
Quali ragioni fanno della Dialectica, pur con tutte le criticità che la caratterizzano, un autentico testo di filosofia?
Partiamo dalle criticità. Soprattutto gli studiosi di area anglofona hanno rilevato come la Dialectica non si presti ad una lettura agevole. In primo luogo perché Valla non sempre argomenta in modo chiaro ed esaustivo le proprie tesi, le quali spesso mancano dell’approfondimento, della consistenza e della sistematicità proprie di una tradizionale opera di filosofia. Ciò si riscontra soprattutto nella prima versione dell’opera intitolata Repastinatio dialectice et philosophie, nella quale, in effetti, Valla sembra preferire in molti casi inveire contro i suoi avversari anziché confutarli ed argomentare in maniera rigorosa le proprie tesi. Sarà però lo stesso Valla a rendere meno spigoloso il proprio modus argumentandi nelle successive due edizioni dell’opera, come ha messo bene in luce l’editore del testo latino Gianni Zippel. Non va dimenticato che la Dialectica, pur essendo un’opera filosofica, come dirò a breve, è stata composta secondo il criterio retorico della brevitas, che per Valla consiste nella capacità di “dire soltanto le cose utili”, laddove “esaurire tutti gli argomenti di discussione” in materia di filosofia e “rispondere a tutte le possibili obiezioni” sarebbe un lavoro pressoché infinito, e in alcuni casi inutile. All’umanista romano interessa colpire alcuni, pochi nuclei teorici e altrettanti momenti topici su cui si regge l’impalcatura della filosofia e della logica tradizionali, non riproporre l’intero sistema delle dialecticae disputationes. Certo, questo aumenta il lavoro degli studiosi poiché li obbliga a ricostruire, talvolta quasi ex novo, le fonti del Valla e le implicazioni filosofiche delle sue tesi, ma non pare indebolire la struttura complessiva della Dialectica. Oltre agli aspetti strettamente legati al modus operandi valliano, tuttavia, diversi studiosi sostengono che in alcuni casi egli fraintenda o travisi deliberatamente le posizioni dei filosofi che intende criticare, piegandole alle sue esigenze argomentative. Così il Valla da una parte mancherebbe di cogliere il punto filosofico delle tesi esaminate, dall’altra tenderebbe a sovrapporre – fino a confonderle – le esigenze e gli scopi della retorica con quelli della filosofia. A mio giudizio questa separazione tra retorica e filosofia rischia di essere fuorviante se applicata alla Dialectica, la cui chiave di lettura risiede proprio nel superamento di tale separazione. Alla base dell’opera vi è l’idea che le astrazioni e gli errori della ragione siano per lo più errori e astrazioni dal corretto uso del linguaggio, e che per risolvere le dispute filosofiche occorra guardare all’uso delle parole e non all’attività raziocinante in quanto tale. All’interno di questo paradigma, la rationis emendatio si dà anzitutto come sermonis emendatio, che per Valla ha luogo mediante i princìpi filologici dell’elegantia e della loquendi consuetudo (o usus): la prima consiste nella precisione e nella chiarezza del significato sostanziate in una perfetta univocità semantica; la seconda, ripresa da Quintiliano, ripone negli usi linguistici (in particolare dei classici latini) il criterio della correttezza lessicale. Insomma, quella del Valla può essere vista come una forma embrionale di filosofia del linguaggio. Da questo punto di vista, la Dialectica è certamente un’opera filosofica là dove individua un paradigma teorico che intende essere alternativo a quello aristotelico-scolastico non già rispetto all’acquisizione della sapientia e alla indagatio veri, bensì alla via che ad essi conduce. Riprendendo la concezione quintilianea dell’oratore come vir bonus peritus dicendi, Valla affida a costui il compito di repastinare (arare, rizollare) il terreno della filosofia, da un lato perché ineguagliabile esperto della lingua latina, dall’altro perché, a differenza del filosofo, è chiamato ad avere conoscenza non solo della retorica ma di tutte le discipline: grammatica, diritto, storia, filosofia, geometria e così via. È evidente allora che nella Dialectica la sostituzione dell’orator al philosophus quale figura in grado di rifondare il sapere non implica eo ipso una sostituzione della filosofia con la retorica.
Come si articola la logica Laurentiana?
