
La sopravvivenza di un impero è un fenomeno talmente complesso da non poter essere attribuito soltanto alla sua capacità di resistere agli assalti nemici. L’esercito, del resto, è espressione della società: ne riflette i valori morali, la resilience, come si usa dire oggi, e si mantiene in efficienza grazie alle risorse umane ed economiche disponibili. Ma certamente la capacità di utilizzare in maniera accorta la forza militare è un aspetto non secondario: il più ricco e solido degli imperi può crollare se non è in grado di respingere degli invasori magari più rozzi e arretrati, ma più efficaci sul campo di battaglia. La pars Orientis dell’impero riuscì a sconfiggere o almeno a contenere molti nemici agguerriti grazie a cambiamenti strutturali nell’organizzazione e nella tattica d’impiego delle vecchie armate tardo-romane: la ricchezza e l’abilità diplomatica dei sovrani di Costantinopoli, da sole, non sarebbero bastate.
Qual è, se esiste, la lezione per la modernità della strategia militare bizantina?
Prima di tutto «adattarsi al nemico», come si legge nei manuali bizantini di arte militare: studiarlo, capire i suoi punti deboli, modificare la propria strategia e la propria tattica in funzione delle caratteristiche dell’avversario. In secondo luogo, considerare l’uso diretto della forza militare davvero una extrema ratio: ovvero, cercare di neutralizzare le minacce esterne ricorrendo se possibile a misure alternative e a mezzi non convenzionali (anche piuttosto spregiudicati: corruzione, colpi di Stato pilotati, ecc.). Infine, creare una rete di alleanze che possono sempre tornare utili nei momenti difficili…
Lei si è recentemente occupato anche del tema guerriglia, facendo ricadere l’origine della guerra asimmetrica addirittura al mondo bizantino.
Non tanto l’origine della guerra asimmetrica, che esiste da sempre: piuttosto l’origine, nel mondo occidentale, di un pensiero strategico che tenga conto della possibilità della guerra asimmetrica. Come ho già accennato, è l’imperatore Maurizio (582-602) che mette per primo in evidenza nel suo Strategikon come sia necessario sfruttare a proprio vantaggio tutte le possibili «asimmetrie» con i nemici. E la petite guerre, ovvero la guerra condotta da piccoli contingenti mobili con tattiche basate sulla rapidità più che sulla forza d’urto, viene analizzata e teorizzata in un altro trattato bizantino del X secolo, attribuito a un anonimo ufficiale vicino all’imperatore Niceforo II (963-969)…
In epoca di terrorismo diffuso e nuove minacce globali, quale deve essere a Suo avviso la strategia difensiva della nostra civiltà?
Mai fare quello che il nemico si aspetta da noi. L’ISIS vuole farci sentire sotto assedio: è ovviamente necessario mantenere un alto livello di attenzione, ma non dobbiamo snaturare i nostri comportamenti individuali e collettivi, né tradire i principi su cui si basa la nostra civiltà – tolleranza, pluralismo, libertà di culto e opinione… Bisogna dimostrare – specialmente alle giovani generazioni del mondo islamico – di essere prima di tutto moralmente più forti di chi ci attacca; e poi, all’occasione, bisognerebbe anche avere la determinazione politica per colpire obiettivi specifici in maniera devastante, dimostrando di saper usare con intelligenza la nostra enorme superiorità militare. È assurdo che non si sia stati ancora in grado di sradicare l’ISIS da Mosul e Raqqa.
Quali sono i Suoi prossimi progetti letterari?
Sto terminando di scrivere (per la Mondadori) la storia di Andrea Adorno, Medaglia d’Oro al Valor Militare per atti di eroismo in Afghanistan: il volume uscirà a marzo col titolo Nome in codice: Ares.
Per la fine del 2017 è prevista poi l’uscita di una biografia militare di Scipione Africano per la casa editrice Salerno. Subito dopo, completerò uno studio sulla Guerra di Corea del 1950-1953, con «aperture» sulla difficile situazione presente… Questo saggio uscirà per la casa editrice Il Mulino di Bologna all’inizio del 2018.