“Leggere possedere vendere bruciare” di Antonio Franchini

Dott. Antonio Franchini, Lei è autore del libro Leggere possedere vendere bruciare edito da Marsilio, il cui fil rouge è rappresentato dall’immanenza dei libri: «la lettura, se rimane semplicemente lettura, per noi che passiamo la vita a leggere, potrebbe implicare che anche la nostra vita è servita a poco». In che modo leggere arricchisce la vita?
Leggere possedere vendere bruciare, Antonio FranchiniLeggere arricchisce la vita nel senso che la lettura è in se stessa un’esperienza, un’esperienza primaria, non secondaria come normalmente la si considera. Ribadito questo concetto essenziale, tutte le considerazioni ulteriori, che sono state fatte brillantemente da tanti, rischiano di essere scontate o retoriche. E questo è un rischio che davvero non voglio correre. Tutte le motivazioni a favore del leggere, più sono nobili più allontanano dalla lettura. La lettura è scoperta personale, avventura, rischio, è crescita nel senso che può anche annoiare e far male, e si sa quanto i concetti di dolore e di noia si accompagnino all’idea stessa di crescita.

L’amore condiviso per i libri ispira un ricordo affettuoso ma lucido, che non cede al sentimentalismo di maniera, di suo padre: quanto conta, l’ambiente famigliare, per stimolare l’amore per i libri e la lettura?
Conta tanto se sollecita l’imitazione senza passare attraverso la sollecitazione. Una volta si diceva che una casa piena di libri facilita la familiarità con il libro ed è vero, ma non so se questo vale oggi nello stesso modo. Credo di no. Per le persone della mia generazione era così perché, se crescevi in una casa-biblioteca, nei libri ci cadevi dentro inevitabilmente, anche se nessuno te li imponeva. Non c’erano alternative o quasi. Si usciva meno di casa, allora, la televisione era la tv dei ragazzi, che trasmetteva dalle cinque alle sei di pomeriggio, e basta. Se c’erano i libri a portata di mano era quasi inevitabile che ci cadessi dentro. I miei figli, che sono cresciuti come me in una casa piena di libri, hanno avuto infanzie piene di impegni: feste tra coetanei già alle elementari, attività sportive tre giorni alla settimana, corsi di lingua. E poi il cellulare, la Playstation, le serie televisive. Come competono i libri con un’offerta di intrattenimento massiccia, strepitosa, meravigliosa, evolutissima? Competono, certo, competono. Ma è una lotta dura. Un giovane che veda serie televisive compulsivamente, una dopo l’altra, magari in lingua originale ed espressamente create per lui, per irretirlo, sedurlo, coinvolgerlo, leggerà di meno? Certo, leggerà di meno. C’è poco da fare. Poi, in qualche modo, finirà comunque per leggere, ma il suo istinto alla narratività, per esempio, si formerà lo stesso e forse in maniera più sofisticata rispetto a noi che leggevamo Salgari e Verne, che sono stati letti dai giovani per decenni e oggi non si leggono più. Magari li rilegge qualche adulto, per nostalgia.

Il libro riunisce due riflessioni, a distanza di quasi un quarto di secolo l’una dall’altra, su un lavoro che, come scriveva malinconicamente Vittorio Sereni, comporta «la quotidiana dispersione in lavori assunti non di propria iniziativa, e di rado graditi»: come è cambiato il mestiere di editor in una casa editrice?
Rispondo nella maniera più sintetica possibile a una domanda molto ampia: fino a tutti gli anni Ottanta si poteva avere un sistema di riferimenti valoriali più condiviso. Si poteva dire più nettamente che cosa rientrava in un’idea, più o meno accettata, di letteratura, o di intrattenimento, e che cosa no. Con il passare dei decenni questo sistema è saltato. Non è stato necessariamente un male. Non avere un’idea egemone della letteratura significa essere più liberi, meno osservanti, più creativi, meno conformisti. Significa però anche non avere più una bussola e navigare in un mare molto più ampio, molto più mosso, dove le rotte da seguire sono indecifrabili o possono condurti su terre che sembrano promettenti e magari non lo sono, oppure sembrano continenti e invece sono isolette.

Quello di bruciare è un destino che ha segnato per secoli i libri: nelle sue intenzioni giovanili, immaginava di scrivere un libro intitolato Comburantur (“siano bruciati”), sugli scrittori che anelavano alla di­struzione delle proprie opere, un titolo che mutuava la formula con cui gli eretici venivano mandati al rogo: cosa ispira una tale volontà distruttrice?
L’idea romantica che la forma suprema della creazione non coincida con qualcosa che educhi, che nutra, che formi, ma con un’esperienza totalizzante, estrema, distruttiva. Mi ricordo un’edizione Guanda del Doctor Faustus di Cristopher Marlowe. Cristopher Marlowe, maledetto, omosessuale, spia, morto ucciso in una rissa di taverna a ventinove anni. Il risvolto di copertina diceva, più o meno: “anche l’olimpico Goethe si sarebbe ricordato del calore bruciante, del furore dei personaggi di Marlowe”. Da chi poteva sentirsi attratto un giovane degli anni Settanta, dal dissoluto Marlowe o dall’olimpico Goethe? Quale idea dell’arte poteva sognare, quella che aspira a passare a tutti i costi ai posteri o quella che vuole solo bruciare in un eccesso di splendore?

L’immagine della casa di Borges con pochissimi libri l’ha accompagnata sin da piccolo: nel libro racconta di aver sciolto solo ora l’enigma di quell’apparente contraddizione ma senza rivelarlo…
È una rivelazione semplice: il sapere si possiede, non si ostenta. Resta chiuso nel petto, nella testa, non si ostenta necessariamente in una biblioteca. Non si disperde nelle chiacchiere, si centellina in poche parole. In questo la maturità, ammesso che esista, è superiore alla giovinezza, forse solo in questo, nel fatto che non ostenta, nasconde; non urla, silenzia.

Antonio Franchini, nato a Napoli nel 1958, è direttore editoriale di Giunti Editore. Ha esordito nel 1992 con Camerati. Quattro novelle sul diventare grandi. Per Marsilio ha pubblicato: Quando vi ucciderete, maestro? (1996), Acqua, sudore, ghiaccio (1998), L’abusivo (2001), Cronaca della fine (2003), Signore delle lacrime (2010) e Memorie di un venditore di libri (2011). Nel 2020, per NNE, è uscita la raccolta di racconti Il vecchio lottatore.

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