Luciano Canfora: «La lettura è un atto di libertà»

Luciano CanforaProf. Luciano Canfora, i dati Istat evidenziano come oltre il 60% degli italiani non legga: quali a Suo avviso le cause e quali le possibili soluzioni?
In realtà è un problema quasi insolubile, chiedere una soluzione è un po’ un gioco retorico perché noialtri abbiamo mediamente questo difetto. Uno potrebbe portare – io ogni tanto sono indotto a pensarlo – delle ipotesi in campo: per esempio, vedo che strumenti – giocattoli, telefoni o altro – finiscono col sostituire il vero e proprio uso dei libri a stampa fatti di carta e di fascicoli rilegati tutti insieme, da poggiare su un tavolo.C’è questa sostituzione con oggetti a carattere ludico, magari anche utili, però sono diffusi in tutto il mondo quindi anche nei paesi che di gran lunga ci superano sul piano della lettura. Questo è noto quindi non è una spiegazione valida. Poi sì, siamo mediamente un popolo di telepazienti, divoratori di tutta la paccottiglia che viene fuori dalla televisione. Tendo a pensare che forse anche altri paesi europei abbiano lo stesso problema. Certo, negli Stati Uniti d’America molto di più. Non conosco i dati sulla lettura negli Stati Uniti d’America – forse non esistono dei dati, non lo so – ma mi incuriosirebbe perché sarebbe un bel termine di paragone: loro bevono 24 ore su 24 quello che la televisione emette e quindi i lettori sono, non dico una minoranza ma forse abbastanza ridotta. Poi sono guardati male: “saranno sicuramente di sinistra, forse votano per Obama” – quando Obama si presenta. Gli Stati Uniti potrebbero essere un termine di paragone ma, ripeto, non ho i dati. Per l’Italia, altre cause: la scuola che va male, professori svogliati: sì, forse anche questo… essi dovrebbero magari portare alla lettura di libri veramente interessanti. Invece succede spesso a scuola qualcosa di mediocre cioè il fatto che una insegnante, un insegnante, ha uno pseudo-scrittore amico, oscuro ai più, diciamo, ignoto alle masse. Però questo qui rifila un po’ di libri, questi libri vengono letti dagli scolari e sono libri perfettamente inutili e lui ha venduto 30 copie. Questo è un altro fenomeno che sicuramente scoraggia dalla lettura vera. Però: funzionano bene le scuole per esempio in Francia? Non mi azzarderei a dare una risposta positiva. Quindi, l’ultima ipotesi, ma la meno scientificamente provata, sarebbe che abbiamo una tara genetica: nel DNA degli italiani c’è questo difetto… però, siccome non esistono le razze, non esistono neanche i caratteri genetici. Quindi scartiamo anche questa ipotesi: come vede non ho potuto rispondere in maniera fondata alla sua domanda….

È possibile educare alla lettura? Se sì, come?
Le hanno provate un po’ tutte: per esempio, per un bel po’ di tempo, c’è stata una produzione filmica che prendeva spunto da grandi libri, importanti, che hanno segnato la letteratura universale: varie e reiterate riduzioni filmiche di libri come Hugo, I miserabili, Tolstoj, Guerra e pace, un po’ meno Manzoni in realtà. Però poi succedeva – alcuni film erano anche molto ben fatti, c’era un film sovietico tratto da Guerra e pace, credo durasse due o tre puntate, comunque era filologico nella riproduzione del testo originale – alla fine succedeva che sostituiva il libro. Quindi ancora una volta aveva un effetto contrario a quello di invogliare alla lettura. I giornali svolgono un ruolo relativamente positivo: quando uniscono al giornale un libro – purché non sia una stupidaggine tipo Montanelli, insomma, un libro vero, diciamo così – quello ha immediatamente una circolazione di centinaia di migliaia di copie, se il giornale è potente e diffuso – e, ipso facto, quei libri, non dico in blocco ma in buona misura, entrano nel circuito dei lettori. Quello credo tuttora sia un buon veicolo di diffusione che va contro le minime tirature. Gli editori hanno tirature minime: quando un editore fa una tiratura di duemila copie è addirittura coraggioso, un capitano coraggioso. Dei libri strettamente di studio, 700 copie di tiratura sono già tante. Mi ricordo quando il Corriere della Sera mise in circolazione insieme col giornale alcune grandi opere di storia, dall’antichità al tempo nostro, ci fu tra i primissimi volumi – ma parliamo di venti e passa anni fa – la storia greca di Domenico Musti, un ottimo libro di storia greca, molto intenso molto informato, dotto: come libro vero, cioè circolante come casa editrice Laterza collana storica avrà avuto mille copie vendute, come supplemento, condimento del Corriere, vendette 300.000 copie! Quindi 300 mila famiglie italiane poterono accedere alla storia greca di Musti. Ora non succede più, nel senso che li hanno separati, quindi il Corriere, o altri giornali, vende il quotidiano e poi chi vuole, con qualche “liretta” in più, si prende un volume ma sono cifre più modeste, sempre comunque oltre le diecimila: rispetto alle tirature dei libri che vanno in libreria è un trionfo. Quello è un veicolo interessante. Poi, non so, si potrebbe passare al campo di concentramento: gli italiani per gruppi si mettono in campi di concentramento, unica punizione: leggere. La pena dura due anni… potrebbe essere un sistema!

