
In che modo, nella Sua analisi, ha adottato l’impostazione proposta dagli storici francesi delle Annales Pierre Sorlin e Marc Ferro?
Seguendo il metodo di Ferro e Sorlin, nel mio libro considero un film in costume da tre diverse angolazioni: come un tipo di “scrittura” del passato, al pari dei romanzi storici; come “fonte” per conoscere la storia del periodo in cui il film è stato prodotto e, infine, quand’è possibile, come “agente di storia”, cioè come protagonista esso stesso di eventi storici. In primo luogo, una pellicola storica può essere analizzata come un tipo di discorso sul passato, cioè come un tentativo di ricostruire le vicende relative a personaggio o a un determinato episodio della storia attraverso uno strumento linguistico molto coinvolgente, basato sulla musica, sul dialogo e sulle immagini in movimento. Da questo punto di vista, il mezzo cinematografico è indubbiamente soggetto ai limiti dovuti al pressappochismo di molti registi, ma è anche dotato degli innegabili vantaggi che sono offerti oggi dalle moderne tecnologie degli effetti speciali, come la grafica digitale. In secondo luogo, un film storico può essere considerato come “fonte storica” per l’epoca in cui è stato prodotto. Molti film ambientati nel passato ci offrono un’informazione sociologica sul modo in cui l’opinione pubblica o il potere concepiscono la propria storia remota o recente. Basti pensare a Cabiria di Giovanni Pastrone del 1914, in cui la conquista di Cartagine richiama quella della Libia da parte dell’Italia giolittiana, avvenuta nel 1912. Venendo a un esempio più recente, un film come Salvate il soldato Ryan del 1998 di Steven Spielberg, che descrive lo sbarco americano in Normandia nel 1944, sembra una giustificazione della politica estera degli Stati Uniti alla fine degli anni Novanta del Novecento. Infine, alcune pellicole storiche sono analizzabili come veri e propri “agenti di storia”. Certi film si sono infatti trasformati essi stessi in “eventi” di una certa importanza sociale. Un esempio classico è il film di Gillo Pontecorvo La battaglia di Algeri del 1966, che descrive il sanguinoso scontro, avvenuto nel 1957, tra i parà francesi del colonnello Mathieu e i ribelli del Fronte di liberazione nazionale algerino. Il lavoro di Pontecorvo determinò subito delle violente reazioni di carattere politico. A Venezia, la delegazione francese si rifiutò di assistere alla proiezione, e fino al 1971 in Francia fu vietata la diffusione del film. La pellicola divenne, fra l’altro, oggetto di studio per le Black Panthers, il partito rivoluzionario statunitense di ispirazione marxista. Alcune azioni di sabotaggio operate dai suoi militanti risultano letteralmente copiate dalle scene di La battaglia di Algeri!
È celeberrimo il caso del legionario con l’orologio al polso nel film Scipione l’Africano di Carmine Gallone: quanto conta l’accuratezza storica nelle pellicole di ambientazione storica?
Molto spesso gli storici “bacchettano” i registi e gli sceneggiatori dei film storici per gli anacronismi che sono piuttosto diffusi in questo genere di pellicole, accusandoli di tradire la storia. Tuttavia, c’è chi sostiene che gli errori commessi nei kolossal possono essere sfruttati addirittura a scopo didattico. Quando gli anacronismi non sono così macroscopici come appunto il legionario con l’orologio al polso di Scipione l’Africano, la “caccia all’errore” è un esercizio stimolante che abitua alla distanza critica rispetto alle immagini di un film, e che suscita discussioni e ricerche storiche non banali per una corretta ricostruzione di ciò che lo schermo ha invece falsato. Non è facile accorgersi, per esempio, che i protagonisti dei film La regina Cristina del 1933 di Rouben Mamoulian, dedicato a Cristina Vasa di Svezia, o Cleopatra del 1963 di Joseph L. Mankiewicz sulla regina d’Egitto, non possono mangiare uva in qualunque stagione, e trovandosi in aree o in secoli che non conoscono l’uva da tavola, ma soltanto quella da vino. E bisogna possedere delle adeguate conoscenze storiche per accorgersi che in El Cid di Anthony Mann non dovrebbero comparire i vetri piani alle finestre, dato che la casa medioevale non aveva vetri ma impannate, cioè tele bianche cerate. Personalmente, però, non darei troppa importanza agli anacronismi. Sono dell’opinione che il giudizio globale su un film debba tener conto delle intenzioni dell’autore. Se il regista non ha l’obiettivo di produrre una dotta dissertazione su un’epoca passata, ma si propone piuttosto lo scopo di evocare l’epopea leggendaria di un grande personaggio, di un eroe o di un condottiero fuori del comune, non va giudicato con eccessiva severità per qualche svarione cronologico. D’altra parte, persino William Shakespeare confonde i costumi delle varie epoche, e nel Giulio Cesare c’è addirittura un orologio che rintocca.
