
di Oriana Fallaci
Rizzoli
«Come recita il titolo, il libro è la lunga lettera di una donna al bambino che ha in grembo. La vicenda personale e le riflessioni sulla condizione esistenziale di donna e di madre costruiscono un diario raccontato al bambino, che diviene interlocutore di un dialogo che incomincia appena la donna intuisce di essere incinta. La trama è congegnata in modo da mettere alla prova una figura femminile complessa e, insieme a lei, il lettore. La forma epistolare, il “tu”, un dispositivo narrativo che deriva con ogni probabilità dall’abitudine giornalistica a scrivere per un interlocutore, coinvolge il suo destinatario romanzesco e insieme aggancia il lettore richiamandolo a una sorta di responsabilità testimoniale.
La futura madre è una giornalista, una donna libera e indipendente che gira per il mondo, vuole fare carriera e che comprende immediatamente che la gravidanza sarà un ostacolo innanzitutto sociale. Inoltre rimane sola, perché il compagno se ne è andato dopo aver saputo che lei vuole il bambino e invece lui vorrebbe che abortisse. Subito scattano il giudizio e la riprovazione morale del medico che conferma la gravidanza: lei, che è una madre sola, viene messa in guardia contro atti illegali che volesse commettere; il datore di lavoro invece teme che lei non raggiunga gli obiettivi attesi e mette la donna in competizione con i colleghi maschi. La madre, però, vuole il bambino, nonostante le difficoltà della sua sopraggiunta condizione di fragilità e il dolore che di conseguenza pervade da subito la sua vita. Per proteggere la gravidanza, la donna è costretta dal medico a un periodo di riposo a letto, che accetta, seppur controvoglia. Quando la gravidanza sembra ormai ben avviata, sopraggiunge invece un altro problema e alla madre viene prescritto ancora un altro periodo di immobilità. Questa volta lo rifiuta, perché, pur accettando il bambino, non vuole negare sé stessa. Parte dunque per il viaggio ritenuto fondamentale dal datore di lavoro, ma perde il bambino. La protagonista, che sta male ed è afflitta da un sonno agitato, sogna di essere imputata in un processo angosciante in cui i personaggi stessi del racconto divengono accusatori o testimoni della difesa. In preda a un dolore che non è colmabile – a causa di questa perdita – non vuole separarsi dal feto ormai privo di vita. E alla fine l’attesa di quest’operazione di separazione dei due corpi è causa anche della sua morte.
Attraverso il registro realistico, il testo di Fallaci offre e anche impone al lettore l’opportunità di formarsi un punto di vista interno alla situazione, di conoscerla e comprenderla, grazie allo strumento stesso della narrazione strutturata come dialogo, che stimola una disposizione empatica verso l’esperienza della donna, il cui mondo è completamente trasportato all’interno della propria vicenda e agisce in costante relazione con i suoi sentimenti e i suoi pensieri. La protagonista si mette infatti a confronto con il partner, con la propria storia, con quella del proprio ambiente sociale, con la morale pubblica, con la scienza, con le relazioni di amicizia femminile, con i genitori, con la giustizia.»
tratto da Una straordinaria antipatica di Anna Gorini, Carocci editore