
In ogni caso il quesito è prematuro, in quanto non vedo come possano andare al governo col sistema elettorale che ci sarà, visto che rifiutano alleanze. E certamente non conviene loro imbarcarsi in esperienze di governo, che possono bruciarli (come in parte è stato per Roma). È loro massima convenienza restare all’opposizione e farla in maniera aggressiva con chiunque governi. Sono geneticamente un partito «contro» e su questa base si fonda e si fonderà gran parte del loro successo elettorale.
Quali effetti ha prodotto sul Movimento la sua «istituzionalizzazione»?
Se per istituzionalizzazione intendiamo quella che potremmo definire «esterna», cioè la partecipazione alle istituzioni della democrazia rappresentativa (che pure il M5s ripudia) e cioè l’entrata in Parlamento e nelle assemblee amministrative, l’effetto sul Movimento è stato positivo, in quanto gli ha permesso di affermarsi come «partito» (non più movimento) presso l’opinione pubblica e quindi di essere spesso vincente nelle consultazioni elettorali.
Se per istituzionalizzazione intendiamo quella «interna», cioè la strutturazione organizzativa del partito in livelli territoriali e gerarchici, il Movimento ha fatto pochi passi in questa direzione. Possiamo citare il fallimento del “Direttorio” istituito nel novembre 2014, e il rientro di Grillo dal suo «passo di fianco» del febbraio 2016. Attualmente il Movimento dipende ancora in maniera vitale dal suo fondatore e non è possibile immaginare quali saranno le conseguenze della rinuncia di Grillo ad esserne il «capo politico».
Quali caratteristiche possiede l’andamento elettorale del Movimento di Beppe Grillo?
Nel corso del tempo il «colore politico» degli elettori M5s è cambiato. Possiamo individuare tre fasi.
Prima delle elezioni politiche del 2013 il M5s prende voti dall’area di sinistra e quella di protesta (in particolare dalla Lega nord e dall’Italia dei valori). Col grande successo delle elezioni politiche del 2013 si trasforma da partito di nicchia a partito di massa, prende voti da tutto l’arco politico pur mantenendo la sua capacità di attirare il voto antagonista al sistema. Infine, col ciclo delle amministrative parziali del 2015-17, si profila l’emergere di un «rischio» astensione, che provoca consistenti perdite di voti precedentemente acquisiti, e nello stesso tempo una sempre maggiore contiguità con l’area elettorale della destra, il che rappresenta una trasformazione radicale rispetto al movimentismo non lontano dalla sinistra dei primi tempi.
Qual è l’identikit dell’elettore del Movimento?
L’elettorato M5s non è attraversato da divario di genere; attrae elettori di tutte le fasce d’età (tranne i più anziani); non ha specificità territoriali per regione o per dimensione dei comuni; ottiene lo stesso consenso fra i più e i meno istruiti; non ha al suo interno differenze di classe. In una parola, la base elettorale del M5s ha una fisionomia socio-demografica che coincide sempre più con quella della popolazione italiana.
Né l’appello elettorale dei cinquestelle trova un maggiore ascolto fra i cosiddetti «perdenti della modernizzazione» che ha rimodellato gli equilibri economici spingendo verso l’alto alcuni segmenti sociali ma lasciandone indietro molti altri. Se – sulla base di un suggerimento di Luca Ricolfi – dividiamo la società italiana in tre parti, quella dei «garantiti» (posto fisso), quella del «rischio» (dipendenti di piccole imprese, lavoro autonomo) e quella degli «esclusi» (disoccupati, lavoratori in nero, scoraggiati), non troviamo nei nostri dati un maggiore favore verso il M5s da parte del terzo gruppo, e quindi non troviamo sostegno alla tesi di un legame fra disagio economico e voto al M5s.
L’elettorato cinquestelle è quello più prossimo di tutti alla media nazionale.
Affermare che il M5S raccoglie il voto di protesta è davvero una semplificazione?
No, non è una semplificazione, è l’assoluta realtà, ma non è una valutazione necessariamente negativa. Grillo si è fatto imprenditore politico dell’insoddisfazione verso i partiti e più in generale verso l’establishment politico ed economico. In questo senso il suo contributo politico è stato assolutamente positivo, in quanto ha dato visibilità a un sentimento assai diffuso. In questa ottica, gravi sono le responsabilità dei partiti tradizionali che di questa loro perdita di legittimità non si sono accorti e che, anche dopo l’entrata in scena del Movimento 5 stelle, poco o nulla hanno saputo fare per recuperare credibilità, accanendosi su personalismi e lotte interne per il potere che aprono praterie alla propaganda del M5s.
Sul tema Europa il Movimento sembrerebbe star compiendo una metamorfosi in senso più europeista: è davvero così o è solo un espediente elettorale?
Sull’Europa la posizione del M5s è al momento confusa. In passato è stata chiaramente ostile: ricordo nel dicembre 2013 la raccolta di firme per una legge popolare di uscita dall’euro; successivamente in occasione delle elezioni europee dl 2014 Grillo chiese un referendum sulla permanenza nell’euro. Nel programma elettorale attuale la posizione sull’Europa non è così netta ma resta fortemente critica: in particolare di invoca lo smantellamento degli organismi europei di controllo (la cosiddetta «Troika» – Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale – e il Fondo salva stati), il che significa smantellamento del cuore sovranazionale europeo.
A che punto è l’ideale grillino di una democrazia diretta gestita via web?
La «democrazia della rete» è una grande e suggestiva utopia collettiva. Ma nella realizzazione del Movimento 5 stelle ha mostrato e sta mostrando tutti i suoi limiti, sia di realizzabilità pragmatica, sia di contraddizioni strutturali (fra tutte quella di un movimento che esalta l’«uno vale uno» ma dove poi c’è uno che vale tutti gli altri messi assieme).
Quale sarà a Suo avviso l’evoluzione futura del Movimento 5 Stelle?
Ci sono due elementi cruciali di incertezza in proposito. Il primo fa riferimento al reale significato della rinuncia di Grillo al ruolo di «capo politico»: se si trattasse di scelta effettiva il Movimento andrebbe incontro a grandi e nuove difficoltà. Il secondo è relativo alle dinamiche che si svilupperanno negli altri partito e nel contesto politico più generale. Se dovesse continuare l’attuale tendenza alla frammentazione personalistica dei partiti e il contesto del sistema elettorale proporzionale dovesse consegnare il paese all’ingovernabilità, qualsiasi voce di critica radicale alle istituzioni politiche tradizionali otterrebbe il massimo ascolto.