“Lezioni di strategia” di John Lewis Gaddis

Lezioni di strategia, John Lewis GaddisSi intitola Lezioni di strategia il libro di John Lewis Gaddis, docente di storia dell’università di Yale, pubblicato per i tipi di Mondadori nella traduzione di Aldo Piccato.

Il titolo originale del libro recita “La grande strategia“, che per l’autore è «l’allineamento, l’accordo, tra aspirazioni potenzialmente illimitate e capacità necessariamente limitate. Se aspiriamo a obiettivi superiori ai nostri mezzi, prima o poi saremo costretti a ridimensionare i primi per adattarli ai secondi. Un ampliamento dei nostri mezzi può servirci a raggiungere un maggior numero di obiettivi, ma non tutti, perché gli obiettivi possono essere infiniti mentre i mezzi non lo sono mai.»

Ma «dove entra in gioco l’aggettivo «grande»? Dipende […] dalla posta in palio.» Le grandi strategie, ad ogni modo, «sono state tradizionalmente associate alla pianificazione e alla conduzione delle guerre.»

«È possibile insegnare la grande strategia, o almeno il senso comune che ne sta alla base?» si interroga l’autore. La risposta è contenuta nelle pagine del libro, che analizza le grandi campagne di guerra della storia e le loro cronache, come quella di Tucidide relativa alla guerra del Peloponneso, combattuta tra Atene e Sparta, e i propri rispettivi alleati, tra il 431 e il 404 a.C..

Quanto è attuale la disfatta di Atene del 415 a.C. nella guerra contro Siracusa? «La strategia richiede una percezione globale capace di rivelare il significato e l’importanza delle singole parti. Qualcosa che, in Sicilia, gli ateniesi persero completamente. Oltre la metà della forza militare dell’impero si concentrò davanti all’isola, ma furono in pochi a ritornare. Nel frattempo, come ha sottolineato uno storico moderno, «gli spartani erano accampati a circa 20 chilometri dalle mura di Atene, migliaia di schiavi fuggivano dall’Attica e gli stati tributari, dall’Ellesponto all’Egeo meridionale, erano sull’orlo della rivolta». […] Duemilatrecentottantadue anni dopo la resa ateniese in Sicilia, gli Stati Uniti impegnarono 543.000 soldati per la difesa di ciò che Henry Kissinger avrebbe in seguito definito «una piccola penisola su un grande continente».54 Nel 1969, in Indocina, ogni settimana venivano uccisi duecento soldati americani: quando il Vietnam del Sud si arrese, nel 1975, erano morti 58.213 americani per cercare di salvarlo. Quella del Vietnam è stata quindi la quarta guerra più dispendiosa per numero di perdite tra quelle combattute dagli Stati Uniti, la prima che abbiano chiaramente perso, e la più difficile da spiegare razionalmente.»

O la vicenda di Ottaviano, divenuto col nome di Augusto il primo imperatore di Roma: «Ottaviano non si ispirò mai al modello di Alessandro Magno. Il macedone imparò i propri limiti soltanto attraverso i fallimenti. Furono le sue truppe a dirgli, ormai alle pendici dell’Himalaya, di non poter proseguire oltre. Ottaviano riconosceva le limitazioni e le costrizioni con cui doveva fare i conti mentre cercava il successo e, nelle occasioni in cui le trascurò, si corresse rapidamente. La strategia, pertanto, gli era naturale: raramente confuse le aspirazioni con le capacità. Alessandro passò la sua vita vittima di questa confusione, e non sopravvisse a lungo alla presa di coscienza che non erano la stessa cosa. Morì a Babilonia, per sfinimento, malattia e delusione, all’età di trentatré anni. [Nel 31 a. C., dopo la vittoria ad Azio] Ottaviano aveva la sua stessa età, ma era ancora ad appena un terzo della sua lunga carriera.»

La riflessione sulla guerra passa anche attraverso Agostino di Ippona. Ne La città di Dio il Padre della Chiesa affronta la questione della guerra e della pace: «Quando un cristiano può sentirsi giustificato a non porgere l’altra guancia, ma a combattere e, se necessario, a uccidere?»

«Agostino dimostra che la realtà rimane sempre indietro rispetto all’ideale: ci si può sforzare di raggiungerlo, ma senza mai aspettarsi di riuscirci. Impegnarsi nella ricerca, pertanto, è il massimo che l’uomo può fare in un mondo decaduto, e l’oggetto della sua ricerca costituisce la sua scelta. Ciononostante, non tutti i fini sono legittimi, non tutti i mezzi sono adeguati. […] Sono effettivamente molti gli uomini cattivi, ammette Agostino, ed è proprio per questo che gli uomini buoni possono essere costretti a cercare la pace versando del sangue.»

Non sempre i teorici della guerra ne hanno compreso la reale natura: ad esempio «Clausewitz morì nel 1831, prima di aver ultimato Della guerra, lasciandoci nelle mani un libro gigantesco, ingombrante e contraddittorio, la cui attenta lettura, come ammonisco sempre i miei studenti, rischia di provocare un disorientamento mentale: ci si può ritrovare incerti su ciò che ha detto e persino con qualche dubbio sulla nostra stessa identità.»

È dunque ancor oggi preziosa la lezione tucididea, che «incoraggiava i suoi lettori a cercare “la verità degli avvenimenti passati e di quelli che nel futuro si saranno rivelati, in conformità con la natura umana, tali o simili a questi». Infatti, senza un qualche senso del passato, il futuro non può essere altro che solitudine, isolamento».

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