“Legosofia. Apologia filosofica del Lego” di Tommaso W. Bertolotti

Dott. Tommaso W. Bertolotti, Lei è autore del libro Legosofia. Apologia filosofica del Lego edito dal Nuovo Melangolo: è possibile fare filosofia dei Lego?
Legosofia. Apologia filosofica del Lego, Tommaso W. BertolottiGrazie, è una domanda che non mi ero mai posto, dico davvero! Il mio problema era come fare filosofia dei Lego. Come potete immaginare, sono un grande appassionato di Lego, e sono un ricercatore in filosofia, quindi era naturale che le due cose si combinassero nella mia testa. Erano anni che ci pensavo, ma ci è voluta un’imprevista pausa professionale perché mi concedessi di dedicare davvero qualche mese a questo progetto. Ma come farlo? Esistono molte “Filosofie di…” e molte “La Filosofia e…”, ma spesso uno dei due oggetti, o la filosofia o la cosa di cui ci si occupa, diventano un semplice pretesto per parlare dell’altra. Io volevo che Legosofia non fosse né un libro che parlasse di Lego usando la filosofia come pretesto, né un libro che spiegasse la filosofia usando i Lego come esempio. E credo di essere riuscito nel mio intento, proponendo al lettore una serie di riflessioni circa gli aspetti filosofici del Lego e le sorprendenti analogie tra i Lego e la filosofia.

I Lego sono un oggetto molto vasto, e toccano un tale numero di questioni estetiche, pedagogiche, morali, psicologiche, sociali e culturali da essere certamente degni di un’analisi filosofica.
Qualche esempio: i temi rappresentati, la scelta dei materiali, il sorriso degli “omini”, il rapporto con la matematica e la geometria da un lato e quello con le grandi saghe della cultura popolare dall’altro, rendono il Lego un universo ricchissimo – per non parlare di tutto ciò che i Lego ci dicono di noi e della nostra mente.
Grazie a questa loro ricchezza i Lego sono un ottimo oggetto non solo di cui fare filosofia, ma con cui fare filosofia.
La filosofia, letteralmente amore della conoscenza (ma non l’amore erotico, l’amore che vuole bene, l’amore che ci rende amici della conoscenza), nasce dalla meraviglia. È la meraviglia che ci fa fermare, ci fare un passo indietro, e riflettere meglio sulla cosa che ci ha meravigliato. I Lego sono meravigliosi, nel senso che è difficile non meravigliarsi di fronte a quello che è stato fatto, o quello che è possibile fare con i Lego.

Lei sostiene che i Lego sono classici e platonici: cosa significa?
Me ne sono reso conto riflettendo sulle numerose risonanze tra i Lego e la filosofia antica. Il “seme” di Legosofia era un’intuizione sul pitagorismo dei Lego, su come il loro mondo geometrico e matematico, cartesiano, mettesse veramente in pratica uno dei cardini della dottrina di Pitagora, “tutto è numero”. Ci sono molti altri elementi comuni tra i mattoncini danesi e i filosofi della Grecia antica, basti pensare a Democrito – la natura atomica dei Lego – o alla guerra tra gli opposti di Eraclito – il rapporto tra istruzioni e creatività–, ma non solo: la stessa Lego City fa pensare ad una città-stato ellenica, una sorta di stato-megalopoli che si dirama nei diversi universi più o meno urbanizzati, ma sempre appartenenti allo stesso polo. In questo senso i Lego sono classici: sono ambientati nel mondo della città greca di Socrate, di Pericle e di Alcibiade. Ogni Lego City è una polis, teoricamente ermetica ed autosufficiente, al punto da sembrare un giocattolo che, al di là della finzione storica, sarebbe sembrato molto opportuno per far capire ai futuri cittadini il funzionamento della propria città e l’amore che essa stessa merita. Ma non dobbiamo fermarci qui, perché il classicismo dei Lego è ancora più specifico, a partire dalla stessa visione della città, che non solo è una polis in miniatura, ma è una città giusta, LA città giusta che Platone descrive nella Repubblica. I caratteri celebrati e impressi in Lego City (che rimane l’universo cardine dei Lego, mai obsoleto e quasi mai scomparso dai cataloghi) sono l’assenza di conflitto civile –da cui l’assenza di militari, perché Lego City è una sola, e non avrebbe senso che l’esercito si rivolgesse contro i propri cittadini– e il diritto/dovere di ognuno di svolgere la mansione per cui è meglio disposto. La dottrina platonica è complessa, e si riferisce anche ad una forma di predestinazione dovuta al metallo di cui è composta l’anima di ogni individuo (oro, argento o bronzo), mai nei Lego è resa attraverso il sorriso che illumina tutti gli “omini” a prescindere dalla loro occupazione (il capo della polizia e il netturbino hanno la stessa espressione di risoluta soddisfazione). La città modell(in)o Lego imita la città giusta proposta da Platone, ma così diventa essa stessa modello cui le città dovrebbero riferirsi per diventare giuste anch’esse: l’imitazione, il rapporto tra originale e copia, è un ennesimo tema platonico che i Lego hanno affrontato senza parole, ma con una ragione altrettanto efficace. I non sono quindi solo classici, ma anche platonici: oltre a risuonare con molte idee dell’amico e discepolo di Socrate, sono “strumenti” che avremmo potuto facilmente trovare in qualche sala dell’Accademia, la scuola che Platone fondò ad Atene, perché i suoi studenti potessero servirsene per capire meglio le sue idee e la loro stessa realtà.