Quali provvedimenti andrebbero a Suo avviso adottati per favorire la diffusione dei libri e della lettura?
In Francia esiste un intervento statale ufficiale, molto dovizioso, almeno fino a qualche anno fa, a sostegno di una campagna di traduzione da opere straniere meritevoli, per esempio, che non è male come idea, nel senso che fuori da una ottica autoreferenziale si favorisce la lettura di opere in lingue magari non accessibili a chiunque. Da noi non c’è nulla del genere, nulla. Non c’è un intervento statale di nessun tipo. Gli editori spesso si lamentano, anche mettere un calmiere al prezzo della carta… nulla di tutto ciò. L’intervento statale da noi è pari a zero, se diventasse pari a uno o due, già sarebbe un bel balzo in avanti.

Il titolo di un Suo libro recita Libro e libertà richiamando l’assonanza libri-libertà che l’italiano deriva dal latino dove è ancora più intensa (liberlibertas): quale nesso profondo esiste tra loro?
La lettura, l’atto dell’alfabetizzazione e dell’utilizzo di essa è di per sé un atto di libertà se uno pensa che la legge scritta, nel momento in cui è leggibile per molte persone, non dico per tutte, nelle società antiche fu un balzo in avanti nella libertà di tutti, nella difesa dei diritti di tutti: non più la società in cui c’è solo una casta che sa leggere e legge per conto di altri e gli altri non possono verificare. Quello è un momento aurorale, nella storia della lettura, in cui riuscire a impadronirsi dei segni alfabetici, leggerli correntemente, capire quello che c’è scritto, verificare se quello che è scritto viene rispettato anche da altri, è già una conquista. Io metterei all’origine non tanto il piacere individuale di avere delle belle idee, la mente che si apre mentre leggo quindi divento un uomo più libero. Questo va bene, un po’ retorico, però in parte è anche vero. Penso che abbia senso fare riferimento invece a fenomeni storici più corposi: la legge scritta o addirittura il libro, diciamo così, ‘non aristocratico’. La lettura dei rotoli nell’età antica, rotoli molto delicati come oggetto e anche un po’ costosi, era riservata a ceti abbienti o agli schiavi di casa colti, – spesso erano persone coltissime prima di diventare schiavi – i quali leggevano per i padroni. C’è quell’episodio, raccontato da Seneca, di un ricchissimo, ignorantissimo padrone romano che aveva schiavi pari al numero dei poeti lirici: ogni schiavo gli leggeva uno dei lirici greci. Quando il libro diventa un libro semplice, popolare, in forma probabilmente non più di rotolo ma di codex, cioè assomiglia un po’ all’impostazione materiale dei nostri libri dal medioevo in avanti – mi riferisco per esempio alla letteratura cristiana delle origini, le vite più o meno romanzate di Gesù, poi le lettere apostoliche, poi le varie Apocalissi, innumerevoli – questi libri circolano tra masse cospicue e aprono la testa alle persone perché sono dense di contenuti morali, di affermazioni notevoli, di uguaglianza, di liberazione. Nel Settecento – facciamo un balzo mortale, dall’età antica al diciottesimo secolo – l’Encyclopédie, primo volume 1751, Diderot viene messo alla Bastiglia avendo messo in circolazione questo tomo perché la Chiesa ne soffre, non è d’accordo. Il re di Francia, Luigi quindicesimo, lo mette dentro ma Madame de Pompadour lo fa liberare.. ma chi leggeva i tomi dell’Encyclopédie? Darnton ha studiato molto bene questo problema in un libro che ha avuto grande successo, l’avventura, la grande impresa dell’Encyclopédie. Era gente ricca, cardinali, nobili che poi furono affascinati anche dalla rivoluzione, all’inizio, prima di perdere la testa nel senso tecnico; invece tanta letteratura minore, anche libertina, aveva una circolazione di gran lunga maggiore e quindi svecchiò i costumi, incrinò dogmi. Possiamo quindi dire che ci sono state epoche in cui un libro, o una tipologia di libro, ha cambiato la morale media, l’ha svecchiata. Si potrebbero fare esempi anche più complessi: per esempio, Il manifesto dei comunisti di Marx e di Engels quando uscì ebbe una tiratura minuscola, invisibile. Uscì a Londra, in tedesco, in caratteri gotici. Praticamente non lo lesse nessuno! Diventò un bestseller con la rivoluzione russa nel 1917 e seguenti, quasi diventando una specie di Talmud, di testo sacro, il che un po’ gli fece male essendo un capolavoro della letteratura, diventò invece un oggetto di venerazione. Quella fu un’altra tappa interessante, ritardata, potremmo dire, dell’efficacia liberatrice di un libro. E potremmo continuare. Dopodiché, liber in latino vuol dire tutte e due le cose.