Quali sono i più riusciti film storici di finzione?
Se per film storici “riusciti” si intendono le pellicole che risultano fedeli alle vicende storiche narrate, senza troppi “tradimenti”, bisogna dire che il numero di questi film è molto limitato. Nella stragrande maggioranza, le pellicole in costume rappresentano il passato in modo vistosamente deformato, con i costumi quasi del tutto inventati, ecc. Ribadisco, però, che anche un film storicamente poco attendibile può avere un notevole valore cinematografico. Un’opera come Il gladiatore di Ridley Scott, anche se non serve certo a capire l’età di Marco Aurelio e di Commodo – perché totalmente inattendibile sul piano storiografico – è comunque un ottimo film d’intrattenimento. I lavori cinematografici nei quali le vicende storiche sono riprodotte in modo sufficientemente rigoroso, come ho detto prima, sono molto pochi. Citerei di nuovo Barry Lyndon di Stanley Kubrick, in cui gli ambienti e le scenografie sono rigorosamente originali. Anche la colonna sonora è composta prevalentemente da musica del Settecento, mentre le inquadrature si ispirano fedelmente ai dipinti di autori del XVIII secolo. Quello di Kubrick è un Settecento visto, almeno in gran parte, con gli occhi del Settecento. Anche Il mondo nuovo di Ettore Scola sulla rivoluzione francese è un film storico che offre un’accurata ricostruzione – ben diretta e ben recitata – della fuga del re Luigi XVI, avvenuta nel 1791. Marc Ferro porta come esempio di film fedele alla storia La caduta degli dei del 1969, con la regia di Luchino Visconti, che offre una via regia a chi vuole comprendere la penetrazione del nazismo nell’alta borghesia tedesca. Ma di Visconti va segnalato soprattutto Il Gattopardo tratto dal romanzo omonimo del principe siciliano Giuseppe Tomasi di Lampedusa e ambientato in Sicilia ai tempi della spedizione dei Mille, nel momento estremo della dominazione borbonica nell’Italia meridionale. La grande sensibilità artistica di Visconti spinge il regista a costruire numerose scene ispirandosi fedelmente alla pittura dei macchiaioli, come peraltro ha già fatto nel bellissimo film Senso del 1954.
A cosa si deve il successo del genere storico?
