
Cosa significa fare critica ecologica della letteratura?
Per la critica ecologica, la presenza della natura come argomento di un’opera è solo una condizione, e non sufficiente: il livello tematico può suscitare l’interesse critico, infatti, ma non soddisfarlo. L’esercizio di una critica vera e propria si attiva infatti quando il tema reagisce con i procedimenti, e quando i referenti sono filtrati attraverso i codici. Occorre perciò che le costanti, su cui s’imposta lo studio comparatistico, provengano tanto dalla dimensione dei codici (nella quale rientra per esempio il dispositivo dello straniamento, che spesso agisce nella letteratura ecologica), quanto da quella dei referenti. Ma qual è il referente di una critica ecologica della letteratura? Il punto è intendersi sul significato di natura, ammissibile come referente solo se vi rientrano anche immagini ibride e rappresentazioni problematiche. La natura, cioè, non è un’entità che sta fuori di noi, non è un oggetto delimitabile, dato una volta per tutte e immutabile; è piuttosto l’effetto di un’inquadratura. Opere diverse danno inquadrature diverse, cosicché ‘natura’ può essere una foresta vergine, un terreno contaminato, un margine in cui le strade non sono più città e non sono ancora campagna. Diciamo allora che il vero referente è la Umwelt, il territorio di coesistenza che può sfociare nell’incontro, nel conflitto, nel rovesciamento di prospettive fra agenti che hanno valori e percezioni diversi. La costante tematica, per determinarsi, ha bisogno perciò sia della presenza di costanti formali, sia del sostegno di una costante pratica, che riguarda l’azione svolta contro o a favore dell’ambiente o di uno dei suoi elementi (potremmo anche considerare questa terza costante come un tema in movimento, un tema cioè che si fa trama contemplando in sé già una relazione e uno sviluppo). Se il suo vero referente consiste dunque in una relazione, anche la critica ecologica tenderà a interpretare il testo letterario come ecosistema, come complesso di viventi relazioni.
Esiste una ecologia letteraria ante litteram?
Nel mondo contemporaneo, l’ecologia è una struttura di senso, che informa molteplici aspetti del vivere sociale e della cultura. Ma tale struttura, oggi fondamentale, non è originaria. Sono esistite anche in passato forme di pre- o protoecologia; ma fino ad epoche recenti – fino a quando, cioè, l’evidenza del rischio ambientale non è stata comunemente percepita e rappresentata attraverso la letteratura e altre arti – il paradigma prevalente era quello che collocava l’uomo in posizione dominante rispetto alla natura. Questa e altre prospettive, nel corso della storia, hanno orientato la relazione uomo/natura e la sua rappresentazione letteraria. La relazione asimmetrica, basata sul controllo della natura prima che sulla responsabilità nei suoi confronti, ha per esempio un’espressione emblematica nella filosofia cartesiana. Nella parte sesta del Discorso sul metodo (Discours de la méthode, 1637), Cartesio osserva infatti come la piena conoscenza delle leggi che presiedono alle forze naturali e agli astri possa garantire agli uomini il ruolo di «padroni e possessori» (mâitres et possesseurs) della natura. La prospettiva non sembra diversa da quella già affermata nella Bibbia, anche se per Cartesio il possesso della natura passa attraverso la comprensione razionale dei suoi meccanismi, mentre nella Bibbia è proprio il desiderio di conoscenza a distanziare uomo e natura, attraverso la cacciata dal Paradiso terrestre. Nel libro della Genesi, Dio attribuisce all’uomo la potestà su tutte le creature, ponendolo al centro di una natura fruttifera e benigna. Anche nei Salmi (8, versetti 7-9), l’uomo viene celebrato come creatura di poco inferiore agli angeli, ai cui piedi Dio ha posto tutti gli animali, sulla terra come nel cielo e nel mare.
Rispetto al modello asimmetrico illustrato nella Bibbia, la relazione con gli elementi naturali espressa nella predicazione francescana sembra segnare una svolta cruciale. I motivi della fratellanza con le creature e della dedizione nei loro confronti superano – è vero – l’originaria prospettiva di controllo e possesso; tuttavia l’amore per il creato dipende da quello per il Creatore: l’asimmetria, cioè, viene riportata a un livello superiore ma non viene del tutto rimossa. La prospettiva francescana è ancora presente nella concezione cristiana del rapporto con la natura; lo dimostra la recente enciclica di papa Francesco I (che non a caso ha scelto il nome del Santo di Assisi come insegna del suo pontificato) dedicata alla «cura della casa comune»: il titolo dell’enciclica, Laudato si’, è appunto una citazione del Cantico delle Creature. La prospettiva biblica, evolutasi in quella cristiana e francescana, ha contribuito a determinare le forme di relazione tra l’uomo e la natura rappresentate nell’immaginario, fino alla contemporaneità. Si pensi a quanto il motivo della cacciata, della perdita di una ‘casa comune’ (cioè, letteralmente, dell’oikos che abitiamo), abbia inciso sulle formule apocalittiche adottate dalla letteratura. Anche nel mondo greco-latino esisteva l’idea di una sintonia originaria tra uomo e natura. Il mito dei Romani, variamente ripreso, specialmente in funzione ideologica, dagli autori di Età augustea, prevedeva una concezione ciclica del tempo, scandito in diverse età, ciascuna associata a un metallo di valore decrescente: l’età aurea sarebbe stata seguita da un’età argentea e questa da un’età bronzea. Durante l’età dell’oro, coincidente con il regno di Saturno, la natura avrebbe offerto i suoi frutti con straordinaria abbondanza e varietà, producendo risorse favolose non più raggiungibili nel presente.
