
Perché studiare il linguistic landscape?
I motivi per cui avvicinarsi allo studio del linguistic landscape sono innumerevoli e molto vari: un intero libro non è sufficiente a esplorarli tutti. Prendendo in considerazione anche il solo piano linguistico, la segnaletica serve prima di tutto una funzione informativa: guardare quali lingue trovano spazio nel panorama linguistico ci permette di avere un’idea della realtà multilingue e sociolinguistica che ci circonda. Da un lato, quindi, possiamo analizzare le caratteristiche di questa specifica forma di comunicazione, nonché gli esiti del contatto linguistico e culturale, dall’altro lato lo studio del linguistic landscape ci aiuta a capire, in parte, quali gruppi o comunità etnolinguistiche vivono in una zona e come interagiscono tra loro. Dico in parte perché, in realtà, il panorama linguistico presenta anche una funzione simbolica: la presenza (o l’assenza) di una specifica varietà linguistica sui segni del linguistic landscape, in questo senso, non riflette sempre e necessariamente la presenza (o di nuovo, l’assenza) di parlanti di tale lingua nell’area considerata. Pensiamo, ad esempio, alla pressoché totale invisibilità del rumeno nei panorami urbani italiani contrapposta alla forte presenza di persone parlanti questa lingua sul territorio nazionale; viceversa, pensiamo alla grande quantità di insegne in inglese che si trovano nelle città italiane, rispetto alla reale competenza linguistica degli italiani in questa lingua, che risulta tra le più basse in Europa. Le tracce linguistiche osservabili nel linguistic landscape, perciò, possono essere lette come un’indicazione dello status relativo delle lingue all’interno della società, delle relazioni di potere, di politiche linguistiche, esplicite o nascoste, e degli ideali culturali prevalenti. Riconoscere la portata simbolica dei segni linguistici e semiotici visibili in un contesto urbano e studiarne caratteristiche e modelli, di conseguenza, può avere importanti conseguenze sotto diversi punti di vista, in primo luogo per quanto riguarda la pianificazione e realizzazione di spazi maggiormente inclusivi. Tengo, inoltre, ad aggiungere come l’esplorazione del linguistic landscape possa essere molto utile anche in chiave didattica: coinvolgere bambini e ragazzi in passeggiate linguistiche non solo può favorire l’apprendimento linguistico stesso, di nuovo pensiamo all’inglese, ma può stimolare una riflessione sul piano dell’educazione plurilingue e interculturale e far sviluppare così consapevolezza linguistica critica.
Come si conduce una ricerca di linguistic landscape?
Il modo in cui portare avanti una ricerca di linguistic landscape è, credo, ciò che mi ha fatto appassionare a questo campo di studi. Quando ero più piccola pensavo che fare ricerca significasse stare chiusi in un laboratorio, circondati da libri, formule e computer: niente di più diverso dalla realtà. C’è anche questa parte, certo, ma studiare il linguistic landscape significa prima di tutto viaggiare, esplorare città e non solo, con lo smartphone in mano,
parlando e conoscendo persone, guardando con occhi diversi ciò che abbiamo sempre avuto davanti e a cui non avevamo mai prestato attenzione. Per condurre una ricerca in questo settore si parte sempre da una domanda di ricerca, da una curiosità, una lacuna a livello teorico o da una necessità pratica. Ad esempio, potremmo chiederci quali lingue siano visibili per le vie di una città, potremmo interrogarci sui motivi alla base della loro presenza/assenza, chiederci se tra quartieri diversi si osservino differenze e perché, se la pandemia abbia provocato cambiamenti nella segnaletica e in che termini; potremmo voler capire se e perché l’italiano sia visibile nelle città all’estero, come venga percepito e come sfruttare ciò per incentivare lo studio della lingua. A seconda del nostro scopo, dovremo poi stabilire quale o quali zone mappare: una via, un quartiere, più rioni? Solo l’esterno o anche l’interno di negozi ed enti? Dovremo scegliere cosa considerare unità d’analisi: singoli segni o intere facciate? Cartellonistica in tutte le sue forme, solo determinate tipologie di segni (insegne, toponimi, graffiti, eccetera) o, ancora, altre forme di comunicazione scritta pubblica? Sarà poi necessario riflettere su come raccogliere i dati: una caratteristica degli studi di linguistic landscape è l’utilizzo di fotografie che oggi vengono ottenute soprattutto tramite smartphone e, in alcuni casi, con specifiche app, che permettono di geolocalizzare l’occorrenza e di apporre tag e indicazioni utili alla catalogazione quando ancora ci si trova sul campo. Queste etichette, linguistiche ma non solo, saranno necessarie infine per l’analisi, quantitativa, qualitativa o mista, che si deciderà di portare avanti, diversa a seconda dello scopo stesso della ricerca.
