“Liberalismo autoritario. La crisi dell’Unione europea a partire dalle riflessioni di Hermann Heller” di Claudia Atzeni

Dott.ssa Claudia Atzeni, Lei è autrice del libro Liberalismo autoritario. La crisi dell’Unione europea a partire dalle riflessioni di Hermann Heller, edito da Mucchi: in quale contesto il giurista Hermann Heller sviluppò il concetto di liberalismo autoritario?
Liberalismo autoritario. La crisi dell’Unione europea a partire dalle riflessioni di Hermann Heller, Claudia AtzeniIl contesto storico è rappresentato dagli ultimi anni di vita della Repubblica di Weimar, sorta all’indomani della Prima guerra mondiale e forgiata sulla sua Costituzione; il contesto politico è, invece, quello delle sue crisi. L’instabilità che aveva caratterizzato il governo socialdemocratico sin dal suo primo insediamento era precipitata in una grave crisi che poneva il Parlamento tedesco al centro delle critiche da parte delle élites politiche e culturali, soprattutto di stampo conservatore. Alla crisi politica si affiancava quella economica: la Repubblica, già sottoposta al fardello delle spese di riparazione dovute alla sconfitta della Germania nella Grande guerra, si trovava a fronteggiare gli effetti della depressione e di una economia di stato fortemente indebolita. Per arginare la crisi economica, il governo Brüning-Papen intervenne con una serie di misure di austerità che condussero ad un pesante ridimensionamento della spesa pubblica.

Heller rilevava come il mondo politico e intellettuale – il riferimento è soprattutto a Carl Schmitt – stessero attribuendo la maggiore responsabilità nel declino della società prussiana al pluralismo garantito dalla nuova legge fondamentale e all’ingresso delle masse nei partiti e nelle organizzazioni sindacali che, avanzando pretese salariali, riducevano la libertà economica delle imprese. La borghesia liberale stava manifestando, così, una inedita sfiducia anche nei confronti della legislazione: individuando nella legge un rischiosissimo strumento di parificazione, ne veniva invocato un arretramento affinché essa non intralciasse l’esercizio delle libertà economiche delle classi più abbienti. Pur tuttavia, alla compressione della protezione istituzionale in materia economico-sociale, avrebbe dovuto specularmente corrispondere una estensione dell’intervento statale teso alla protezione della sfera economica privata e del mercato. In tale azione, corroborata dalla formula schmittiana «Stato forte ed economia sana», Heller rintraccia il c.d. liberalismo autoritario: nel tentativo di salvaguardare l’ordine liberale, il potere, sentendosi eroso dal pluralismo democratico, agisce per una riappropriazione di autorità mediante la de-democratizzazione della sfera di influenza parlamentare in ambito economico.

Di quale utilità è il medesimo concetto per un’analisi critica dell’ordine giuridico ed economico europeo contemporaneo?
Con la consapevolezza che contesti storici diversi rendono complesso ogni tentativo di parificazione, sarebbe possibile individuare delle similitudini tra il contesto weimariano e il contesto europeo contemporaneo tanto sul piano economico (crisi, livelli elevati di disoccupazione, questione salariale) quanto sul piano politico (adozione di prassi di carattere emergenziale, tagli alla spesa pubblica, politiche di austerità, accentramento delle funzioni decisorie, problemi di legittimità democratica tanto in input quanto in output). In effetti, la crisi economica rende possibile un parallelismo tra i due differenti contesti sotto la lente del liberalismo autoritario: in entrambi i casi, la crisi – il momento eccezionale – genera una nuova idea di autorità politica, che si trasla in una nuova retorica del processo di costituzionalizzazione. Per contrastare gli effetti delle crisi che, a partire dal 2008, si sono abbattute sull’Unione europea e, in particolare, sui Paesi della zona euro, le Istituzioni sovrannazionali si sono dotate di rigide misure di politica economica, adottando interventi particolarmente invasivi della sfera democratica dell’Unione: si pensi al rafforzamento della governance, all’utilizzo del metodo intergovernativo e del soft-law, al regime di condizionalità che sorregge il sistema dei fondi di assistenza macroeconomica, alla costituzionalizzazione della regola del pareggio in bilancio. In questo senso, il concetto di liberalismo autoritario può evidenziare le criticità sottese al rapporto tra democrazia ed economia liberale: la de-democratizzazione dell’Unione europea continua a manifestarsi – a livello comunitario ma anche interno – nella sottrazione di gran parte della materia politico-economica agli organi istituzionali democraticamente eletti.

