hanno avuto luogo nella tarda modernità e nell’età contemporanea.

Il cuore pulsante dell’animalismo – ovvero che anche le sofferenze degli animali non umani contino moralmente – ha una duplice radice. Da un lato, essa si genera in quella trasformazione della morale che si inizia con l’Illuminismo e che afferma una rilevanza, in precedenza non riconosciuta, all’affettività, ovvero a passioni, emozioni e sentimenti. Uno dei più grandi protagonisti della filosofia illuministica come David Hume non solo individuava nelle passioni e nella simpatia il nucleo fondamentale della natura umana, ma riteneva che le capacità passionali e simpatetiche non fossero un’esclusiva umana, ma che esse si ritrovassero in modo sostanzialmente simile anche negli animali.

Proprio la questione della continuità fra umani e animali rappresenta la seconda radice dell’animalismo. Nel XIX secolo, infatti, si realizza una delle più grandi rivoluzioni scientifiche della civiltà umana, quella darwiniana. Dopo Darwin, infatti, non può più essere affermata una discontinuità sostanziale fra umani e non. Tutti i viventi sono – per usare le parole di Darwin – “legati in un’unica rete” e le differenze fra essi sono solo di grado. L’animalismo cerca di trarre le conseguenze di queste due grandi trasformazioni che a partire dalla tarda modernità segnano la nostra civiltà, e lo fa proponendo cambiamenti in uno degli aspetti caratterizzanti la forma di vita umana, ovvero le relazioni con gli animali.

Quale visione dei comportamenti verso gli animali propugna l’animalismo?
Come detto, l’animalismo o, più precisamente, i vari tipi di animalismo sono caratterizzati dall’idea che i molti modi in cui entriamo in relazione con gli animali debbano essere riformati (o in alcuni casi aboliti) a partire dal riconoscimento di uno loro status morale, e quindi giuridico. In età moderna, proprio in contemporanea con l’affermarsi di quei due fenomeni menzionati prima (attenzione alla sofferenza e rivoluzione darwiniana) nascono movimenti e associazioni che prendono posizione contro le varie forme di “maltrattamento” contro gli animali, e chiedono riforme giuridiche in tale senso. È questo quello che succede, ad esempio, nel Regno Unito nel XIX con la fondazione della Society for the Prevention of Cruelty to Animals (che poi diventa “Royal”, cioè RSPCA). Alla sua azione si deve nel 1822 la prima legge protezionista in senso moderno, ovvero il Martin Act.

Nel corso del tempo, i vari filoni di pensiero animalista e i diversi movimenti preciseranno ulteriormente i propri scopi, dandosi obiettivi più chiari rispetto alla generica protezione dai maltrattamenti. È così che si sviluppa, ad esempio, la discussione circa l’uso degli animali nella ricerca scientifica, quella che un tempo si definiva “vivisezione” (un termine oggi non più adeguato a definire le procedure scientifiche che fanno uso di animali, comunque la si pensi sulla loro legittimità). Parallelamente allo svilupparsi della riflessione filosofica e all’azione sociale, l’animalismo diventa anche uno “stile di vita”. Sempre più persone, convinte della necessità di un cambiamento del modo di relazionarsi agli animali, modificano i propri comportamenti individuali in tale senso, ad esempio attraverso scelte alimentari che eliminano del tutto o in parte i prodotti di origine animale. Il vegetarianesimo non nasce certo in età moderna (ne abbiamo esempi fin dall’età classica), ma ai nostri giorni esso trova una molto più ampia diffusione e una chiara collocazione in questo fenomeno tutto contemporaneo che è appunto l’animalismo.

In che modo l’animalismo può divenire antidemocratico?
Proprio a proposito di vegetarianesimo: chiunque adotti questo stile alimentare con grande probabilità si sarà sentito rivolgere da qualcuno l’obiezione “ma anche Hitler era vegetariano!”. Questa affermazione è senza dubbio storicamente vera: per quanto ne sappiamo Hitler era vegetariano e a modo suo “amava” gli animali, ma questo non significa ovviamente che l’attenzione per gli animali (manifestata ad esempio attraverso l’alimentazione) implichi un’adesione alla disumana ideologia nazista. Quasi sempre ricordare il vegetarianesimo del Führer è una forma scorretta di reductio ad Hitlerum, ovvero un artificio retorico che punta a screditare l’avversario. Tuttavia, rimane il fatto che Hitler fosse vegetariano e che il regime nazista abbia promosso riforme protezionistiche verso gli animali (ad esempio nel caso della sperimentazione).

