“Letteratura assoluta. Le opere e il pensiero di Roberto Calasso” di Elena Sbrojavacca

Dott.ssa Elena Sbrojavacca, Lei è autrice del libro Letteratura assoluta. Le opere e il pensiero di Roberto Calasso edito da Feltrinelli. Il Suo libro colma una lacuna negli studi monografici dedicati all’Opera del presidente della casa editrice Adelphi: cosa rappresenta, per Calasso, l’ideale letterario a cui egli stesso ha dato il nome di «letteratura assoluta»?
Letteratura assoluta. Le opere e il pensiero di Roberto Calasso, Elena SbrojavaccaSi tratta di un concetto di difficile definizione: tutto il mio saggio è di fatto un lento avvicinamento a questa idea di letteratura che Calasso mi sembra costruire, pannello dopo pannello, con gli undici volumi della sua Opera. Il sintagma “letteratura assoluta” fa la sua prima comparsa nella Rovina di Kasch del 1983, primo volume di questa grande impresa letteraria; una trattazione più approfondita del tema è contenuta nella Letteratura e gli dèi (2001), una raccolta di scritti pensati per un ciclo di conferenze, le Weidenfeld Lectures del Centro Europeo per la Ricerca Umanistica. In maniera molto sintetica, potrei dire che per Calasso questa espressione descrive, da un lato, la fisionomia assunta dalla letteratura a partire dal XIX secolo e dall’altro, la possibilità perennemente data a questa forma d’arte di presentarsi come una conoscenza autosufficiente.

Come si sviluppa l’Opera calassiana?
L’Opera prende avvio nel 1983 con La rovina di Kasch e si compone – a oggi – di 11 volumi: al primo seguono Le nozze di Cadmo e Armonia (1988), Ka (1996), K. (2002), Il rosa Tiepolo (2006), La Folie Baudelaire (2008), L’ardore (2010), Il cacciatore Celeste (2016), L’innominabile attuale (2017), Il libro di tutti i libri (2019) e La Tavoletta dei Destini (2020).

Si tratta di un’impresa di straordinaria ampiezza, tanto per la mole (al momento quasi 5.000 pagine) quanto per la varietà delle epoche e dei campi del sapere attraversati, dall’India vedica alla Parigi degli Impressionisti, dalla storia delle religioni alla matematica.

Attorno a quale nucleo gravitano gli undici volumi che compongono la sua Opera?
L’Opera mi sembra un grande tentativo di inseguire l’origine della modernità e del periodo nel quale viviamo, che Calasso ha icasticamente definito “l’innominabile attuale”. Dal mio punto di vista i suoi volumi concorrono a delineare uno spazio per la letteratura in questo scenario di continua metamorfosi, i cui contorni sono incerti.

Quali snodi cruciali segnano la vasta rete di motivi e ricerche che Calasso intesse sul macro-tema della mente?
Il tema della mente è onnipervasivo nell’opera calassiana. La letteratura è celebrata come la strada oggi più percorribile per avvicinarsi ai misteri della psiche. Le questioni sono molte e sono fittamente interconnesse fra di loro; nella seconda parte del mio saggio ho cercato di isolarne alcune che mi sembravano fondamentali: in primo luogo, ho voluto mostrare quanto la concezione della mente di Calasso si nutra dell’immaginario vedico. È dal Ṛg Veda che vengono alcune delle immagini più ricorrenti nell’Opera, come quella della mente come grande massa d’acqua dalla quale possono emergere in continuazione figure, apparizioni enigmatiche. In secondo luogo mi sono soffermata sulla questione della conoscenza, che è un altro degli argomenti cruciali trattati da Calasso: l’Opera si potrebbe anche leggere come una grande indagine sul conoscere, perché quella della conoscenza è la grande e inesauribile questione della modernità. Un’altra questione centrale nella trattazione sulla mente è quella della coscienza. Per Calasso il fatto che la psiche umana sia in grado di autopercepirsi è il più straordinario fra tutti i misteri su cui la scienza moderna ancora non è in grado di far luce; un fatto misconosciuto per il quale invece la letteratura si dimostra uno strumento di indagine prezioso.

Quale ruolo svolge il dualismo fra analogico e digitale nella costruzione calassiana?
È un altro degli snodi cruciali dell’Opera, e vi ho dedicato un lungo capitolo nella seconda parte del mio libro. La questione dell’esistenza di due poli fra i quali si dipana l’attività della mente umana è presente in vario modo in tutti i volumi che compongono il work in progress di Calasso. In estrema sintesi potremmo dire che la digitalità è la facoltà del pensiero di muoversi in modo sequenziale, isolando i passaggi e arrivando a un risultato univoco, applicando il principio della codifica. La digitalità si manifesta infatti nel linguaggio, nella capacità di sostituire a ogni referente del mondo esterno un significato e un significante. Il polo analogico è invece il regno della connessione, quella facoltà del pensiero che ci consente di slittare da un significato all’altro, di accostare idee, significati e immagini pur continuando a riconoscerne la difformità. Entrambe le facoltà della mente sono fondamentali per la nostra vita e ci permettono di conoscere il mondo secondo prospettive diverse.