Oltre alla Bibbia e alla cultura classica, uno dei modelli che più ha contribuito a formare l’immaginario sulla natura è quello romantico e preromantico. La tendenza di scrittori quali Schiller, Byron, von Haller, Rousseau a esaltare paesaggi vergini – dai ghiacciai alle foreste, dalle brughiere alle isole – o comunque lontani dalle rotte della modernità – la Grecia, la Corsica, la Sicilia – ha insegnato all’uomo europeo a preferire la natura incontaminata e poco antropizzata rispetto al paesaggio sociale della città o allo stesso giardino, luogo altrettanto idealizzato, ma di ascendenza antica e di fortuna soprattutto medievale e rinascimentale. Anche per questo, nella moderna tradizione letteraria dell’Occidente, la sintonia tra il soggetto e l’ambiente che lo circonda è concepita soprattutto come aspirazione, come tensione idillica e condizione eccezionale (ciò vale anche per la fusione panica dell’uomo nella natura, stato mitico, temporaneo o ingannevole negli autori che ne esaltano il raggiungimento), che ha già in sé la percezione infelice della precarietà. È esemplare in tal senso il sentimento della natura espresso dal Werther goethiano.
In che modo il tema apocalittico si presenta in letteratura?
Per affrontare questo tema, così presente nell’immaginario contemporaneo, ho scelto di partire dagli studi dell’antropologo Ernesto de Martino, recuperandovi il concetto di ‘apocalisse culturale’, che non riguarda solo l’immaginario catastrofico, ma anche la rivelazione di un ordine di presenze e fenomeni, invisibili in superficie, nei quali le culture individuano il principio catartico della loro rigenerazione. La dinamica che porta alla rivelazione di un ordine nascosto, di un habitat invisibile che si sviluppa insieme all’ambiente noto nel quale viviamo, è un motivo che, dalla sfera della religione (l’apocalisse evocata nei testi sacri e rappresentata nei rituali arcaici e moderni), può estendersi alla dimensione ecologica e diventare anzi oggetto specifico dell’ecologia letteraria. La gran parte delle narrazioni apocalittiche si basa infatti sulla rivelazione di un ordine sotteso al reale conosciuto; quest’ordine, in base alle coordinate di credibilità tracciate dalla fiction, è verisimile. Ma quel che rimane in comune con la sfera rituale è l’idea dell’invisibilità, che viene improvvisamente o gradualmente dissolta, rendendo percepibile un ordine diverso e tendenzialmente conflittuale, pericoloso, addirittura letale. Questa forma di rivelazione non ha connotati direttamente religiosi ma appunto ecologici, intendendo ancora l’ecologia come insieme dei fenomeni di relazione del soggetto con l’ambiente e con gli altri che lo abitano. L’apocalisse a sfondo ecologico, raccontata dalla letteratura e poi dal cinema, è infatti la conseguenza di una rivelazione che rende l’uomo cosciente di ciò con cui, fino a quel momento, ha convissuto inconsapevolmente. Può trattarsi di un’altra specie, di un virus, di un evento astronomico o geologico imprevisto, ma è pur sempre un fenomeno che spalanca le porte del nostro ambiente e ci obbliga a cambiare prospettiva sulla dimora della quale ci credevamo gli unici legittimi detentori. L’esito di una simile rivelazione, nell’immaginario letterario e cinematografico contemporaneo, spesso non consiste né in una salvazione dai connotati religiosi, né in una distruzione totale ma in una forma di sopravvivenza che garantisce almeno la continuità di certi valori. Così, molte narrazioni apocalittiche contemporanee non raccontano la distruzione mentre avviene, ma collocano gli eventi in un tempo già postumo, in cui non è direttamente rappresentata un’immagine del disastro flagrante, ma la sua conseguenza: è il caso di uno dei romanzi più importanti degli ultimi anni, La strada (‘The Road’) di Cormac McCarthy, analizzata nel libro.
I rifiuti rappresentano un altro topos letterario ecologico.