Qual è il valore educativo dei Lego?
La specificità dei Lego è che sono un giocattolo con un potenziale educativo enorme, il cui più grande successo è stato tenerlo nascosto. Nessuno negherebbe che i Lego siano un gioco “intelligente”, ma non li troviamo tra i giocattoli “educativi”. I Lego educano in modo discreto e trasversale, inserendosi in numerosi piani esistenziali: certo, educano alla manualità e alla creatività, ma anche al rispetto dei vincoli del materiale (non posso fare a meno di ossequiare la disposizione dei perni dei mattoncini in una costruzione). Filosoficamente, i Lego educano a mettersi in discussione, nella sfida di costruire qualcosa di sempre più audace, ma anche nelle difficoltà: un bambino si accorge molto velocemente che, se gli manca un mattoncino ad un certo stadio della costruzione, non ci sono pianti, capricci o bugie che possano farlo riapparire. Deve capire dove ha sbagliato, se l’ha disposto dove non doveva oppure, se l’ha fatto cadere, deve ritrovarlo. E se nessuno dei due casi si dà, deve trovare un modo creativo di ovviare alla mancanza con i mezzi a sua disposizione. È qualcosa di molto duro ma molto importante, e giocando con i Lego entrambe le cose (sbagliarsi o perdere un pezzo) sono molto frequenti. Chi ci gioca impara molto presto a fare i conti con i propri limiti, ma questo è molto importante per lo sviluppo di un adulto che sappia gestire in modo sereno la realtà che lo circonda.

C’è poi tutta l’educazione morale e politica, ad esempio nel Platonismo e nel “culto” del buonumore, che può essere criticata ma che è pur sempre presente. In un certo senso, il lungometraggio LEGO Movie del 2014 consiste in una riflessione della Lego sulla propria ideologia sociale, che ne mostra i limiti (se portata all’estremo), ma anche l’efficacia di fronte al culto dell’eccezionalità e alla creatività obbligata che segnano il nostro tempo. Possiamo vedere il LEGO movie come un romanzo di formazione impregnato di filosofia hegeliana: se il sistema delle istruzioni e dell’ordine assoluto scivola nel totalitarismo, non è la sua antitesi, l’anarchia dei Mastri Costruttori (che sono ad esempio incapaci di lavorare assieme seguendo un progetto comune), la soluzione è una sintesi dei due elementi: la flessibilità nel seguire le istruzioni, ovvero la disciplina nell’estro creativo.
Insomma, mi si permetta la battuta: contrariamente a quanto si possa immaginare, temo che regalare Lego ai propri bambini non serva a farli diventare architetti o ingegneri, ma piuttosto psicologi, politici, buoni cittadini o, nel peggiore dei casi, filosofi!

Immaginiamo Lei abbia giocato molto coi Lego…
Chiaro che sì! I più bei ricordi della mia infanzia sono costellati di Lego, e oggi sono molto nostalgico quando vedo che i bambini non possono giocare (salvo eredità familiari) con universi mitici come il Medio-Evo e i Pirati. I set di Guerre Stellari sono bellissimi (ricordo la mia eccitazione quando comparvero all’alba della mia adolescenza), ma non hanno il gusto degli universi spaziali degli anni ‘90, ma va bene così: ogni generazione ha i suoi Lego, l’importanza è che il mattoncino rimanga. D’altronde, regalarmi (o farmi regalare) un Lego ogni tanto è uno dei miei piccoli piaceri proibiti. Mentre scrivevo Legosofia, vivevo l’acquisto di nuovi set come un “dovere professionale”, era necessario tenermi aggiornato e costruirli faceva emergere in me ricordi proustiani, adesso che il libro è pubblicato, però, devo trovare una nuova scusa!

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