
Nabokov sosteneva che i romanzi non sono altro che “meravigliosi giocattoli”: leggere narrativa è pura voluttà?
Nabokov la pensava così. Parlava spesso ai suoi studenti della scossa alle scapole che dà solo la grande arte. Collocava il piacere estetico nella colonna vertebrale. Amare la narrativa per lui significava svelarne l’ordito, identificare strutture e linee tematiche. Deplorava i lettori (e soprattutto le lettrici) che sentono l’esigenza di identificarsi con un personaggio. Io mi ritengo un lettore meno esigente di lui, e assai più conformista. Adoro scrittori che lui detestava: Balzac, Henry James o Thomas Mann. Per me la narrativa (e parlo dal punto di vista del lettore) non è solo voluttà o performance squisita. È anche tormento, fatica, noia. Talvolta mi capita di amare le parti meno felici di un romanzo e i vezzi più corrivi di uno scrittore. Mi piace credere che l’arte nasca da un’esigenza di eleganza e verità. Il guaio è che non sempre la verità è elegante.
Come si alimenta il piacere di leggere?
Non saprei. Ho difficoltà a parlare di certe cose in termini generali. Del resto, ho un ricordo abbastanza integro del periodo della mia vita in cui non amavo leggere. Non sono stato un lettore precoce. Non ho mai avuto un debole per le fiabe e per i romanzi di avventura. Allora le passioni per il calcio e per i cartoni animati non avevano rivali. Sto parlando di quell’età che va dalla prima infanzia alla pubertà. A ripensarci, mi pare un’era mitica, incontaminata e a suo modo feconda. Coltivavo un sano e lieto analfabetismo. Non so se la lettura abbia portato un reale giovamento alla mia personalità, o incremento alla mia moralità. Certe volte sono portato a pensare che senza la letteratura avrei avuto una vita migliore, di certo più semplice. Ed è strano che lo creda visto che non c’è niente che ami di più, niente che occupi i miei pensieri con altrettanta forza (e sono ancora patito di calcio e di cartoni animati).
Come ha selezionato gli autori della Sua lista di inseparabili?
Secondo il mio gusto e capriccio. Non credo nei canoni, così come diffido dei premi, delle classifiche di bestseller o di quelle di qualità. Il fatto è che il mio modo di leggere ha perso la verginità per sempre. Quando mi avventuro in un romanzo non sto dietro alla trama ma godo dell’ordito. Sono uno scrittore, e come tale m’interrogo sulle soluzioni adottate dai miei colleghi più bravi. Leggere gli autori che amo mi ispira, mi galvanizza e mi frustra. Per questo li rileggo spesso. Gli otto scrittori che ho scelto sono classici canonizzati (un paio sono Titani indiscussi). Tutti hanno inventato un nuovo modo di concepire la narrativa. Mi piaceva illustrare nella maniera più semplice, quasi pedestre, il nucleo di tali sensazionali novità: il discorso indiretto libero in Flaubert o la rivoluzione sintattica operata da Proust valgono i colori della Sistina.
Stendhal era uno scrittore pragmatico.
Non mi pare che “pragmatico” sia un termine adeguato per definire Stendhal. Diciamo che lui era un artista talmente naturale e spontaneo da non sentire la necessità di attribuire alla sua vena alcuna aura seriosa o romantica. Era un dilettante. Il che gli consentiva di essere spregiudicato e facilone. Tanto per fare un esempio, gli ultimi capitoli de Il rosso e il nero non hanno un titolo. Come giustificare una dimenticanza così gigantesca? Forse è un vezzo. Forse era talmente trascinato dal racconto di Julien Sorel da infischiarsene di tutto il resto. O forse era stufo di scrivere e non vedeva l’ora di finire. Sia come sia è questo il genere di trascuratezze che rende la prosa di Stendhal affascinante e peculiare. Ho parecchia simpatia per lui: la sua genialità cialtrona, la sua enfasi spericolata, la sua umanità, il suo edonismo. Sono tutte cose che mi divertono e mi commuovono.
Il rapporto di Nabokov con la letteratura appare invece esemplare.
