
In tal senso la prospettiva diacronica si distingue da quella sincronica, che fa riferimento all’indagine delle lingue in un momento dato, senza considerarne le evoluzioni e i cambiamenti che si verificano in successione. La linguistica diacronica non si sottrae, però, al confronto con la sincronia: al contrario, in questo ambito è particolarmente importante l’utilizzo di principi e metodi della linguistica generale nella riflessione sui fenomeni di mutamento, allo scopo di giungere a generalizzazioni teoriche sul modo in cui le lingue cambiano, per quanto ambizioso e complesso questo obiettivo possa essere.
Riassumendo, dunque, la linguistica diacronica è parte della linguistica storica, all’interno della quale essa si caratterizza per l’interesse specifico verso gli aspetti teorici del mutamento. Tuttavia, come si può leggere anche nel libro, nel caso della linguistica diacronica l’aspetto teorico e l’aspetto empirico sono strettamente correlati, poiché, da una parte, qualsiasi teoria sul mutamento va testata su dati reali, dall’altra i dati ricavati dall’analisi del mutamento in singole lingue formano la base della teoria.
Cosa vuol dire indagare le lingue in diacronia adottando una prospettiva tipologica?
La tipologia è quell’ambito di ricerca che si occupa della distribuzione interlinguistica delle proprietà grammaticali e lessicali, esaminando quindi come le lingue eventualmente si differenziano tra loro, ma anche quali tratti esse hanno necessariamente in comune. I suoi principali obiettivi sono la classificazione delle lingue in tipi, l’individuazione di universali linguistici e la ricerca di spiegazioni delle differenze e somiglianze tra le lingue basate sul concetto di funzione.
Studiare i dati relativi al mutamento linguistico da un punto di vista tipologico vuol dire “trasferire” in diacronia le generalizzazioni sul linguaggio a cui la tipologia giunge attraverso lo studio della variazione. Tali generalizzazioni possano dare un contributo significativo al lavoro di ricerca di tipo diacronico: più nello specifico, possono essere utili nel valutare la plausibilità di ipotesi formulate sul mutamento e sulla sua direzionalità, e nel far emergere eventuali restrizioni sul suo attuarsi, ma possono anche aiutare a spiegare certi percorsi di cambiamento individuati nelle singole lingue e spesso riconducibili a tendenze condivise.
Per fare un esempio, se voglio studiare l’evoluzione della espressione verbale del possesso nelle lingue indoeuropee adottando la prospettiva tipologica, dovrò partire dalla distinzione che è stata fatta in tipologia tra i diversi tipi di forme e costruzioni che presentano questo valore: vedrò, allora, che i cambiamenti che hanno interessato il latino (per citare una lingua specifica) in termini di codifica verbale del possesso possono essere descritti come il passaggio da un tipo di lingua che utilizza a tale scopo il verbo essere ad un tipo di lingua che impiega il verbo avere.
In che modo analizzare ciò che accade nelle lingue contemporanee può aiutarci a gettare luce su ciò che è accaduto nelle lingue del passato?
Quando analizziamo lingue del passato – intendendo con questa definizione sia lingue attestate in epoche remote e non più parlate sia le fasi più antiche di lingue tuttora usate – ci troviamo di fronte ad un problema non irrilevante: il fatto che, per ovvie ragioni, non abbiamo la possibilità di interrogare parlanti nativi sull’uso della loro lingua, per cui i dati dei quali disponiamo sono interamente tratti da corpora testuali chiusi, spesso di natura prevalentemente letteraria, e difficili da contestualizzare con precisione. Non a caso, la linguistica storica è stata descritta da Labov in un lavoro del 1994 come the art of making the best use of bad data.
I fenomeni, i processi, le forme e le relazioni linguistiche che rileviamo e che cerchiamo di analizzare nelle lingue parlate oggi possono dunque aiutarci in questo tentativo di fare il miglior uso possibile di questi dati, colmando, almeno in parte, le nostre lacune nella conoscenza di determinati fatti linguistici. Questo alla luce dell’applicazione del cosiddetto “principio di uniformità” (uniformitarian principle), per cui la natura delle lingue del passato non è diversa da quella delle lingue del presente. Ciò comporta, indirettamente, che si possa supporre che anche il mutamento non agisce nelle lingue del passato diversamente che nelle lingue del presente (tenendo però conto delle dovute differenze, che riguardano in modo particolare la natura delle società presenti e passate).
In tal senso, per ricollegarci alla domanda precedente, è particolarmente significativo anche lo studio tipologico sul rapporto tra forme o costruzioni e funzioni: le correlazioni individuate in tipologia a partire da dati di lingue parlate posso costituire un valido aiuto nel tentare di individuare quelle stesse correlazioni anche in lingue per le quali non disponiamo di sistemi di verifica attraverso i parlanti, come, appunto, per le lingue che abbiamo definito del passato.
Come viene affrontato nel Suo libro il rapporto tra diacronia e tipologia?
Nel mio libro il rapporto tra linguistica diacronica e tipologia viene trattato guardando innanzitutto alle potenzialità aperte dal dialogo tra questi due diversi approcci e tenendo in considerazione non solo il contributo della tipologia alla linguistica diacronica, ma, viceversa, quello della linguistica diacronica alla tipologia. Al tempo stesso, viene dato spazio alle difficoltà che a vari livelli possono nascere dal confronto tra questi due ambiti. Viene inoltre prestata particolare attenzione all’esemplificazione dei diversi problemi affrontati attraverso la presentazione e discussione di dati concreti e di casi studio da lingue diverse, prime tra tutte quelle della famiglia indoeuropea, spesso poste a confronto con lingue di diversa appartenenza genealogica.
Maria Napoli è Professore Associato di Linguistica e Glottologia all’Università del Piemonte Orientale. Si è laureata in Lettere all’Università di Pisa, dove ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca. Si occupa principalmente di linguistica storica, ambito in cui ha pubblicato vari contributi in sedi nazionali e internazionali, specie su temi come tempo e aspetto, il passivo, l’(in)definitezza, la struttura argomentale, l’intensificazione, il multilinguismo nel mondo antico. È autrice della monografia Aspect and actionality in Homeric Greek, FrancoAngeli, Milano (2006).