È possibile dimostrare che il sintagma “liberalismo autoritario” sia solo apparentemente contraddittorio?
È complicato argomentare in poche righe una delle tesi principali della ricerca. Ciò che ho provato a dimostrare è che il liberalismo contiene un seme autoritario nei confronti di ogni contestazione del modello economico che esso propone. È evidente che parlare di ideale liberale, così come di “liberalismo” al singolare, è estremamente complesso, data anche la longevità della sua storia. Nondimeno, se consideriamo le diverse accezioni del termine liberalismo (filosofico, politico, economico), nonché gli sviluppi più recenti che il liberalismo ha conosciuto in epoca contemporanea (ordoliberalismo, neoliberalismo), possiamo rintracciare taluni elementi ricorrenti sotto il profilo etico e giuridico: la relativizzazione del potere sovrano mediante la previsione di un insieme di limiti posti a tutela dei governati; la centralità riconosciuta alle libertà individuali e al diritto di proprietà; l’aspirazione ad un sistema economico funzionante e desiderabile. Si tende a distinguere tra liberalismo politico – la teoria dei limiti al potere – e liberismo economico; quest’ultimo assume spesso, negli studi italiani, l’accezione di liberismo. In realtà, come già affermava Gobetti, la componente economica è una parte inscindibile del liberalismo politico, anche nella sua versione classica. Ad essere mutata nel tempo è l’idea del laissez faire: come scriveva Heller nel 1932, per la prima volta nel solco della tradizione liberale si stava disattivando il “mito” della neutralità dello Stato in economia, l’idea dello Stato come “guardiano notturno”, chiamato ad intervenire in ambito economico solo per correggere le storture del mercato. Tuttavia, questa “nuova” modalità di intervento non è neutrale: il bisogno di un diritto economico che impedisca lo sviluppo asimmetrico del corretto svolgersi dell’economia di mercato si traduce, a partire dal Novecento, nel ricorso strumentale ai principi liberali da parte del ceto medio per preservare, verso il basso, i propri diritti di proprietà. Nell’invocare una legislazione che contenga le masse, i cui interessi trovano uno strumento germinale di rappresentazione (e riconoscimento) nella democrazia parlamentare. In estrema sintesi e con tutti i rischi derivanti dalla inevitabile semplificazione condotta in questa sede, è in tal senso che il sintagma liberalismo autoritario rischia di non rappresentare un ossimoro: nella convinzione per cui il miglior sistema economico sia quello che si basa su una economia di mercato aperta e in libera concorrenza, la teoria liberale suffraga un sistema di regole rigide che limitino la capacità decisoria del corpo sociale che possa minacciarne la tenuta. È questa una delle circostanze che oggi, nel contesto dell’ordine giuridico ed economico europeo, si sostanzia in ciò che viene autorevolmente descritto come deficit democratico.

