“Lo Stato sociale. Storia, politica, economia” di Francesco Farina

Prof. Francesco Farina, Lei è autore del libro Lo Stato sociale. Storia, politica, economia pubblicato da Luiss University Press: quale attualità mantiene la formula «stato sociale»?
Lo Stato sociale. Storia, politica, economia, Francesco FarinaMi fa piacere cominciare l’intervista rispondendo ad una domanda come questa. Essa suggerisce come la teoria ortodossa abbia imposto una visione distorta dello Stato sociale. Nel dibattito economico e culturale persiste infatti un profondo fraintendimento sulla natura delle istituzioni di Welfare e sul modo in cui esse si interrelano con l’economia di mercato. Nella visione neoliberista dell’economia, il ruolo delle istituzioni di Welfare andrebbe ridimensionato. Esse rappresenterebbero infatti una potenziale minaccia per l’equilibrio macroeconomico e la crescita. Solo con uno “Stato minimo” la “mano invisibile” del mercato non troverebbero ostacoli nel perseguimento dell’efficienza da parte del sistema delle imprese. Le cose stanno esattamente all’opposto. Come Joe Stiglitz ha argomentato, le economie di mercato dei Paesi avanzati versano in una condizione tutt’altro che ottimale non a causa, ma nonostante l’intervento pubblico. La realtà è che lo Stato sociale non è un blocco di politiche pubbliche estraneo al sistema economico, giustapposto al funzionamento delle imprese e del mercato. Lo Stato sociale rappresenta la “mano visibile” che mette in comunicazione le forze di mercato con i bisogni della società. Senza la regolamentazione del mercato del lavoro, le istituzioni di ridistribuzione del reddito, e l’offerta di beni meritori fondamentali quali la sanità pubblica e l’istruzione pubblica, il sistema economico finirebbe per dare luogo ad una distribuzione del reddito nella quale i lavoratori low-skill sarebbero sempre più marginalizzati dal progresso tecnico e dall’automazione (nei paesi avanzati, l’elevata disoccupazione e la precarietà dei posti di lavoro dei lavoratori “deboli” si riflettono nel continuo incremento della diseguaglianza interpersonale del reddito), e i giovani appartenenti a famiglie “svantaggiate” (in particolare se vivono in un contesto sociale degradato e in regioni arretrate) vedrebbero allontanarsi per sempre le loro aspirazioni alla “mobilità sociale” a causa di una scarsa istruzione e formazione professionale. La necessita di “modernizzare il Welfare” è uno slogan continuamente ripetuto sui media. Esso nasconde l’obiettivo delle forze conservatrici di ridurre ancora di più la resistenza dei movimenti politici e sindacali che si oppongono ad un ulteriore ampliamento del divario di potere fra manager delle imprese e operatori finanziari da un lato e classi lavoratrici che subiscono le decisioni, spesso ispirate ad un movente del profitto a breve termine, piuttosto che alla creazione di “buoni lavori” e di una crescita equilibrata di lungo periodo.

Come si è evoluta la nozione di stato sociale negli ultimi decenni?
Il secondo dopoguerra, apparso per decenni come una perdurante era di pace e prosperità, oggi somiglia piuttosto a una felice parentesi. Il trionfo dell’ideologia neoliberista ha portato con sé l’aumento incontrollato delle disuguaglianze, il blocco della mobilità sociale e il dilagare dei populismi. L’incedere impetuoso dell’automazione, che potrebbe creare enormi opportunità per le società umane, rischia di trasformarsi in un generatore continuo di nuovi poveri, mentre nessuno sembra in grado di mettere in atto politiche efficaci contro un disastro ambientale che giorno dopo giorno appare sempre più inevitabile. Le parole “Stato sociale”, in questo contesto, sembrano ridotte a una stanca formula con la quale etichettare qualche iniziativa mirata al contrasto della povertà. Un approccio a dir poco miope. Il mio libro propone invece l’uguaglianza delle opportunità come stella polare della rinascita di politiche sociali volte alla protezione dei cittadini e alle loro condizioni di vita, ponendo potenziamento dei servizi pubblici, della sanità e dell’istruzione, tutela del pianeta e rafforzamento del welfare come precondizioni essenziali per una crescita stabile e equa. Occorre un rinnovato impegno per raddrizzare le sorti della società capitalistica in declino. Occorre superare la prospettiva dell’economia ortodossa, dove il benessere sociale coincide con la massimizzazione del PIL aggregato, per mettere di nuovo al centro dell’analisi e della politica la distribuzione del reddito e della ricchezza e la coesione sociale.