Durante una conferenza stampa per la prima cinematografica di Lolita al St Regis di New York Nabokov disse: “Mi vanto di essere una persona priva di interesse per il pubblico. Non mi sono mai ubriacato in vita mia. Non dico mai parolacce. Non ho mai lavorato in un ufficio o in una miniera di carbone. Non ho mai fatto parte di circoli o associazioni. Non c’è credo o scuola che abbia avuto su di me il benché minimo influsso. Non c’è niente che mi annoi di più quanto i romanzi politici e la letteratura a sfondo sociale. Le cose che odio sono semplici: stupidità, oppressione, crimine, crudeltà, musica leggera. I miei piaceri sono i più intensi che l’uomo conosca: scrivere e cacciare farfalle”. Se non per l’odio per la musica leggera e l’amore per le farfalle, difficili per me da condividere, per il resto aderisco con entusiasmo al programma elettorale di Nabokov. La sua purezza è encomiabile. Mi riempie di ammirazione. Oltre al genio letterario naturalmente gli invidio l’inesausta fiducia in se stesso. Ha sempre fatto, detto e scritto ciò che desiderava fare, dire e scrivere. Non ha mai cercato compromessi senza indulgere nella retorica della propria integrità. Ha vissuto nel lusso anche nei lunghi periodi di indigenza. È stato felice anche quando avrebbe avuto diritto alla disperazione.
Un posto speciale nel Suo racconto lo occupano Flaubert e Madame Bovary.
Flaubert è un po’ il progenitore e un po’ il fratello maggiore di qualsiasi romanziere serio. Al contrario di Nabokov, era un disincantato nichilista che scriveva per celebrare l’arte in odio alla vita. Coltivava un’intransigente discrezione che a noi uomini del ‘900 ricorda un po’ quella di Salinger (pur senza mai sfiorare quelle vette patologiche). Credeva nel lavoro, più di quanto credesse nel talento naturale. Ha scritto pochissimo, e non sempre all’altezza del suo genio. Erano più le cose che si impediva di fare che quelle che faceva. Malgrado tutti questi intralci autoinflitti è riuscito a scrivere almeno tre romanzi, un paio di racconti e una manciata di lettere che lo rendono il più influente narratore francese (e forse non solo francese) del diciannovesimo secolo. Per i pochi che lo conoscevano era già un mito prima di pubblicare il suo primo romanzo. E certo quel libro – Madame Bovary -, di così difficile composizione, non fece che confermare tutte le cose buone che pensavano di lui. A proposito di carisma, Emma Bovary appartiene al club esclusivo di personaggi letterari che non smettono di esercitare un fascino inestricabile e perverso. Il segreto di Emma è nell’intrico di sentimenti contraddittori che suscita nel lettore. Talvolta parteggi per lei, fino a identificarti nelle sue ubbie romantiche, altrimenti ti capita di gioire delle sue disgrazie: ti viene da pensare che se le meriti tutte. Sebbene non raggiunga mai la statura tragica di eroine come Didone, Fedra o Anna Karenina, ha una vitalità, una pertinacia, una passione che non lasciano indifferente neppure il lettore più smaliziato. Non conosco persone che gratta gratta non si rivelino in qualche modo bovariste.
Perché leggere?
Perché andare al cinema? Perché fare sesso? Perché giocare a scacchi o a tennis? Perché sono cose divertenti e vitali. Leggere è la stessa cosa. È una necessità indotta dalla cultura. Un vizio, come il fumo o l’alcol. Un diversivo al pensiero della morte, come innamorarsi o intraprendere un viaggio esotico. Una di quelle cose che ha senso fare solo se non stai lì a chiederti se ha senso farle.
Il 60% degli italiani non legge: quali a Suo avviso le cause e quali i possibili rimedi?
La sociologia è una scienza noiosa che per statuto indulge in generalizzazioni metafisiche. Non so perché gli italiani leggano poco, né m’interessa scoprirlo. Non credo che il diffuso consumo di cultura sia di per sé positivo. Non vedo perché le persone che amano i libri debbano perdere tanto a tempo a interrogarsi sul perché c’è tanta gente che non condivide la loro passione. Ogni tanto vengo chiamato da qualche associazione a tenere conferenze per avvicinare i ragazzi alla lettura. Di rado accetto. Quando c’è di mezzo l’arte non amo gli atteggiamenti proseliti. Certo, quando faccio lezione all’università mi sforzo di comunicare il mio amore per la narrativa. Spiegare un passo di un racconto di Maupassant e sentire qualche giovane cuore sdilinquito palpitare di fronte a tanta bellezza appaga il mio narcisismo e mi fa sentire meno solo. Ma a parte questo considero la lettura un piacere solitario, di più: un piacere solipsista che in alcuni casi sfiora la voluttà onanista. Per questo non mi vedrete mai in prima fila in una campagna per la diffusione della lettura. Né mi sentirete pontificare gravemente sulla crisi del romanzo o sui dissesti del mercato editoriale. Le librerie sono piene di romanzi bellissimi, se vi va, andateli a comprare, altrimenti lasciateli pure a marcire sugli scaffali. Non è un mio problema.