“Letterature dell’antica Mesopotamia” di Lorenzo Verderame

Letterature dell'antica Mesopotamia, Lorenzo VerderameLetterature dell’antica Mesopotamia
di Lorenzo Verderame
Le Monnier Università

«La storia della letteratura dell’antica Mesopotamia è strettamente legata a quella della scrittura cuneiforme. La letteratura scritta sumerica e accadica è stata composta e tramandata unicamente attraverso la scrittura cuneiforme ed è anche all’adozione di questa scrittura da parte di alcune delle culture coeve che dobbiamo la diffusione della letteratura mesopotamica nel Vicino Oriente antico. La fine dell’uso del cuneiforme sancisce contemporaneamente anche la fine dell’antica civiltà mesopotamica e della sua letteratura. Pochi motivi, temi e personaggi sopravvivranno nelle tradizioni posteriori e per poter avere una testimonianza diretta di queste culture bisognerà attendere la riscoperta della civiltà mesopotamica nel XIX secolo.

La scrittura cuneiforme, incisa prevalentemente su tavolette d’argilla, si estende lungo tre millenni. Le prime attestazioni risalgono alla fine del IV mill. a.C. (Uruk), mentre l’ultimo documento databile in caratteri cuneiformi è un almanacco astronomico del 75 d.C. Le più antiche tracce di letteratura risalgono con sicurezza alla metà del III millennio.

Nei tre millenni della civiltà mesopotamica è possibile distinguere in base alla lingua due tradizioni, una sumerica e una accadica, che, grosso modo, si succedono cronologicamente. Il sumerico è la lingua prevalentemente usata nella redazione di documenti nel III mill., l’accadico per quelli del II e I mill. a.C. Il sumerico scompare come lingua «parlata» verso la fine del III millennio, soppiantato dall’accadico che a sua volta sarà lentamente sostituito dall’aramaico nel I millennio. Tuttavia, la scomparsa come lingua «parlata» non equivale alla scomparsa come lingua «scritta». Il sumerico continuerà a essere usato, in diverse varianti, principalmente come lingua liturgica e in accadico saranno redatti documenti e copiati testi sino alla fine della tradizione cuneiforme. […]

Centro della tradizione cuneiforme è la Mesopotamia, più precisamente la parte meridionale, quella regione a sud di Baghdad che dai tempi più arcaici vide spostarsi il centro del potere dall’area a ridosso dell’antica linea costiera del Golfo Persico (allora ben più arretrata di oggi) nota con il nome di Sumer, verso il nord (Agade), per essere successivamente riunita, e nota come Babilonia. È da questa regione che la scrittura cuneiforme si è irradiata verso il nord (Assiria), ma anche fuori dai confini propriamente mesopotamici. Il cuneiforme è stato adottato da altre culture per esprimere le diverse lingue, come l’eblaita, l’ittita, il hurrita e l’urarteo. Difficile è, invece, stabilire le relazioni e le precedenze rispetto all’elamita. L’adozione del cuneiforme ha portato anche alla diffusione degli strumenti per apprenderlo e, al contempo, della cultura sumerica e babilonese. È così che sono emersi dagli scavi di città siriane (Ebla, Emar, Ugarit), anatoliche (Hattuša) e persino egiziane (Amarna) testi letterari sumerici e accadici, patrimonio e repertorio propedeutico della locale classe degli scribi. Soprattutto nella letteratura cuneiforme proveniente da queste aree è difficile discriminare quali siano i tratti originali e quali gli influssi mesopotamici. Un problema non secondario sorge in particolare nell’esatta valutazione tra la lingua e la cultura assira e quella babilonese. Infatti, poco o nulla sappiamo dell’Assiria prima della metà del II millennio. A livello linguistico i due «dialetti» mostrano ben più differenze di quante ci si aspetterebbe da due lingue derivate da uno stesso ceppo. Anche a livello culturale vi sono peculiari tratti distintivi: la Babilonia con una lunga tradizione, continuazione di quella sumerica; l’Assiria inserita in un contesto siro-anatolico con forti influenze hurrite.

Le fonti per lo studio della letteratura sumerica e accadica provengono principalmente dalla Mesopotamia, ma non solo. La diffusione del cuneiforme portò anche alla diffusione della letteratura accadica, per cui fonti sumeriche del III millennio si ritrovano in Siria (Ebla) e testi accadici e sumerici del II e I millennio si possono trovare nelle biblioteche della capitale ittita Hattuša o della città costiera di Ugarit, della città siro-ittita di Emar o nella capitale elamita Susa.