Esistono molti modi, tutti validi se opportunamente giustificati, di condurre una ricerca di linguistic landscape e ciò è ancora più vero se si considera come il campo di studi abbia avuto una forte espansione negli ultimi anni, espansione che ha riguardato gli ambienti stessi da investigare: io, ad esempio, non mi sono occupata, in questa specifica ricerca, di guardare quartieri cittadini, ma ho deciso di esplorare il panorama linguistico interno delle scuole italiane. Si parla di questo senso di schoolscape, che ho definito come l’insieme di oggetti linguistici e semiotici che contribuiscono all’organizzazione visiva degli spazi educativi. Scopo della mia ricerca era quello, da un lato, di definire un metodo di ricerca che, ponendosi in continuità con quanto fatto in ambiente urbano, potesse risultare adeguato ad indagare il panorama linguistico e semiotico scolastico. Dall’altro lato, volevo indagare come lo schoolscape venisse percepito, concepito e vissuto, con l’obiettivo di descrivere e comprendere usi anche linguistici, atteggiamenti e funzioni dello schoolscape nel peculiare contesto italiano.
Come viene percepito e vissuto lo schoolscape?
Per indagare lo schoolscape in tutte le sue forme mi sono servita di strumenti di ricerca multipli: non solo ho mappato le pareti di aule, atri e corridoi di dodici scuole secondarie, di primo e secondo grado, situate in nove diverse regioni italiane, ma ho anche consultato documenti e siti internet, ho intervistato dirigenti, responsabili intercultura e docenti con funzione strumentale, e ho somministrato questionari a insegnanti e studenti. Grazie a tutte e tutti loro, alla loro disponibilità e gentilezza, ho avuto l’opportunità di leggere e interpretare la grande quantità di dati ottenuta e di iniziare a capire come e perché uno schoolscape assuma una determinata conformazione, come lo si percepisca insomma, e come venga vissuto dai diversi attori scolastici, che consapevolezza ne abbiano e che effetti tutto ciò provochi a livello di atteggiamenti linguistici. L’aver scelto di consultare coloro i quali in prima persona sono responsabili della creazione dello schoolscape è risultato essenziale, in quanto il panorama scolastico si è rivelato estremamente complesso, un microcosmo di pratiche eterogenee, uno spazio che serve più funzioni e viene prodotto da agenti diversi, per motivi diversi, con mezzi, strumenti e anche tramite lingue diverse. Come il panorama urbano, lo schoolscape è percepito come spazio tanto informativo, quanto simbolico, e viene impiegato di conseguenza sia per veicolare contenuti e indicazioni di pubblica utilità, sia per trasmettere valori e ideali, per stimolare riflessioni e offrire un’immagine specifica della scuola stessa. Le funzioni spaziano da quelle gestionale e didattica, e in questo senso lo schoolscape viene percepito come fosse un terzo insegnante, a quelle pubblicitaria, decorativa e promozionale. Tutte queste concorrono a determinarne un’altra, che le include e le supera al tempo stesso, ossia la funzione identitaria. In base alla diversa identità delle scuole stesse, identità ufficiale, riflesso del curriculum scolastico, o nascosta e implicita, osserviamo schoolscape fortemente differenti tra loro, connotati a volte in senso plurilingue, a volte invece con una netta prevalenza della lingua italiana; a volta ricchi di segni, a volte spogli; a volte orientati verso una dimensione pluri- e interculturale, a volte no. In base a tutte queste e altre caratteristiche, come anticipavo, cambiano anche gli atteggiamenti stessi e la consapevolezza di studenti e insegnanti; cambia, in pratica, il modo in cui viene vissuto lo schoolscape. Ad esempio, dalla mia ricerca è emerso come chi si trova ad interagire in spazi fortemente connotati a livello semiotico sia anche significativamente più consapevole dell’utilità dello schoolscape stesso.