Ecco, se guardiamo con attenzione al protezionismo nazista (e fascista… perché in Italia ci fu anche un animalismo fascista) osserviamo che esso non nasce da quella duplice radice di cui dicevo prima. L’animalismo nazista nasceva da una visione organicista della società e del rapporto dell’essere umano con la natura. Questa visione aveva ben poco a che vedere con l’attenzione alle sofferenze degli animali e altrettanto poco con quel darwiniano essere “tutti legati in un’unica rete”. Inoltre, quelle riforme furono scarsamente applicate ed esse servirono quasi esclusivamente come ulteriore mezzo di discriminazione di cittadini considerati non ariani, dal momento che l’accusa di maltrattamento di animali veniva usata come prova di un qualche difetto razziale e quindi di inferiorità. Tutto considerato, la vicenda del protezionismo nazista (e fascista) è la prova che non è sufficiente una qualche forma di attenzione agli animali per qualificare un atteggiamento come animalista in un senso che sia accettabile (e desiderabile) all’interno delle nostre società liberali e democratiche.

In cosa consiste l’animalismo democratico?
La “scoperta” dell’affettività e dei sentimenti come dato moralmente e giuridicamente rilevante è, in epoca illuministica, uno dei grandi fattori di trasformazione che contribuiscono all’edificazione del pensiero liberale, ovvero di una attenzione all’individuo, ai suoi interessi e ai suoi diritti. Le società liberali e democratiche che si sviluppano e fioriscono dopo la tragedia delle due guerre mondiali riprendono e rinnovano quegli ideali liberali e li connettono, soprattutto a partire dagli anni sessanta e settanta del XX secolo, con nuovi ideali di giustizia e di eguaglianza. Nella seconda metà del XX secolo le società liberali e democratiche conoscono quello che può essere definito un vero e proprio processo di riflessione su se stesse e avviano un processo di “democratizzazione”, ovvero un movimento di espansione del significato della vita democratica.

Le lotte contro le discriminazioni, razziali e di genere, il rifiuto del paternalismo in campo medico e la critica alla famiglia patriarcale rappresentano esempi di questo movimento di democratizzazione, che coniuga gli ideali di diritti individuali con quelli di giustizia e uguaglianza. In questo contesto, fiorisce la visione contemporanea dell’animalismo, ovvero quella che coincide con la “invenzione” nel 1970 di un concetto che classifica la discriminazione nei confronti degli animali, ovvero lo specismo. Uno dei filosofi che più ha lavorato a partire da questo concetto, ovvero Peter Singer, afferma nel suo ormai classico lavoro Liberazione animale che il riconoscimento morale e giuridico degli animali è una questione di giustizia, proprio come lo sono le lotte contro la discriminazione razziale o quella sessuale. Il fatto che un individuo sia capace di soffrire è una ragione per considerare i suoi interessi in modo uguale e non discriminatorio, indipendentemente dal colore della sua pelle, dal suo genere e/o orientamento sessuale e – questa è la novità dell’antispecismo – dalla sua specie. Darwin ha mostrato che le specie non sono differenze sostanziali fra gli individui e, pertanto non possono essere usate come criteri rilevanti nel riconoscere status morale e giuridico.

L’animalismo democratico prende sul serio la collocazione della questione animale nel contesto della vita democratica, ovvero ritiene che una democrazia fiorente debba riflettere anche sul trattamento degli animali non umani, a partire dall’impossibilità di concepire un confine netto e invalicabile fra gli interessi umani e quelli non umani.

