
di Alessandro Metlica
Marsilio Editori
«Con “propaganda barocca” indico, in questo libro, il peculiare sistema di rappresentazioni che nel Seicento celebra il potere politico presso un pubblico nuovo, più ampio e smaliziato rispetto al passato: un pubblico che non si accontenta dell’evidenza dell’autorità, e vuole invece essere reso partecipe, sedotto, conquistato. Ma come avviene quest’opera di seduzione e conquista? Come si comporta, come agisce concretamente il potere? Possiamo seguire un vettore unidirezionale, che dall’autorità scende al pubblico? E in tal caso, da dove scaturisce l’immaginario che sta alla base di quelle rappresentazioni?
Sono domande più delicate di quanto si potrebbe pensare. Infatti la nozione di propaganda rischia, qualora non sia debitamente introdotta, di avvalorare la vulgata di un Antico regime occhiuto e calcolatore, uso a decidere le proprie strategie di promozione culturale a tavolino, senza ammettere repliche. La fama di istituzioni come l’Inquisizione o, sul fronte laico, la gestione cruenta e spettacolare della giustizia – torture, condanne a morte, autodafé – porta inoltre a immaginare che, ai fini della costruzione del consenso, censura e repressione siano gli strumenti più efficaci a disposizione dell’autorità. […]
Il potere di Antico regime non rifugge la violenza né la sua ostentazione spettacolare; la drammatizzazione della giustizia, con i significati rituali che a essa si accompagnano, costituisce senz’altro una delle strade battute dall’autorità. Tuttavia la repressione del dissenso non esaurisce l’azione del potere, e ne costituisce anzi una parte relativamente esigua. L’assolutismo non persegue infatti, almeno in prima istanza, la soppressione violenta del dissenso, dal momento che la negazione dell’altro da sé, benché certo esista e sia avvertita, non di rado, come necessaria, resta sempre una soluzione di ripiego. Davanti all’eretico, per esempio, la condanna capitale non è che l’extrema ratio: l’obiettivo è infatti l’abiura e, conseguentemente, la conversione, che appare l’unica soluzione in grado di appianare la disfunzione insorta con la bestemmia, il diniego o la pretesa libertà di pensiero. Giordano Bruno è bruciato vivo in Campo de’ Fiori, ma dopo mesi di ostinati rifiuti, di rettifiche e di smentite. Gli inquisitori, capitanati da un intellettuale dello spessore di Roberto Bellarmino, le tentano tutte per recuperare il condannato al gregge cattolico e quindi alla società civile. La condanna di Bruno fa scandalo anche perché si tratta, in termini relativi ovviamente, di un’eccezione, di un’anomalia nell’ordine sociale.
Perciò il potere di Antico regime non può essere connotato esclusivamente in senso negativo. L’assolutismo mira anzi, in primo luogo, a blandire i suoi sudditi, a coinvolgerli in una data visione del mondo. Lo scopo è neutralizzare le voci critiche integrandole nella propria sfera di valori. In questo senso, la propaganda barocca non si identifica con la negazione, bensì con la produzione di un capitale simbolico: un immaginario comune capace di riassorbire le deviazioni e i contrasti […]
Vanno interpretati in tal senso i travestimenti dei sovrani barocchi, dagli avatar mitologici di Maria de’ Medici ai costumi cavallereschi sfoggiati, a passo di danza, da Luigi XIII, che nei balletti di corte recita da Goffredo di Buglione. […]
Questa linea di tendenza rientra nella più generale propensione del Seicento per il gesto azzimato e per la posa, sino a quella che Torquato Accetto chiama «dissimulazione onesta». È all’interno del quadro appena tracciato che le metafore della messa in scena e della recitazione diventano essenziali per descrivere il concetto stesso di nobiltà, lungo una parabola che ha origine con Il libro del Cortegiano (1528), ma che tocca il suo apice nel XVII secolo, quando le molteplici traduzioni e riscritture dell’opera di Baldassar Castiglione giungono a teorizzare compiutamente, con una conclusione estranea al modello di partenza, che l’esibizione di una qualità è più importante della qualità stessa. Al momento di commentare e più spesso di rimaneggiare l’undicesimo capitolo del secondo libro del Cortegiano, in cui si affronta il tema de «lo esser travestito» in «giochi e spettaculi», i testi secenteschi elogiano la performance dell’inganno, ma sottolineano che, per provocare diletto in chi vi assiste, la maschera deve rivelare apertamente ciò che nasconde. Non vi è alcuna funzione pratica nel travestimento, che costituisce, invece, un raffinato gioco di società, con cui la corte si rappresenta e al contempo si riconosce.
Alla base dei ritratti trasfigurati dei regnanti vi è dunque una complessa dialettica tra vero e falso, tra realtà e simulazione. […]
Più che alla coercizione e al dominio, la propaganda barocca si apparenta invece alla credenza collettiva, perché nasce dall’empatia tra dominato e dominante. Le immagini del potere germogliano dal basso, dalla fede che l’assolutismo sia la realtà così come deve essere. Poemi, ritratti e cerimonie mettono in scena la devozione che i sudditi avvertono in quanto sudditi, e ne esibiscono i segni.»