Quale influenza ha esercitato il liberalismo contemporaneo sul processo di integrazione europea?
Il processo di integrazione europea – locuzione con cui si fa genericamente riferimento alle modalità mediante le quali il diritto sovrannazionale è entrato, in concreto, a far parte degli ordinamenti dei singoli Stati nazionali – può definirsi come il primo esperimento sovrannazionale di carattere liberale del secondo dopoguerra. Nel testo, provo a dimostrare come l’ordoliberalismo e il neoliberalismo – ancorché non esauriscano lo spettro teorico che ne ha condizionato il fluire – abbiano esercitato una significativa influenza sul processo di integrazione europea, ad esempio in ordine al principio della stabilità dei prezzi, o nell’idea di costituzione economica e, più in generale, nel processo di costituzionalizzazione delle libertà economiche. Uno dei dettami del pensiero ordoliberale è quello secondo cui, affinché gli obiettivi di una economia di mercato libera e concorrenziale si realizzino, è necessario un complesso di norme che cristallizzino, una volta per tutte, il perimetro delle possibili scelte politiche ed economiche attuabili: le politiche economiche adottate non devono mai esprimersi contro il mercato. La legislazione diventa, così, decisiva nel fissare le regole di gioco della competizione economica. Difficile non trovare delle analogie negli sviluppi del processo di integrazione europea: la scelta di costituzionalizzare, sin dal secondo dopoguerra, le libertà economiche, senza prevedere un regime normativo che ne processasse democraticamente il divenire, ha contribuito ad intensificare un complesso di principi legati al libero mercato (si pensi agli sviluppi teorici e normativi delle quattro libertà di mercato) mancando tuttavia assicurare un sistema di protezione che assicurasse la democratizzazione delle pratiche economiche. E questo ha di fatto impedito, sin dall’origine, la discussione circa i vincoli imposti dall’unione economica prima e da quella monetaria dopo.

In che modo le intuizioni di Heller possono dunque rappresentare uno strumento teorico prezioso nella comprensione e nella problematizzazione del rapporto tra liberalismo (politico ed economico) e democrazia?
Gli studi condotti da Hermann Heller illuminano la comprensione dell’esperienza weimariana, un arco temporale breve ma al contempo ricchissimo di idee e occasioni speculative. Da teorico del diritto e giuspubblicista, Heller mette sotto stress i problemi teorici connessi ai concetti di sovranità, autorità, potere, mediante un approccio che è al contempo filosofico e sociologico: dapprima filosofico, perché la sua analisi incede sempre dai concetti; poi sociologico, poiché egli affina le sue concettualizzazioni testandole nel prisma del divenire concreto degli eventi. Il suo acume gli consente di intuire una trasformazione epocale, che tuttavia non è data da ciò che lui stesso definiva «i miracoli della dittatura», bensì da ciò che quel momento lo avrebbe preceduto, ossia la messa in mora delle conquiste democratiche da parte dei liberali. L’intervento dello Stato invocato da questi ultimi è teso a creare una sorta di moralità imprenditoriale. Uno Stato, cioè, che deve intervenire al fine di risolvere le crisi prodotte dal «disordine democratico» e che dunque eleva il limite democratico a precondizione ineliminabile dell’economia liberale. Heller, dunque, non solo conia un concetto estremamente utile alla lettura del suo presente, ma getta altresì le basi per quella che sarà l’evoluzione del concetto di liberalismo autoritario nelle forme del liberalismo contemporaneo. Sotto quest’ultimo aspetto, i tratti ideazionali che varrebbero a distinguerle si ricompongono all’interno degli sviluppi della crisi europea, durante la quale si sarebbero affermate, soprattutto nell’eurozona, forme politicamente autoritarie di difesa del liberalismo economico, sopraelevando ad un piano sovrannazionale la dinamica, originariamente domestica, del liberalismo autoritario.

Claudia Atzeni è Dottoressa di ricerca in Teoria del diritto e Ordine giuridico ed economico europeo ed è attualmente Assegnista di ricerca in Filosofia del diritto e Sociologia generale presso l’Università Magna Graecia di Catanzaro. I suoi principali interessi di ricerca attengono a temi quali la dimensione teorica del liberalismo e la sua relazione con la democrazia; il processo di integrazione europea; le questioni giuridico-filosofiche connesse al rapporto tra diritto e morale; il fenomeno del populismo penale.

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