I classici descrivono un mondo dal quale ci separa una irriducibile alterità, eppure contengono già tutte le domande dell’uomo moderno: in un mondo sempre più tecnologico, quale futuro per i classici latini e greci?
Intanto è un futuro che dura da un sacco di tempo, è un futuro con un lungo passato visto che intanto sono sopravvissuti. Questo è già un dato di fatto niente male: come mai abbiamo tra mano Eschilo? Certo, ce l’abbiamo in un manoscritto del circa l’anno 1000, cioè 1500 anni dopo l’autore. Però, il fatto che sia arrivato ad essere così longevo nella sua durata e circolazione dimostra che aveva una vitalità che ha retto alle prove del tempo.

Il passaggio alla stampa, una grandissima rivoluzione – la rivoluzione inavvertita, come è stata chiamata la stampa – ha moltiplicato i testi antichi: le prime stampe di un certo impegno sono gli autori latini, greci: Manuzio, Estienne, e via di seguito. Dopodiché durano per altri secoli e secoli. Entrano nel canone scolastico, nel canone etico-politico, i grandi politici inglesi si formano studiando le guerre puniche raccontate da Livio. Machiavelli pensa la modernità attraverso la cosiddetta Prima Deca di Tito Livio. Questa mentalità c’è stata, è nata sempre da lettori che forzavano, che piegavano questo testo ai propri problemi, evidentemente perché si prestavano. Oggi, come al solito, noi siamo spaventati dalla trasformazione tecnologica, dalla curiosità rivolta ad altro, dalla difficoltà della barriera linguistica, ci sono tutti questi fattori. Però si sono trovati anche dei contravveleni: intanto un profluvio di traduzioni in lingue moderne, traduzioni che si rifanno per usare la lingua dei moderni. Se io leggo i tragici greci nella traduzione di Romagnoli, che pure era un buon grecista al tempo suo, morto nel 1938, ci capisco poco nel senso che devo tradurre il suo italiano ipertogato, roboante. Ci sono traduzioni recenti e recentissime dei tragici che l’uomo moderno può leggere trovandosi a suo agio. Ragion per cui si ri-traducono ciclicamente. E poi, c’è da dire, la loro caratteristica – di quel che abbiamo, eh! Abbiamo perso un sacco di cose, per cui non possiamo parlare degli assenti, possiamo parlare solo dei presenti – quello che abbiamo ha una caratteristica: di essere lancinante, problematico, non consolatorio, per niente, checché se ne dica a scuola, per cui chi pensa si cimenta con questi punti di partenza del pensiero moderno. Il grande Leibniz diceva: – scherzando, un po’ sul serio, un po’ scherzando – “non ho pensato nulla di originale, ho soltanto letto Seneca e gli altri autori antichi”. Non è vero, ovviamente, però è una battuta la sua, raccontata da un suo devoto biografo che si chiamava Dutens, che sta a significare quanto egli sia stato stimolato dal pensiero antico per pensare cose nuove. Non credo che Trump legga Seneca, però, per fortuna, tra poco se ne va…

Un’ultima domanda, se ci consente un’anticipazione: di cosa tratta il Suo prossimo libro?
Mi sto occupando da molto tempo, non lunghissimo ma intenso, agevolato dalla clausura, della aggressione romana al Tempio di Gerusalemme e cioè la prima violazione del Tempio nell’anno 63 avanti Cristo ad opera dell’invasore Pompeo con le sue legioni, un episodio raccontato da Giuseppe Flavio e altri autori. Credo che meriti una attenta rilettura più che altro per capire come Roma mise le mani sulla Giudea e cosa accadde in quella regione tormentatissima. Spero di finire questo lavoro nei prossimi mesi!

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