Penso che il fascino dei film storici dipenda dal fatto che le pellicole di questo tipo costituiscono una formidabile “macchina del tempo” in grado di trasferire gli spettatori in mondi ormai perduti attraverso i mezzi di cui il cinema può disporre, quali l’imponenza scenografica, le ricostruzioni in scala reale e oggi la magia della computer graphic. I film storici riescono a rendere visibile e concreto – anche se spesso in modo un po’ “disinvolto” – ciò che altrimenti sarebbe soltanto immaginabile. Con l’aiuto del cinema, eventi remoti riemergono dalla polvere, pronti a raccogliere le proiezioni fantastiche dell’uomo contemporaneo e a fargli rivivere, in virtù dell’immedesimazione che si verifica durante l’esperienza cinematografica, ideali e vicende ormai tramontati da secoli. Assistendo, per esempio, a Master & Commander: Sfida ai confini del mare, un film marinaresco del 2003 del regista Peter Weir, siamo letteralmente proiettati su una nave da guerra della marina inglese agli inizi del XIX secolo, in lotta contro un misterioso veliero francese, l’Acheron, e praticamente non abbandoniamo la nave per tutta la durata del film, identificandoci con i suoi marinai. In generale, l’immagine di un film, per la sua forza impressionista, è capace di rimanere a lungo incisa nella memoria, molto più delle parole di un libro di storia. Per esempio, la straordinaria scena della battaglia di Gaugamela del 331 a.C. fra Alessandro Magno e i persiani, sebbene sia contenuta in un film poco riuscito come Alexander del 2004 di Oliver Stone, è una delle più emozionanti rappresentazioni di un combattimento dell’antichità, e di certo resta impressa nell’immaginario molto più di un nome e di una data letti su un libro. Va anche detto che il gusto del meraviglioso teatrale e della grandiosità che caratterizza i film storici – e specialmente i kolossal epici – è profondamente legato all’essenza stessa del cinema e ne è addirittura alle origini, se si pensa ai lavori di Georges Méliès, regista di trucchi e di fantasmagorie.
Nella sezione del libro sul Novecento è presente, fra l’altro, un capitolo dedicato ai cartoons disneyani di propaganda bellica prodotti durante la Seconda guerra mondiale: quali elementi li caratterizzavano?
Fra il 1941 e il 1945, Walt Disney con i suoi disegni animati viene coinvolto nella realizzazione di cortometraggi di propaganda bellica, che costituiscono una fonte storica di rilievo per conoscere l’epoca in cui sono stati prodotti. I cartoons disneyani che rientrano in questo specifico settore sono poco noti in Italia perché molti di essi non sono mai apparsi in televisione e risultano spesso assenti nei DVD diffusi nel nostro Paese, mentre figurano nelle corrispettive edizioni americane. Già prima di Pearl Harbor, Walt Disney realizza dei cortometraggi per il Department of National Defense e per il National Film Board of Canada, pubblicizzando la vendita dei buoni del tesoro canadesi per la guerra. Protagonisti sono i Tre porcellini, i Sette nani e Paperino, che abbandonano il loro mondo fiabesco e sono contaminati dalla dura realtà della Seconda guerra mondiale. Subito dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti contro il Giappone e la Germania l’8 dicembre del 1941, la produzione disneyana per la propaganda militare si intensifica notevolmente. Tanto per citare un esempio particolarmente significativo, nel cortometraggio The New Spirit del 1942, Paperino apprende alla radio la notizia di nuova imposta governativa per finanziare le spese di guerra. All’inizio, Donald Duck non è molto entusiasta di dover pagare le tasse, ma poi lo speaker lo convince con lo slogan “Tasse per battere l’Asse” (Roma-Berlino-Tokyo). Non appena capisce che le imposte servono per sconfiggere Adolf Hitler, Donald Duck corre a velocità supersonica dalla California fino a Washington per versare di persona il suo contributo. The New Spirit viene diffuso con enorme successo in 12.000 sale cinematografiche ed è visto da circa 33 milioni di spettatori. Secondo un sondaggio Gallup influenza positivamente le intenzioni del 37% dei contribuenti statunitensi, il che attesta la grandissima popolarità di Donald Duck. Il cortometraggio risulta dunque un raro esempio di disegno animato “agente di storia”, perché in grado di influenzare su grande scala il comportamento delle persone.
Andrea Sani si occupa di filosofia, di cinema e di fumetti. Tra le sue pubblicazioni: Infinito (La Nuova Italia, 1998), Il cinema tra storia e filosofia (Le Lettere, 2002), I perché della filosofia (D’Anna, 2014), Blake e Mortimer. Il realismo fantastico della linea chiara (Alessandro Editore, 2015) e Ciak si pensa! Come scoprire la filosofia al cinema (Carocci 2016).