In che modo è possibile estendere l’applicazione dei valori e dei principi fondamentali della vita democratica agli animali?
Se rifiutiamo l’idea che gli interessi degli animali non contino moralmente e giuridicamente solo in quanto non umani e se prendiamo sul serio sia l’attenzione alle sofferenze sia gli ideali di giustizia della vita democratica, allora dobbiamo riconoscere che fra gli scopi di una democrazia fiorente c’è anche quello di includere gli animali sotto l’ombrello delle proprie tutele. Io non penso che gli animali possano essere considerati “cittadini” a tutti gli effetti, ma ritengo che, in quanto influenzati dalle nostre azioni individuali e collettive, essi comunque rientrino nell’ambito di protezione delle società liberali e democratiche. Gli esseri umani che vivranno fra duecento anni non sono nostri concittadini ma saranno influenzati, anche molto pesantemente, dalle nostre azioni di oggi (pensiamo all’emergenza climatica). Il fatto che non siano nostri concittadini non è una buona ragione per escluderli dalla nostra considerazione morale e protezione giuridica (anche se, purtroppo, non lo facciamo ancora abbastanza). Per gli animali vale un discorso piuttosto simile. Sono esseri senzienti e i loro interessi sono influenzati dalle nostre azioni: è una ragione sufficiente perché la vita democratica si interessi di loro con forme di tutela e di promozione di riforme delle relazioni umane con essi.

Più specificamente, l’attenzione nei confronti degli animali dovrebbe ispirarsi ai principi fondanti della vita democratica, ovvero rifiuto della sofferenza, cura del benessere, promozione della libertà e così via. Tuttavia, proprio perché inserita in un contesto democratico questa attenzione dovrà attuarsi (come ogni altra politica di una società democratica) bilanciando i diversi beni e interessi in gioco e procedendo in modo “riformista”. In alcuni casi, come quello della sperimentazione animale, si dovrà riconoscere la non praticabilità di una sua completa abolizione (per quanto questo sia un obiettivo da perseguire, come peraltro stabilito a livello normativo dalla stessa Unione Europea). In altri casi, invece, il bilanciamento degli interessi in gioca potrà portarci a ritenere alcuni usi degli animali come del tutto incompatibili come la vita democratica. Circhi e caccia, ad esempio, non hanno alcuna giustificazione in una democrazia fiorente. Anzi, nel modo in cui violano la libertà e il benessere degli animali in modo futile e ingiustificato sono una vera e propria “offesa” alla vita democratica che riconosce come propri ideali fondativi la protezione della libertà e il rifiuto della sofferenza.

È possibile una rappresentanza degli animali?
I movimenti animalisti nascono e si sviluppano per “dare voce” a soggetti che non ne hanno, cioè gli animali. In questo senso essi ambiscono a rappresentare gli animali. La mia idea, tuttavia, è che questa forma di rappresentanza dovrebbe essere in qualche modo superata. Gli interessi degli animali dovrebbero essere rappresentati in modi condivisi, pubblici e trasparenti all’interno delle istituzioni democratiche. Senza dubbio le associazioni animaliste possono svolgere compiti meritori, ma la visione dell’animalismo democratico ritiene che questo modo di intendere la rappresentanza non sia affatto ottimale (e la condotta di alcune associazioni animaliste spesso conferma questa visione). Gli animali sono soggetti vulnerabili e, per loro natura, non hanno accesso alle forme di rappresentanza che sono proprie dei cittadini di una società democratica. Tuttavia, come già accade per altri soggetti vulnerabili e che non accesso alla rappresentanza dei loro interessi devono farsi carico le istituzioni democratiche. Ciò non significa, ovviamente, che i comportamenti degli individui che adottano stili di vita animalisti o le azioni delle associazioni non siano importanti. Significa che un animalismo pienamente democratico deve ambire a portare gli interessi degli animali, nella loro grande varietà, in modo pieno e strutturale all’interno delle istituzioni.

Simone Pollo è Professore associato presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Roma Sapienza, dove insegna Etica e scienze del vivente e Bioetica. Sempre presso Sapienza è membro del Collegio dei docenti del Dottorato in Filosofia e collabora con il Master “La scienza nella pratica giornalistica”. Insegna inoltre presso il corso di laurea magistrale in “Evoluzione del comportamento animale e dell’uomo” dell’Università di Torino. Collabora regolarmente con L’indice dei libri del mese. È autore di Scegliere chi nasce. L’etica della riproduzione umana. Fra libertà e responsabilità (Guerini & Associati 2003); La morale della natura (Laterza 2008); Umani e animali. Questioni di etica (Carocci 2016); Manifesto per un animalismo democratico (Carocci 2021).

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