“Lo cunto de li cunti” di Giambattista Basile

Lo cunto de li cunti, Giambattista Basile, riassunto, trama«Nel Seicento, il secolo segnato dalla civiltà del Barocco, la letteratura italiana fu più letteraria che mai: di retori per retori. Ma appena quel gusto e le condizioni di società e di mentalità che l’avevano promossa cambiarono, gli araldi parlarono di ‘delirio del cattivo gusto secentesco”. […]

Ecco allora Giambattista Basile, un napoletano vissuto fra Cinquecento e Seicento (nacque intorno al 1575, morì nel 1632), ed ecco il suo capolavoro: Lo cunto de li cunti o, anche, Pentamerone, cioè una raccolta di cinquanta fiabe (questo è il senso di cunti), divisa, secondo il modello boccaccesco, in cinque giornate e rivolto, in apparenza, ai ragazzini (il sottotitolo lo dice: Overo lo trattenemiento de’ peccerille), ma in realtà scritto per gli adulti. Basile fu uno dei tanti avventurieri onorati (così li dicevano) del tempo. Militò al servizio di Venezia, ricoprì vari uffici di segretario e di governatore presso l’amministrazione spagnola di Napoli e alcune corti di signori feudali; scrisse nella lingua letteraria non molte cose e di non grande rilevanza; fu attratto poi dal tentativo di un amico fraterno, Giulio Cesare Cortese, di dar vita a una produzione artistica in dialetto, e compose il suo capolavoro, che oggi i non napoletani possono leggere in una bella traduzione italiana di Benedetto Croce.

L’operazione del Basile rientra tutta nel gusto del Manierismo e del primo Barocco, che lo portarono a cercare strade nuove, lavorando su temi che solo da poco qualcuno aveva cominciato a trattare, e cimentandosi in una lingua popolare utilizzata con la consapevolezza del letterato esperto. Ed ecco, ancora, quel prendere a modello il Decameròn, cioè il testo sacro della novellistica italiana, ma stravolgendolo: a raccontare non sono dame e cavalieri dell’aristocrazia mercantile, ma dieci comari (Zeza sciancata, Cecca storta, Meneca gozzosa e così via) radunate da un principe per divertire la moglie incinta…, così come negli stessi anni il modenese Alessandro Tassoni rifaceva giocosamente la letteratura epica narrando una ridicola guerra per una secchia di legno.

Un divertimento, quindi, e il capovolgimento, retorico, di ogni legge retorica; soprattutto una indiavolata invenzione linguistica, tutta nel gusto barocco. Ne darò un esempio solo, ma che può valere per mille. Per dire che si fa giorno e spunta il sole, Basile scrive: «Quando il Sole uscì a sciorinarsi per mandare fuori l’umido assorbito nel fiume dell’India», oppure: «Quando il Sole con le ginestre d’oro dei raggi spazza le immondizie della Notte dai campi innaffiati dall’ Alba» e così via, in modi ogni volta estrosamente nuovi. Perché? Al centro della poetica del Barocco c’era il principio condensato dal Marino in un verso celeberrimo: «È del poeta il fin la meraviglia»; trovare espressioni nuove per meravigliare il lettore, servendosi soprattutto della metafora. Basile applica questo principio, ma a modo suo. C’era già nella poesia precedente un luogo comune, un’immagine consacrata e ormai obbligata per definire lo spuntare del giorno: l’immagine dell’Aurora che abbandona il letto del vecchio marito Titone. Anche Dante l’aveva usata: «La concubina di Titone antico / già s’imbiancava al balco d’orïente, / fuor de le braccia del suo dolce amico»; Tassoni l’aveva ripresa variandola giocosamente: il sole la sorprende «ignuda in braccio al suo Titon geloso, ond’ella rossa in volto, alzando il petto, con la camicia in man fuggia dal letto»; Basile la varia in modi ogni volta nuovi, con metafore arditamente giocose.

È chiaro allora il senso della sua operazione: il lettore del suo tempo, quello per cui Basile scrive, adulto e colto, educato al gusto barocco, si può divertire allegramente a quelle novità ardite, dove sapienza letteraria, gusto dell’eversione, estrosità di invenzione, abilità nell’uso della lingua si fondono insieme, permettendo di esprimere, meglio di come non gli riesca negli scritti seri e in lingua, tanti suoi moti affettivi. Anche il lettore moderno — quello non contaminato da tabe letteraria, quello che si annoia al metaforeggiare barocco applicato a descrizioni serie e gravi — si diverte a questo allegro giocare: le fiabe che ha ascoltato da bambino, rifatte così estrosamente, acquistano un sapore nuovo, e intanto — cosa che non guasta — impara anche a capire quanto molteplice.e varia fosse quella civiltà del Barocco, così pomposamente stucchevole nelle pagine di tanti suoi cultori seriosi.»

tratto da Il piacere di leggere. La letteratura italiana in 101 libri di Giuseppe Petronio, Arnoldo Mondadori Editore

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