“Lezioni di storia del pensiero economico” di Luigino Bruni, Paolo Santori e Stefano Zamagni

Lezioni di storia del pensiero economico, Luigino Bruni, Paolo Santori, Stefano ZamagniLezioni di storia del pensiero economico. Un percorso dall’antichità al Novecento
di Luigino Bruni, Paolo Santori, Stefano Zamagni
Città Nuova Editrice

«La storia del pensiero economico è una delle storie che fanno parte del patrimonio culturale dell’Occidente. Le storie sono sempre state più grandi di chi le ha scritte o raccontate e dei loro protagonisti. Così la storia del pensiero economico non è solo storia di o da economisti, ma interseca in tanti passaggi la storia della filosofia, del pensiero scientifico, dell’arte e delle civiltà. Chi studia storia generalmente lo fa perché ha un interesse per il passato – adottando un’espressione di Michel Foucault (1926-1984) potremmo dire che la storia è archeologia –, perché ne può trarre una prospettiva alternativa da cui capire il presente – ogni storia è storia contemporanea, diceva Benedetto Croce (1866-1952) –, e perché le radici non sono passato, ma presente e futuro di un albero. Ma anche perché lo studio della storia è un fine in sé, ha un valore intrinseco, è una di quelle attività intellettuali e spirituali che elevano l’essere umano e che quindi non richiedono un fine ulteriore per essere perseguite. Però potremmo chiederci: gli economisti, oggi come ieri, hanno davvero bisogno di conoscere la storia della loro disciplina? La risposta affermativa discende da una semplice considerazione. L’economista di oggi vive in un mondo saturo di “numeri economici” e di fake-truths su argomenti economici che lo stordiscono, mettendo a repentaglio la sua autonomia intellettuale. La storia del pensiero economico è lo strumento più efficace per acquisire coscienza del fatto che l’assetto economico della società non è un dato di natura immodificabile, ma una struttura che può essere trasformata per il bene comune. Non si dimentichi che con i mattoni si costruisce, ma è grazie alle radici che si progredisce e si avanza.

John Maynard Keynes (1883-1946) era convinto che un buon economista non potesse soltanto occuparsi di economia. […] Nella visione di Keynes chi si occupa seriamente di economia corrisponde a colui che oggi definiremmo “umanista”. Un economista colto, esperto di tecniche matematiche e statistiche ma anche di diritto, storia, filosofia, ricercatore e docente, uomo e donna di cultura e non solo tecnico, preoccupato per le dimensioni e implicazioni etiche delle scelte economiche, e non solo un cultore di matematica applicata che passa gli anni migliori della propria formazione ad apprendere tecniche sofisticatissime e a conoscere perfettamente un brandello di teoria ignorando il quadro generale. […]

Che l’economista debba avere una visione “integrale” della propria materia, però, non implica necessariamente lo studio della storia delle teorie economiche. In fondo, come accade per ogni scienza, secoli di evoluzione della disciplina dovuta a indagini sempre più accurate hanno portato alla creazione di un corpus di conoscenze acquisite, stabili, tanto da essere insegnate regolarmente nei corsi universitari. Anche se c’è del vero in quanto appena affermato, il discorso è più complesso. […]

L’economia sembra così essere più vicina alla teoria sociale, politica o alla filosofia che alla matematica applicata. La storia del pensiero economico diventa lo studio delle domande poste all’interno della disciplina, e non solo delle risposte progressivamente più accurate fornite nel corso del tempo. Questo perché l’economia non procede sempre rispondendo meglio alle domande passate, ma talvolta va avanti cambiando domande. […]

La storia del pensiero economico occidentale è un mare di idee, modelli, autori, periodi storici. Proveremo a offrire al lettore un distillato di pensiero economico, ma non nel senso che cercheremo di eliminare le “impurità”, cioè le teorie a nostro parere non scientifiche o irrilevanti. Lungi dalle nostre intenzioni adottare una filosofia della storia del pensiero economico illuminista o, come si definisce tra gli addetti della disciplina, “incrementalista” (Screpanti – Zamagni 2004), per la quale ciò che viene dopo è sempre un progresso rispetto al passato. La metafora del distillato è invece legata all’elaborata e sottile ponderazione con cui abbiamo selezionato il materiale da analizzare.

In questo libro guarderemo alla storia del pensiero economico con le lenti dell’economia civile (Bruni – Zamagni 2015) e questo nel duplice senso di tradizione e di paradigma. Chi volesse rintracciare segni della tradizione dell’economia civile nelle diverse epoche della storia d’Italia (e oltre) dovrebbe guardare non solo agli economisti o ai mercanti di professione, ma ai filosofi, ai teologi, ai poeti. La prima cattedra che portò il nome di Economia Civile fu quella modenese del poeta Paradisi nel 1772 e, prima di lui, la cattedra napoletana di Commercio e Meccanica venne assegnata nel 1754 all’abate Genovesi, autore del celeberrimo volume in due tomi (1765-1767) Lezioni di Commercio o sia di Economia Civile.

La tradizione dell’economia civile eredita la filosofia aristotelica del bene comune, la tradizione delle virtù civiche romane, passa per l’esperienza del monachesimo dell’Alto Medioevo, per gli ordini mendicanti del Basso Medioevo (domenicani e francescani), per l’Umanesimo civile della prima metà del XV secolo, in un certo senso (oppositivo) anche per la Controriforma, fino ad arrivare alla scuola napoletana di Genovesi e quella milanese di Verri e Beccaria del XVIII secolo. Ma la tradizione ebbe anche un seguito nei secoli XIX e XX, con autori cattolici, liberali, socialisti. Nel corso della nostra storia avremo sempre uno sguardo rivolto all’Italia e al pensiero degli economisti civili italiani, anche quando ci occuperemo di autori e scuole di pensiero geograficamente distanti.

L’economia civile è anche un paradigma nel senso attribuito a questo termine da Thomas Kuhn (1922-1996): un’impalcatura di assunti antropologici e teorici che guidano la ricerca in un determinato ambito. Un paradigma, perciò, è qualcosa di simile a un berillo intellettuale nell’accezione del celebre umanista Niccolò Cusano (1401-1464): un modo di scrutare la realtà a partire da certi assunti. Per comprenderli focalizziamoci sull’aggettivo «civile». Quando civile sta per civitas, allora l’economia civile aggiunge alla scienza economica classica parole diverse, come pubblica felicità, virtù civili, mutua assistenza, fiducia pubblica, ricerca intenzionale del bene comune. Quando invece civile sta per incivilmento, l’idea che il mercato sia espressione e mezzo del superamento di un mondo gerarchico, feudale, statico, verso una società fondata sulle libertà dei moderni, sul miglioramento delle maniere e dei costumi, sul superamento di privilegi e soprusi, ecco che l’economia civile assomiglia a tante scuole di pensiero economico moderne. Quando tratteremo di autori apparentemente lontani dalla tradizione dell’economia civile, italiani e internazionali, tenteremo comunque di leggerli usando il nostro berillo intellettuale, il paradigma, per comprenderne i tratti civili nella duplice accezione che abbiamo appena esposto.»

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
Non perderti le novità!
Mi iscrivo
Niente spam, promesso! Potrai comunque cancellarti in qualsiasi momento.
close-link