Anzitutto va ricordato che l’espressione “logica Laurentiana” viene utilizzata dal Valla stesso nell’epistola apologetica a Papa Eugenio IV, e sta a indicare la logica da lui elaborata (definita l’unica “vera”) in alternativa a quella aristotelico-boeziana (giudicata “per la gran parte falsa”). Ora, mentre oggi gli studiosi riconoscono quasi unanimemente alla repastinatio valliana della metafisica aristotelica un notevole interesse filosofico e speculativo, decisamente più controverso appare il loro giudizio circa la riforma della logica. Qui il “punto di vista retorico” del Valla sembra mancare il proprio obiettivo perché muoverebbe da esigenze differenti da quelle da cui muove la logica aristotelica: questa ricerca le proprietà formali degli enunciati al fine di stabilirne le condizioni di verità, quello guarda alla loro forma linguistica e ai contesti discorsivi in cui occorrono. L’idea di una sostanziale a-logicità della dialettica del Valla – e degli altri umanisti in generale – la ritroviamo già nelle importanti opere di Karl Prantl, William e Martha Kneale e Wilhelm Risse sulla storia della logica (la prima delle quali risalente alla metà dell’Ottocento), ed è tutt’altro che scomparsa dagli studi recenti sul Valla nonostante sopravviva in forme anche molto diverse tra di loro. Uno degli obiettivi principali del mio libro è mostrare invece come la logica Laurentiana colpisca alcuni capisaldi della logica tradizionale e non miri affatto a ridurre o ad appiattire la dialettica sulla retorica. Se volessimo elencare le acquisizioni fondamentali della logica valliana, possiamo dire che esse risiedono: nell’attenzione agli usi verbali e alla variazione dei contesti semantici in cui occorrono; nel fatto che le regole logico-semantiche possono essere fissate solo a valle di una meticolosa analisi delle ricorrenze linguistiche all’interno del maggior numero possibile di circostanze semantiche; nel subordinare la regula all’exemplum, ovvero il carattere formale e deduttivo delle norme logiche alla mutevolezza dei significati delle parole dai quali esse dipendono. Alcuni di questi punti erano già al centro della logica scolastica, e segnarono una importante tappa evolutiva rispetto alla logica aristotelica; tuttavia, essi verranno sviluppati dal Valla in maniera autonoma e con esiti del tutto differenti. Insomma, la specificità della dialettica valliana si può riassumere nell’idea per cui la logica, se disgiunta dalla dimensione discorsiva e dall’uso ordinario e comune del linguaggio, persegue una validità soltanto astratta, capace perciò di attestare solo parzialmente la verità dei nostri discorsi. Nella misura in cui poggia sul linguaggio naturale, la logica non può ignorare i criteri di composizione linguistica e il valore semantico degli enunciati, né le modalità calcolative e raziocinative del pensiero sono totalmente estranee agli usi linguistici. Insomma, per Valla la logica ha il compito di indagare il modo in cui pensiamo attraverso il modo in cui parliamo. Nulla di più lontano da un mero interesse linguistico o da una mera prospettiva retorica. La logica Laurentiana persegue il medesimo fine di quella tradizionale, ossia stabilire le condizioni di verità e falsità dei discorsi, perciò il Valla può rivendicare la sua logica come l’unica vera e respingere come falsa la maggior parte di quella latina. Parlare di una differenza di scopi tra le due significa mantenerle parallele, quando invece suo obiettivo manifesto e dichiarato è intervenire sullo stesso terreno (repastinare) dei suoi avversari. Non stupisce, allora, se non pochi studiosi abbiano valutato positivamente il paradigma logico valliano alla luce dell’interesse maturato dalla filosofia contemporanea verso la logica non-formale e del suo riscontro all’interno di alcune teorie del linguaggio di area analitica, con le quali condivide l’idea che molti dei problemi filosofici derivino da un uso scorretto e improprio del linguaggio. Al di là del modo in cui lo si giudica, tuttavia, è importante sottolineare che tale accostamento sottende il fatto che quella del Valla non può essere considerata una operazione di mero interesse retorico o, peggio, di confusione tra logica e retorica, ma consiste piuttosto in un riassetto radicale del modo di fare e intendere la filosofia. Se da un lato la riforma valliana recupera alcuni momenti della tradizione retorica e della filosofia scolastica (pur senza mai riconoscerlo), dall’altro li sviluppa in maniera del tutto autonoma e coerente, con esiti innovativi e importanti per la storia del pensiero.
Paolo Castaldo è Assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II e Dottore di Ricerca in Filosofia tardo-antica, medievale e umanistica presso l’Università degli Studi di Salerno. I suoi interessi si concentrano prevalentemente su autori moderni e primo-moderni, con particolare attenzione all’evoluzione del rapporto tra logica e retorica all’interno della tradizione umanistica e alla sua ricezione in età contemporanea. È autore di Logica Laurentiana. Lorenzo Valla e la linguistica riforma della metafisica e della dialettica, Roma, Aracne, 2020.