Quali politiche linguistiche lo regolano nel contesto italiano?
Come dicevo, ho osservato schoolscape eterogenei, con tanti aspetti in comune tra loro e altrettante, se non più, caratteristiche uniche e differenti. Ciò risulta immediatamente evidente quando andiamo a considerare il piano linguistico: sebbene in tutti gli schoolscape sia stata documentata una predominanza della lingua italiana, come facilmente immaginabile, in alcune scuole è stata altresì notata una forte tendenza al multilinguismo, con cartelli, cartelloni, poster, volantini e murales ricchi di testi in lingue diverse da quella nazionale. La gamma di lingue identificate in generale copre uno spettro molto ampio, sia in termini numerici, con oltre quaranta varietà documentate, sia di distribuzione geografica: dal dialetto del paese, alle lingue parlate in Europa, per arrivare a varietà diffuse letteralmente dall’altra parte del mondo. Tutto ciò è molto interessante se consideriamo la politica linguistica top-down, quella ufficiale e nazionale, la quale, sebbene auspichi una diffusione delle lingue, resta focalizzata sull’inglese e, in minima parte, sulle altre lingue europee. Il fatto che singoli istituti decidano di rendere visibili negli spazi scolastici non solo le lingue che vengono insegnate, ma anche quelle che sono parte dei repertori linguistici di studenti e studentesse è significativo dell’impegno assunto da singoli soggetti e istituzioni nel portare avanti un’educazione plurilingue e interculturale, nonché dell’importanza assunta da politiche e pratiche linguistiche bottom-up, che emergono dal basso. Secondo la definizione che ho adottato, le politiche linguistiche sono dinamiche e processuali, si compongono sia di una componente gestionale, sia di pratiche e ideologie. Lo schoolscape è in grado di riflettere le politiche linguistiche ma, al contempo, di influenzare atteggiamenti e ideologie e, di conseguenza, pratiche e politiche stesse.
Quale ruolo può avere lo schoolscape in un’ottica di giustizia, equità sociale e di educazione linguistica democratica?
Il valore aggiunto dello schoolscape risiede proprio nella capacità che ha tale spazio, al pari del panorama linguistico urbano, di condizionare usi e ideologie linguistiche: dalla mia ricerca emerge come chi agisce socialmente in luoghi multilingui e connotati in senso interculturale abbia atteggiamenti significativamente più positivi verso la diversità linguistica, visibile ma non solo.
Globalizzazione e flussi migratori hanno reso la maggior parte dei Paesi occidentali società altamente diversificate. Il nostro Paese non è escluso da queste dinamiche: negli ultimi anni si è delineato un contesto complesso e dinamico, connotato da una pluralità di diversità linguistico-culturali, di storie, religioni e stili di vita, il quale si riflette, ovviamente, tra i banchi di scuola.
Una sfida cruciale è quella di sviluppare un clima sociale in cui tale diversità venga rispettata e vista come una risorsa piuttosto che come una minaccia per la coesistenza pacifica. Da linguista, forse dunque un po’ di parte, sono convinta che le lingue possano giocare un ruolo importante in questo senso. Valorizzare tutte le varietà facenti parte dei repertori linguistici degli studenti, dialetti e lingue immigrate in primis, significa non solo dare voce a chi spesso non riesce a farla sentire, portare avanti, così, un’educazione linguistica che sia per tutti democratica, ma anche offrire una possibilità di entrare a contatto con un’espressione della diversità. Legittimare in modo critico e consapevole, non estemporaneo, la presenza di lingue altre nello schoolscape appare, dunque, come un modo economico e altamente efficace di portare avanti l’educazione linguistica democratica e agire, insieme, in un’ottica di giustizia ed equità sociale.
Martina Bellinzona è assegnista di ricerca e docente a contratto presso l’Università per Stranieri di Siena, dove ha conseguito il dottorato nel 2020 con una tesi incentrata sullo schoolscape. Ha all’attivo diverse pubblicazioni scientifiche inerenti allo studio del linguistic landscape, degli atteggiamenti linguistici e dei flussi migratori. La sua attività di ricerca riguarda principalmente la linguistica educativa e le digital humanities. Attualmente segue un progetto dal titolo “DimmiLex- Diari Multimediali Migranti”, presso l’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve S. Stefano.