In che modo il principio dell’uguaglianza delle opportunità può costituire la base per la rinascita di politiche sociali volte alla protezione dei cittadini e alle loro condizioni di vita?
Le politiche per la modernizzazione del Welfare debbono consistere nel rafforzare quelle istituzioni che consentano il perseguimento dell’”eguaglianza di opportunità”, mettendo tutte le persone sulla stessa linea ai blocchi di partenza nella corsa della vita, non il continuo riferimento al taglio delle pensioni come l’unica politica per affrontare la questione dell’invecchiamento demografico e del conseguente insufficiente finanziamento delle istituzioni di Welfare. La capacità del Welfare di ridurre la diseguaglianza di reddito, di ricchezza e di opportunità è l’unica strategia per un rafforzamento dei fattori della crescita, soprattutto dopo la pandemia.

Quale rilevanza assume il potenziamento dei servizi pubblici, della sanità e dell’istruzione per una crescita stabile ed equa?
La teoria economica neoclassica assume che la crescita sia correlata negativamente con il rafforzamento dello Stato sociale. L’evidenza econometrica più recente, anche quella delle ricerche di istituzioni come il Fondo monetario internazionale, mostra invece il contrario. Nei paesi avanzati, il segno della correlazione fra crescita economica e diseguaglianza del reddito è negativo: meno diseguaglianza, più crescita. Questo vuol dire che più risorse vanno investite nelle istituzioni di Welfare, soprattutto allo scopo di innalzare il livello di qualificazione della forza lavoro a fronte delle più sofisticate tecnologie utilizzate dalle imprese. Nell’era dell’automazione e della robotica, e in un mondo che ha sempre più necessità di infrastrutture per la difesa della salute e dell’ambiente, una compartecipazione pubblico-privato negli investimenti innovativi può garantire la realizzino progetti di investimento nei beni pubblici e nell’ambiente, il cui rendimento si può materializzare solo nel lungo periodo.

Su quali basi è possibile un rafforzamento del welfare?
Compito dello Stato sociale non deve essere semplicemente quello di creare una “safety net” per i più poveri, per compensare con dei sussidi i “perdenti” della globalizzazione e del progresso tecnico. Limitare l’intervento pubblico al sussidio non fa che “ratificare” la posizione di debolezza nel mercato dei lavoratori dotati di basse skills a causa di un background familiare e sociale “svantaggiato”. L’intervento pubblico deve porsi, come suo principale compito, il potenziamento delle opportunità dei giovani “svantaggiati”, per “metterli in grado” di possedere qualificazione e competenze adeguate per rafforzare la propria partecipazione al mercato del lavoro e alla società.

Lo Stato sociale – attraverso l’assicurazione dei rischi microeconomici e macroeconomici e la pura ridistribuzione del reddito – è in grado di trasformare da “viziosa” in “virtuosa” la cross-correlation che si determina fra le dimensioni del benessere: più istruzione conduce sia a più salute sia a più reddito. Nel sostenere il reddito, la salute e l’istruzione – attraverso l’incremento dei loro livelli realizzato dagli spillovers di segno positivo che si mettono in atto fra le dimensioni – le istituzioni di Welfare aumentano la resilienza della popolazione e favoriscono l’introduzione di progresso tecnico da parte delle imprese, superando i problemi di mismatch fra domanda e offerta di lavoro.

Nel libro Lei propone il superamento la prospettiva dell’economia ortodossa in cui il benessere sociale coincide con la massimizzazione del PIL: quale ruolo svolge la distribuzione del reddito e della ricchezza per favorire la coesione sociale?
Il modello della teoria neoclassica, l’Equilibrio economico generale, si basa sul comportamento di un unico individuo, l’”individuo rappresentativo”. L’analisi economica risulta affetta da un eccesso di riduzionismo che la allontana dalla realtà. L’eterogeneità fra gli individui è un dato di realtà fondamentale, che si manifesta già nella “lotteria della vita”. Fin dalla nascita, le persone sono differenti fra loro; le differenze aumentano poi a causa del contesto famigliare e sociale in cui i giovani crescono. Soltanto mettendo al centro dell’analisi la distribuzione del reddito invece del PIL aggregato si possono affrontare i problemi di una società divisa in gruppi sociali dotati di diverso potere nei mercati. L’economia di mercato tenda in vari modi ad accrescere le diseguaglianze. Considerando l’eterogeneità fra le persone è possibile concepire e mettere in campo le politiche economiche appropriate per realizzare una crescita economica sostenuta ed al contempo equa, tale da favorire la coesione sociale.

Francesco Farina è stato docente di Economia nelle Università di Napoli L’Orientale, Toronto, Perugia e per molti anni nell’Università di Siena, dove ha anche ricoperto la Jean Monnet Chair in European Macroeconomics. Alla Luiss, ha condiviso con Tony Atkinson l’insegnamento del corso di European Welfare and Labour Policies del Master in European Studies, ed ha insegnato Economia internazionale. Dal 2014 al 2018 è stato presidente dell’Associazione italiana per lo studio dei sistemi economici comparati (AISSEC).

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