Quale legame esiste, per Calasso, fra l’abbandono dei riti e la fisionomia della letteratura moderna?
Un legame profondissimo, che è indagato in maniera approfondita nella terza parte del mio saggio. La letteratura sembra ereditare alcune caratteristiche proprie del rito, e in modo particolare dei riti sacrificali. È impossibile elencarle qui in maniera esaustiva; soltanto a titolo di esempio, potremmo pensare al modo in cui il racconto consente agli uomini di evadere dalla linearità temporale che determina le loro esistenze, o di sperimentare un’uscita dalle strettoie della propria vicenda individuale. C’è un potere che in diversi luoghi e in diverse epoche è stato attribuito ai riti; nel mondo contemporaneo, che non crede nella celebrazione dell’invisibile, questo potere è diventato per Calasso una prerogativa della letteratura.

In che modo i repertori di immagini presenti nei suoi volumi contribuiscono alla costruzione di senso dell’Opera?
È bene innanzitutto precisare che soltanto alcuni fra gli undici volumi dell’Opera presentano un repertorio iconografico. La rovina di Kasch, per esempio, ne è priva, così come Il Cacciatore Celeste, L’innominabile attuale e Il libro di tutti i libri. Le nozze di Cadmo e Armonia,

Ka e K. sono stati ripubblicati in edizioni successive alla prima con alcuni inserti figurativi nei più significativi snodi peritestuali (inizio di capitolo, elenco delle fonti, glossario, ecc.) secondo una modalità poi riproposta nell’Ardore. La Tavoletta dei Destini contiene un’unica immagine pregna di significato. Diversi sono i casi del Rosa Tiepolo e della Folie Baudelaire, in cui le immagini dialogano direttamente con il testo, inserendosi nella narrazione, come avveniva nell’Impuro folle, il primo romanzo di Calasso. Queste figure sono accuratamente disposte in modo da costituire un controcanto continuo che amplifica e illumina la partitura testuale. Secondo Calasso le immagini costituiscono infatti una forma di pensiero e di espressione che precede l’utilizzo del linguaggio verbale; questi inserti parlano al lettore a un livello profondo, agendo proprio su quel polo analogico perennemente attivo nella sua mente a cui facevo riferimento pocanzi.

Che rapporto intrattiene Calasso con le proprie fonti?
La vastissima messe di riferimenti bibliografici che Calasso accumula per costruire i suoi libri è accessibile al lettore sotto forma di un repertorio finale nel quale si elencano tutte le citazioni che appaiono nei suoi testi. Per ciascuna viene indicata la pagina e la riga in cui appare e il rimando all’opera da cui è tratta. Numerosissimi sono però le allusioni e i richiami intertestuali non espliciti, che il lettore è invitato a individuare e riconoscere in autonomia per apprezzare in maniera più profonda il piacere della lettura. Le presenze quasi fantasmatiche delle letture di cui Calasso si è nutrito nella costruzione dei suoi libri, che riaffiorano soltanto per chi sa riconoscerle, sono il riflesso della sua particolare concezione della letteratura come forma onnivora, che si nutre di ogni sapere per renderlo materia di racconto.

Quale ruolo assume la letteratura in quell’«innominabile attuale» rappresentato dal mondo contemporaneo?
Un ruolo tutto sommato marginale: la letteratura è una pratica di secondaria importanza ai fini dell’utilità sociale, che per Calasso è una sorta di ossessione del nostro tempo. A differenza di altre forme culturali, come la scienza o il diritto, la letteratura non sembra avere scopi al di fuori di sé. In questa sua inservibilità, tuttavia, si cela anche un fortissimo potere conoscitivo: la letteratura sembra toccare le questioni essenziali dell’esistenza e indagarne i misteri, primo fra tutti il fenomeno sconcertante della coscienza. Senza la pretesa di dare risposte univoche e senza esplicitare una metodologia operativa, la letteratura porta alla luce alcune verità che continuano a sfuggire alla scienza positiva.

Nel Suo libro, Lei evidenzia una componente religiosa che contraddistingue l’idea calassiana di letteratura assoluta: come va intesa?
Calasso mi sembra dare spazio alla capacità della letteratura di indagare l’invisibile, ciò che non è numerabile, quantificabile, scomponibile. È una dimensione che le diverse religioni hanno celebrato nei modi più diversi, attraverso apparati rituali più e meno complessi. Quello che secondo Calasso accomunava tutte le società che rivelavano tale attitudine religiosa era la convinzione che esistesse una dimensione del divino che andava riconosciuta, con la quale era necessario instaurare una qualche forma di contatto. La letteratura assoluta raccoglie questa eredità, a prescindere dalle personali convinzioni degli scrittori che l’hanno praticata.

Elena Sbrojavacca (Treviso, 1989) è dottoressa di ricerca in Italianistica presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Le sue ricerche vertono principalmente sulla letteratura italiana contemporanea.

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