Le fonti dalla Mesopotamia propriamente detta hanno una distribuzione e provenienza a macchia di leopardo. Ciò può essere dovuto a diversi fattori: casualità dei ritrovamenti, scavi clandestini, etc. Le fonti a nostra disposizione sono di derivazione principalmente palatina e templare, non solo perché questi erano i centri in cui si svolgeva molta dell’attività scribale, ma anche perché fino a periodi recenti gli scavi archeologici si sono concentrati in queste aree. Per ragioni naturali (falda acquifera) e storiche (saccheggi e distruzioni) dalla città di Babilonia proviene meno di quello che ci aspetteremmo. Importanti biblioteche o archivi sono stati rinvenuti nella bassa Mesopotamia (Borsippa, Kiš, Nippur, Sippar, Ur, Uruk) e, limitatamente al II e I millennio, in Assiria (Assur, Huzirīna/Sultantepe, Kalhu/Nimrud, Ninive). Tra questi, tuttavia, due si distinguono per l’apporto alla conoscenza rispettivamente della letteratura sumerica e di quella accadica.

Il sito di Nippur è stato oggetto di scavi estensivi durante il secolo scorso. Essi hanno portato alla luce nella parte meridionale del sito il quartiere degli scribi (Tablet Hill) risalente al periodo paleo-babilonese, da cui provengono migliaia di testi sumerici utilizzati da maestri e allievi per insegnare e imparare il sumerico o che facevano parte delle biblioteche di queste «scuole».

Lo scavo di Ninive appartiene ai gloriosi e romantici albori dell’archeologia mesopotamica, quando il sito fu di fatto saccheggiato dagli inglesi. Nelle sue gallerie, alla ricerca di tesori da mandare alla madre patria e confluiti nelle collezioni del British Museum, A.H. Layard incappò anche nella biblioteca di Assurbanipal (e in altre biblioteche che molto sommariamente furono fatte confluire in quest’ultima), dove il re assiro aveva fatto scrivere, raccogliere, riunire tutto lo scibile – o ciò che lui riteneva degno – appartenente alla tradizione cuneiforme, principalmente opere babilonesi.

Le «biblioteche» di Nippur e Ninive hanno fornito da sole la maggior parte della letteratura sumerica e accadica giunta sino a noi, ma entrambe mostrano un’evidente incongruenza. Infatti in tutti e due i casi la documentazione è fuori dal suo originale contesto. I testi sumerici di Nippur risalgono al periodo paleo-babilonese, quando ormai il sumerico non era più parlato. I testi babilonesi di Ninive provengono appunto dall’Assiria e non dalla Babilonia. Per quanto in entrambi i casi tutta una serie di fattori ci rassicurino del fatto che queste fonti non sono del tutto aliene dall’originale tradizione sumerica o babilonese, non possiamo esimerci dal considerare che la trasmissione in sé comporta differenti passaggi – dalla scelta di cosa copiare a tutte le variazioni consce (riletture) e inconsce (errori) che l’atto del copiare implica – che si traducono sempre in un traslazione dell’originale. […]

Quanto appena detto ha una ricaduta sulla definizione di letteratura nella società mesopotamica e sul suo contesto di fruizione. Fino a poco tempo fa – ma spesso ancora oggi – gli studiosi dividevano la società tra una massa analfabeta, nella quale rientrava anche il re, e una classe scribale detentrice del sapere scritto; quest’ultima sarebbe stata sia creatrice sia fruitrice del materiale epigrafico giunto sino a noi. Questa visione, seppure valida nelle linee generali, va sicuramente ridimensionata.

A prescindere da casi specifici che non è possibile affrontare qui in dettaglio, la natura delle fonti e i riferimenti stessi nelle composizioni lasciano supporre che i testi letterari fossero fruiti da una ristretta cerchia, composta principalmente da scribi. È a loro che sono diretti i frequenti inviti a «leggere» la tavoletta o anche a mandare a memoria la composizione. Il recente ritrovamento di un testo parodistico nella casa privata di un mercante tuttavia fa sorgere una serie di interrogativi circa l’esatta delimitazione della cerchia dei fruitori «diretti» di questa letteratura scritta. Per i fruitori «indiretti» dobbiamo pensare a un pubblico di uditori e spettatori, più che di lettori. Diversi testi si aprono o chiudono con un invito all’ascolto e alcune composizioni hanno una struttura che rimanda a un’origine o a una funzione vincolata alla loro rappresentazione, per non parlare poi del sistema di classificazione dei «generi» mesopotamici basato sulle modalità di esecuzione.

Il problema dell’autorità e degli autori va contestualizzato all’interno di una cultura prettamente orale in cui questi concetti sono piuttosto vaghi o poco rilevanti. Per dar lustro all’opera si preferisce attribuirla al dio o all’ispirazione divina. Non mancano tuttavia i nomi di alcuni autori. La tradizione posteriore ha attribuito a Enheduanna, figlia di Sargon di Agade e sacerdotessa del dio luna, la composizione di quattro importanti testi sumerici, facendo del suo nome quello del più antico autore noto. A Sîn-lēqi-unnīni è attribuita la composizione dell’Epopea di Gilgameš. Altre opere contengono al loro interno il nome dell’autore, che può coincidere con quello del protagonista. In questi ultimi casi è evidente la natura soggettiva del componimento nel riferimento a vicende personali o nello stile originale della composizione, sebbene questa, una volta divenuta parte della tradizione, sia stata successivamente rielaborata.»

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