
Nei primi anni del Novecento la dottrina giuridica discuteva se la Santa Sede fosse o meno soggetto di diritto internazionale, perché allora si considerava tale soggettività strettamente legata al carattere della statualità; oggi, viceversa, è comunemente ammessa la sussistenza di soggetti di diritto internazionale che non sono Stati, come nel caso delle Organizzazioni Internazionali Governative. Ciò spiega la ragione per cui nel 1929 si volle una soluzione anche territoriale alla Questione romana. È illuminante al riguardo il “Premesso” al Trattato del Laterano, laddove si dice che “per assicurare alla Santa Sede l’assoluta e visibile indipendenza, [e] garantirLe una sovranità indiscutibile pur nel campo internazionale, si è ravvisata la necessità di costituire […] la Città del Vaticano, riconoscendo sulla medesima alla Santa Sede la piena proprietà e l’esclusiva ed assoluta potestà e giurisdizione sovrana”.
La positività della soluzione territoriale si manifestò chiaramente durante gli anni di guerra, e segnatamente nel corso dell’occupazione nazista di Roma. Anche in queste situazioni assai difficili, la Santa Sede potè liberamente svolgere la propria missione e, tra l’altro, accogliere persone ricercate per vari motivi (militari, razziali ecc.) dai nazisti, offrendo loro un sicuro rifugio.
Non può negarsi però che ancora oggi la sussistenza di uno Stato indipendente e sovrano manifesti una chiara utilità, sia nel garantire al Pontefice l’indipendente e libero esercizio della sua missione universale, sia nel rassicurare le varie Potenze circa l’effettività di tale indipendenza e libertà, che è un interesse di tutte.
Quale rapporto esiste tra lo Stato della Città del Vaticano e la Santa Sede?
La Santa Sede, che è il governo della Chiesa cattolica a livello universale, ha uno Stato, la Città del Vaticano, ma non è uno Stato. La Città del Vaticano ha una funzione strumentale rispetto alla Santa Sede, non solo assicurandole la accennata indipendenza e libertà, ma anche fornendole mezzi economici e strumentali per la vita e le attività spirituali, religiose, caritative, sociali in tutto il mondo.
Quali sono la forma di Stato e la forma di governo dello Stato vaticano?
Si dice solitamente nella dottrina giuridica che, quanto alla forma di Stato, la Città del Vaticano sarebbe uno Stato assoluto. L’affermazione ha una certa ambiguità. Certamente è uno Stato assoluto, se con questa espressione si intende quell’ordine costituzionale nel quale non vi siano istituzioni rappresentative elettive. Il Papa, sovrano dello Stato vaticano, è eletto; ma in Vaticano non ci sono assemblee elettive.
Ma se per Stato assoluto si intende, più radicalmente, uno Stato che è legibus solutus, cioè in cui il potere sovrano non è sottoposto alcun limite derivante da un ordine giuridico superiore, allora il Vaticano non può essere qualificato in quel modo: alla base del suo ordinamento è il diritto divino, naturale e positivo, che costituisce un limite invalicabile anche per il Pontefice. I diritti umani sono una espressi di ciò.one
Quanto alla forma di governo, si deve notare che se il sovrano, cioè il Papa, è titolare di tutti e tre i poteri – legislativo, esecutivo, giudiziario –, ordinariamente non li esercita direttamente, ma attraverso organi distinti che hanno la delega all’esercizio delle relative funzioni. Questi organi sono: la Pontificia Commissione per lo S.C.V., che esercita la funzione legislativa; il presidente del Governatorato, che esercita la funzione amministrativa; gli organi giudiziari – Giudice Unico, Tribunale, Corte di Appello, Corte di Cassazione – che esercitano la funzione giudiziaria.
Come vengono esercitati il governo e l’attività amministrativa nella Città del Vaticano?
La materia è disciplinata da una legge recentissima, la n. CCLXXIV del 2018 (le leggi vaticane sono indicate con numero romani), con la quale è stata apportata una riforma del sistema amministrativo e di governo, alla luce dei princìpi di razionalizzazione, economicità e semplificazione, e col fine di perseguire criteri di funzionalità, di trasparenza, di coerenza normativa e di flessibilità organizzativa.
In sostanza la legge prevede un sistema di governo a ministro unico, costituito dal Cardinale Presidente del Governatorato, coadiuvato da un Segretario Generale e da un vice Segretario Generale. La struttura amministrativa è divisa in Direzioni: delle infrastrutture e servizi; delle telecomunicazioni e sistemi informatici; dell’economia; dei servizi di sicurezza e di protezione civile; di sanità e igiene; dei musei e beni culturali; delle ville pontificie. Vi sono poi due Uffici centrali: l’Ufficio giuridico e l’Ufficio del personale. La legge disciplina pure le procedure economico-amministrative e contabili, nonché le modalità di risoluzione delle controversie amministrative, posto che gli atti dell’amministrazione pubblica sono impugnabili qualora vi sia lesione di un diritto o di un interessa legittimo.