Il tema della spazzatura e delle deiezioni è presente in molte opere letterarie contemporanee. Alla base, c’è un’idea dell’ambiente come sistema instabile, in stato di crescente entropia. L’aveva già intuito Italo Calvino, le cui opere sono spesso percorse da temi ecologici (come la trasformazione del territorio conseguente allo sviluppo industriale dell’Italia nel dopoguerra). Tra Le città invisibili (1972), Calvino immagina infatti anche Leonia, che «rifà se stessa tutti i giorni», producendo un’enorme massa di rifiuti. I rifiuti sono anche il principale argomento della parte finale di Gomorra (2006) di Roberto Saviano, del romanzo Les Météores (1975) di Michel Tournier, di Underworld (1997) di Don DeLillo e delle altre opere che vengono prese in esame nel libro. Nella prima parte di Underworld, il grande romanzo di Don DeLillo, il protagonista si rende conto di percepire ogni cosa «in termini di spazzatura», anche se si tratta di prodotti che ancora «luccicavano sugli scaffali dei negozi». I rifiuti, visti come tali ancora prima di esserlo, diventano così oggetto di uno straniamento, che porta a concepire l’esistente in forma di spazzatura. Questa prospettiva straniante, che inverte i ruoli tra ciò che è funzionale e ciò che non lo è più, è la condizione da cui procede un’ulteriore inversione, di tipo assiologico: «Quanto vale come spazzatura?». Il rifiuto acquista, in quanto tale, un valore: non solo quello economico prodotto dall’industria legale o illegale dello smaltimento, ma soprattutto quello che gli deriva da un investimento simbolico. L’entità di tale investimento si misura dalla capacità dei rifiuti di divenire, specialmente nell’immaginario narrativo e letterario, una seconda natura, alternativa e in certi casi perfino preferibile alla prima: le montagne di spazzatura, osserva incantato ancora un personaggio di Underworld, superano i rilievi naturali del paesaggio; le macchie di immondizie nell’oceano sono ormai grandi quanto un continente. Il ‘culto’ dell’immondizia celebrato dai protagonisti delle opere di Pennac, Tournier, De Lillo, di cui si parla nel libro, non mira a rimuovere la natura ma a perfezionarla, a integrarla rendendo pieno il vuoto, portando alla luce ciò che è sepolto e seppellendo ciò che viene respinto dalla superficie.
Quali prospettive ecologiche sono presenti nelle opere del Novecento letterario italiano?
Nell’ultimo capitolo del libro si prende in considerazione e si approfondisce la relazione degli scrittori italiani con natura, ambiente, rischio ecologico, dalla metà del Novecento (cioè dagli anni in cui il paesaggio italiano comincia a cambiare in seguito alla rapida crescita industriale del Paese) alla contemporaneità. Il ruolo del paesaggio nella definizione dell’identità culturale del paese, unito allo shock della sua rapida alterazione nel corso del Ventesimo secolo, rendono la letteratura italiana del Novecento un ideale caso di studio. Per organizzare lo studio della letteratura italiana in chiave ecologica si può partire dalle stesse accezioni della parola ‘ecologia’. Il primo, quello originale, definisce la branca della biologia che studia le relazioni tra gli organismi viventi e l’ambiente; il secondo si riferisce all’insieme delle attività che incidono sull’ambiente e che, in una prospettiva ecologica, dovrebbero essere svolte con la preoccupazione per la loro sostenibilità; il terzo riguarda il rischio ambientale. A queste accezioni possono corrispondere altrettante forme di relazione tra ecologia e letteratura, ciascuna delle quali sviluppa uno tre dei significati trasformandolo in una situazione narrabile o rappresentabile: la relazione che i protagonisti di un’opera letteraria stabiliscono con l’ambiente in cui agiscono; la trasformazione dell’ambiente attraverso le attività dell’uomo; la rappresentazione dei rischi a cui va incontro l’ambiente (come il riscaldamento globale, o l’esaurimento delle risorse). Da queste tre forme, derivano a loro volta tre linee tematiche che percorrono la letteratura italiana dal secondo Novecento in poi: il tema dell’io di fronte alla natura, tra desiderio di sintonia e separazione; quello della trasformazione del paesaggio, raccontato in particolare nella cosiddetta letteratura industriale e che riguarda, in vario modo, autori come Calvino, Pasolini, Ottieri, fino ad Alessandra Sarchi, Franco Arminio e altri; il tema distopico o apocalittico, che si rinnova in epoca contemporanea per la coscienza del rischio ambientale e per l’urgenza dello stato di crisi che ha attraversato il secolo. Si pensi a Volponi (che peraltro dialoga con il Leopardi delle Operette) e a Morselli, fino ai casi recenti di Zanotti, Pugno, Doninelli, Arpaia. Nel libro, si seguono queste tre linee, senza tenerle rigidamente distinte, attraverso la lettura di opere emblematiche come Uomini, boschi e api di Mario Rigoni Stern, gli Scritti corsari di Pier Paolo Pasolini (tra i quali il celebre articolo su La scomparsa delle lucciole), I racconti del 1958 di Italo Calvino, Il pianeta irritabile di Paolo Volponi, gli scritti ecologici riuniti nel volume Piccole persone di Anna Maria Ortese.