
A leggere il Vostro libro, la logica appare talvolta assai illogica: possiamo fidarci di essa?
Il titolo Logica a processo si può intendere in un doppio senso. Non solo casi giudiziari in cui servirebbe o sarebbe servita un po’ di logica, ma addirittura una causa in cui è la logica stessa alla sbarra, per dibattere i suoi svantaggi e i suoi benefici. La nostra opinione è che la logica sia necessaria per impostare e sviluppare con chiarezza idee e teorie dentro e fuori la giustizia. Dopo di che, ritenere che la logica risolva ogni problema è pura utopia. Nell’ambito giudiziario si deve certamente affiancare ai metodi investigativi oggi in uso, informatici, fisici, chimici o biologici, e deve aiutare a indirizzarli. Nel libro citiamo il caso di un programma logico, il Prolog, che anni fa fu adoperato in Gran Bretagna per controllare la coerenza di un atto delicatissimo sul riconoscimento della cittadinanza. Fu ovviamente eseguito al calcolatore. Ecco, l’equilibrio tra la macchina che lavora e la mente che programma e dirige può essere talora il segreto del successo. D’altra parte, insistiamo, neppure la logica è assoluta e infallibile. Come i teoremi di incompletezza di Goedel dimostrano, perfino in aritmetica esistono verità indimostrabili. Non ci riferiamo alla congettura di Goldbach, che un giorno o l’altro, magari domani stesso, potrà essere chiarita, come anni fa avvenne col mistero analogo dell’Ultimo Teorema di Fermat. Ci riferiamo all’esistenza, per ogni sistema matematico deduttivo che voglia trattare dei numeri interi, e lo faccia in modo scientificamente coerente, di affermazioni sui numeri stessi che quel sistema non saprà dirimere, né ora né mai. Di più: quand’anche volessimo di conseguenza affidarci a un sistema più evoluto e potente, anche questo sperimenterà gli stessi imbarazzi. L’ultima verità, in aritmetica, non si raggiunge.
Qual è stato a Vostro avviso il caso più eclatante di aporia giudiziaria?
Equilibrismi giudiziari, conclusioni poco convincenti si osservano in molte cause anche famose. Ci pare ingiusto fare nomi e cognomi, se non di fantasia. Allora citiamo Jacques il fatalista di Diderot, in cui incontriamo un carcerato che rivela d’essersi processato da solo, d’aver vinto la causa e dunque di ritrovarsi in galera. Una situazione surreale, che crediamo lontana dalla pratica delle aule giudiziarie, ma adatta e riflette – a proposito di verità – il classico paradosso del mentitore, secondo cui chi afferma “sto mentendo” sta mentendo se e solo se sta dicendo la verità. Nel libro ricordiamo molte altre situazioni analoghe, prese tutte da libri o film.
Quando agli infortuni logici degli operatori di giustizia, è facile incontrarne quando ci si avventura nel così detto periodo ipotetico, dunque a un’ipotesi e una tesi che vanno riconosciute e distinte. Affermare che “se piove prendo l’ombrello” corrisponde a un’elementare norma di prudenza; ma sostenere al contrario “se prendo l’ombrello piove” evoca l’immagine promettente di qualche mago della pioggia, da impiegare in tutti i casi di siccità. Infortuni di questo genere sono capitati anche in processi alla camorra. Un conto è sostenere di un sospettato “se stava a Roma, allora ha visto il papa”, e un conto “se ha visto il papa allora stava a Roma”. La seconda affermazione è ragionevole (assumendo che il pontefice non fosse impegnato in viaggi pastorali), la prima azzardata. Con un uso così disinvolto di logica e grammatica, ogni aporia diventa possibile. Il guaio è che perfino autorevoli politici italiani, e addirittura presidenti americani del passato, sono caduti in simili infortuni.
I telefilm americani ci hanno abituato alla formula della colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio ma a leggere il Vostro libro essa sembrerebbe utopistica
Non tutti, in verità. E comunque anche quei telefilm la cui formula richiede che alla fine si smascheri un colpevole non sempre corrispondono esattamente alla realtà. Lo vediamo anche in casi giudiziari nei nostri giorni: come interpretare per esempio la prova del DNA? Per certi versi sembra inequivocabile, eppure periti, pubblici ministeri e avvocati difensori tendono talora a sviluppare opinioni diverse, interpretando in un modo o in altro i dati statistici. Abbiamo la sicurezza assoluta che tutte le sentenze corrispondono alla verità? Ma anche partendo da questa certezza, che opinione possiamo farci di casi in cui i livelli di giudizio sono 3 e più di 3, e con esiti discordi? La sentenza che conta è ovviamente l’ultima. Ma allora perché in precedenza si è deciso diversamente? Si ritorna al discorso dell’aporia e alla domanda precedente.
La logica aristotelica è morta?
La logica aristotelica non è morta, come non lo è la geometria di Euclide. Sono teorie meravigliose e giustamente celebrate, ma ormai superate. I sillogismi di Aristotele hanno aiutato per millenni la ricerca scientifica, ma ormai da secoli il loro impianto è insufficiente. Per esempio si applicano a proprietà di singoli individui (“essere un uomo”, “essere mortale”), ma la realtà è più complessa e spesso si affida a relazioni binarie, se non a più posti: per restare a casi familiari, desunti dalla vita di tutti i giorni, si è padri di un figlio, o figli di un padre, ci si sposa o si divorzia in due. Per la scienza, poi, le cose si complicano ulteriormente.
Prof. Toffalori, Lei si è occupato molto dei rapporti tra matematica e letteratura, un apparente ossimoro
Non direi. Credo che alla base di tutto, e quindi anche di matematica e letteratura, ci sia l’esigenza di un unico respiro culturale, che evidenzi e approfondisca i legami sottili che esistono tra le scienze. Numeri e lettere, dunque matematica e letteratura, stanno alla base del nostro linguaggio e della nostra civiltà. Adesso le due vie spesso si divaricano, ma questo non esclude affatto comuni denominatori anche affascinanti. Non si tratta solo di esplorare questa o quell’opera letteraria alla ricerca di citazioni matematiche, per poter dire agli increduli “vedete? anche la matematica è presente nei capolavori!”. Ci sono matematici scrittori, come Lewis Carroll, Bertrand Russell, volendo Robert Musil, e scrittori matematici, come Platone, lo stesso Dante o, in tempi più recenti, Borges. Ma esiste sopratutto quella “leggerezza della pensosità”, tipica della scienza e in particolare della matematica, di cui parla Calvino nelle Lezioni Americane. Capacità di volare e di fuggire la superficialità.
Quali sono i Vostri prossimi progetti di ricerca?
Carlo Toffalori: Se devo dire la verità, vorrei riposarmi un po’ e magari andare presto in pensione. Ma poi, per fortuna o per disgrazia, capitano sempre nuove proposte e nuove sfide, resto tentato e mi faccio coinvolgere. Purtroppo non sono mai stato bravo a dire di no. Mi piacerebbe approfondire ancora un po’ il legame tra matematica e letteratura, e poi ritornare alla vecchia ricerca su teoria dei modelli – un settore di confino tra la logica matematica e l’algebra.
Stefano Leonesi: In realtà sto già scrivendo un altro libro, sempre per la casa editrice Franco Angeli, stavolta sui legami tra matematica e crittografia, l’arte dei codici segreti, per intenderci. Purtroppo le vicende del recente sisma che mi hanno colpito da vicino hanno imposto una momentanea sospensione, ma conto di riprendere presto la stesura. E, visto che il coautore ha ammesso di non saper dire di no, gli proporrei di collaborare a questa nuova sfida.