Quali sono le fonti dell’ordinamento giuridico dello Stato della Città del Vaticano?
Le fonti del diritto vaticano sono contemplate e regolate da apposita legge del 1° ottobre 2008 n. LXXI. Esse sono costituite: dal diritto canonico, dalle norme del Trattato del Laterano, dalle norme del diritto internazionale generale e delle convenzioni sottoscritte dalla Santa Sede per lo Stato vaticano, dalle leggi vaticane, ed infine dalla normativa italiana richiamata in via suppletiva. Al riguardo è interessante notare che in Vaticano vigono il codice penale italiano del 1889 (codice Zanardelli) ed il codice di procedura penale italiano del 1913 (codice Finocchiaro Aprile), così come vigenti in Italia all’atto della costituzione dello Stato, vale a dire il 7 giugno 1929; il codice civile italiano del 1942, con le leggi italiane che lo hanno modificato, così come vigente in Italia al momento dell’entrata in vigore della legge vaticana n. LXXI, vale a dire il 1° gennaio 2009. Per quanto riguarda la procedura civile, il Vaticano ha invece un codice proprio, emanato da Pio XII nel 1946, che riprende un progetto di codice steso da Francesco Carnelutti. Vi sono poi altre fonti italiane richiamate in varie materie, come di pesi e misure, brevetti e marchi, telecomunicazioni, polizia ed edilizia, urbanistica, igiene e sanità pubblica.
Il Vaticano non fa parte dell’Unione Europea ma, grazie alla Convenzione con l’UE del 2009 in materia monetaria, fa parte della cosiddetta “area dell’euro”. Lo Stato della Città del Vaticano, infatti, utilizza l’euro come propria moneta ufficiale. In ragione di ciò esso adotta, mediante il recepimento diretto o con azioni equivalenti, gli atti giuridici e le norme dell’Unione via via prodotte in materia monetaria, nonché di prevenzione del riciclaggio, della frode e falsificazione di mezzi di pagamento in contante o diversi dal contante.
Quali sono i rapporti della Città del Vaticano con lo Stato italiano, con particolare riferimento alla giurisdizione?
Il Vaticano è una enclave dell’Italia, quindi dipende da questa in molti ambiti: l’acqua, i collegamenti telefonici e telegrafici, postali, in genere molti servizi pubblici. Esistono obblighi internazionali ben precisi: numerose materie sono già previste e regolate dal Trattato del Laterano; altre sono disciplinate da convenzioni bilaterali successive, come la convenzione doganale del 1930 o la convenzione per la notificazione degli atti civili e commerciali del 1932.
Per quanto attiene alla giurisdizione, le relazioni trovano una disciplina di base negli articoli 22 e 23 del Trattato. In sostanza la Santa Sede può richiedere e delegare l’Italia a giudicare gli autori di delitti commessi nello Stato vaticano. La Santa Sede, viceversa, ha l’obbligo di consegnare allo Stato italiano i rifugiati in territorio vaticano o in uno degli immobili che godono della cosiddetta “extraterritorialità”, imputati di atti commessi in territorio italiano che siano ritenuti delittuosi per gli ordinamenti di entrambi gli Stati.
Più in generale si ricorre agli ordinari strumenti di diritto internazionale: così, e reciprocamente, per la notifica di atti in materia penale o tributaria, per rogatorie, l’esecuzione di sentenze.
I rapporti tra la magistratura vaticana e quella italiana sono nella realtà frequenti e collaborativi.
Quali invece i rapporti con l’Unione Europea?
Con l’Unione Europea la Santa Sede ha una stabile rappresentanza diplomatica con sede a Bruxelles, così come ha una rappresentanza con il Consiglio d’Europa a Strasburgo. Si tratta di relazioni diplomatiche tenute sia per conto della Chiesa cattolica sia per conto dello Stato della Città del Vaticano: infatti, a norma dell’art. 2 della Legge fondamentale dello Stato – una sorta di legge costituzionale, promulgata nel 2000 sotto il pontificato di Giovanni Paolo II – la rappresentanza dello S.C.V. “nei rapporti con gli Stati esteri e con gli altri soggetti di diritto internazionale, per le relazioni diplomatiche e per la conclusione dei trattati, è riservata al Sommo Pontefice, che la esercita per mezzo della Segreteria di Stato”, vale a dire il dicastero della Curia romana a lui più prossimo.
Vi sono poi rapporti su questioni specifiche, come ad esempio in materia monetaria. La ricordata Convenzione con l’UE del 2009, ad esempio, ha previsto l’istituzione di un Comitato misto composto da rappresentanti dello Stato vaticano e da rappresentanti dell’Unione Europea, costituito quest’ultimo da membri nominati dalla Commissione, dalla Banca Centrale Europea, dal Ministero dell’Economia e Finanza italiano e dalla Banca d’Italia. Il comitato misto adotta decisioni sul massimale annuo di monete vaticane in euro da coniare ed immettere sul mercato, e sugli atti giuridici e le norme europee da recepire nell’ordinamento vaticano. La Convenzione prevede anche la competenza esclusiva della Corte di giustizia dell’Unione europea per la risoluzione delle eventuali controversie che insorgessero, tra le due Parti contraenti, in relazione alla applicazione delle disposizioni della stessa Convenzione e che non si siano potute risolvere in seno al Comitato misto.
Qual è il regime giuridico delle zone cosiddette “extraterritoriali”?
Occorre premettere al riguardo che il ricorso a questa specifica garanzia di ordine locale nacque, al momento delle trattative per la stipula del Trattato lateranense, da due precise ed opposte esigenze. La prima era quella di ridurre al minimo lo Stato vaticano, quasi in una misura simbolica, come di fatto avvenne; esigenza questa avvertita, seppure per differenti ragioni, sia da parte del Papa Pio XI che da parte italiana. La seconda esigenza era ricollegabile all’intera Questione romana apertasi con la breccia di Porta Pia il 20 settembre 1870, vale a dire quella di garantire non solo al Papa, ma anche a tutti gli organismi di cui si serve per la sua missione religiosa nel mondo, una situazione di diritto e di fatto di indipendenza e di libertà. Ora, decidendosi di comune accordo fra le Parti che la Città del Vaticano avrebbe avuto una estensione minima (solo 44 ettari), in definitiva tutti quegli organismi, a cominciare dai Dicasteri della Curia romana, erano destinati a rimanere fuori del territorio del nuovo Stato. Di qui la decisione di allocarli in immobili godenti della cosiddetta “extraterritorialità”, cioè delle stesse immunità riconosciute dal diritto internazionale alle sedi degli agenti diplomatici in Stati esteri (cioè alle Ambasciate).
Giova notare che le zone “extraterritoriali” non sono pertinenze dello Stato vaticano, né tantomeno porzioni di questo; la Città del Vaticano non è, per dir così, uno Stato “a pelle di leopardo”. La relativa immunità, infatti, è stata concessa dall’Italia alla Santa Sede non allo Stato, anche se la Santa Sede si serve di amministrazioni dello stato per il “governo civile” delle aree in questione.
Quali recenti sviluppi ha subito il diritto penale vaticano?
Come ho detto, in materia penale vige in Vaticano il codice penale italiano del 1889: un codice liberale, un’ottima legge attenta ai diritti della persona. Questo codice ha però subito nel tempo delle modifiche e delle integrazioni, onde renderlo più rispondente sia alla peculiarità della realtà vaticana, sia alle nuove esigenze in materia di criminalità.
Un intervento importante fu quello di Paolo VI nel 1969, che con la legge n. L apportò modifiche alla normativa penale, sia sostanziale che processuale.
Interventi più sostanziosi sono intercorsi poi nell’ultimo decennio. Sono da ricordare in particolare le leggi n. VIII e n. IX del 2013, con cui Papa Francesco venne da un lato a prevedere norme complementari in materia penale, dall’altro a modificare disposizioni del codice penale e del codice di procedura penale. Questi interventi del legislatore vaticano si sono resi necessari per armonizzare il diritto interno dello Stato con gli impegni assunti a nome di questo dalla Santa Sede, con la firma di diverse convenzioni internazionali, aventi ad oggetto materie come la tortura, la discriminazione razziale, la tutela dell’infanzia, il terrorismo, la produzione e il traffico di sostanze stupefacenti, il riciclaggio di denaro proveniente da attività criminali. In questo contesto è interessante notare che il Vaticano, prima dell’Italia, ha introdotto nel proprio ordinamento il reato di auto-riciclaggio.
Degno di nota è che con la legge n. IX del 2013 è stata abolita la pena dell’ergastolo. Si tratta di una decisione in linea con gli inviti rivolti da Papa Francesco agli Stati, diretti a superare non solo la pena di morte, per evidente contrasto col diritto fondamentale alla vita, ma anche la pena dell’ergastolo, perché contrastante con il necessario rispetto della dignità della persona umana e con il fine emendativo, e quindi riabilitativo, che secondo la dottrina sociale della Chiesa dovrebbero sempre avere le pene.