
Rainaldo era uomo d’affari, feudatario del vescovo e non certo usuraio perché prestava denaro a un interesse piuttosto basso per i tempi, quando gli statuti comunali permettevano più del doppio sia a Padova che a Vicenza, città con cui egli intratteneva rapporti. Inoltre, a Padova, moltissimi guadagnavano prestando denaro, notai, professori universitari, osti, mercanti. Eppure Dante mette all’Inferno sia Rainaldo, padre di Enrico, sia l’altro padovano che i commentatori trecenteschi hanno riconosciuto essere Vitaliano del Dente. Vitaliano, in seconde nozze, aveva sposato Beatrice, sorella di Enrico Scrovegni e figlia di Rainaldo. Era stata Beatrice a fare da madre ad Agnese, figlia di Vitaliano, che nell’aprile del 1303 sposò Bartolomeo della Scala signore di Verona. Agnese e Bartolomeo della Scala accolsero Dante nel suo esilio, ma lo Scaligero morì nel marzo 1304, lasciando Dante privo di protezione. Come non ipotizzare che il poeta, non accolto a Padova né da Enrico Scrovegni, zio acquisito di Agnese presso il quale Giotto stava dipingendo la celebre cappella, né da Vitaliano, non abbia provato un senso di rivalsa nei loro confronti?
Se Rainaldo passa alla storia come usuraio, Enrico Scrovegni lega il proprio nome a uno dei più grandi capolavori dell’arte, la Cappella Scrovegni, che non fu certo eretta a espiazione dei peccati del padre. Cittadino padovano, ricchissimo banchiere che ebbe il raro privilegio di ottenere anche la cittadinanza veneziana, Enrico sposò in prime nozze una da Carrara, della famiglia dei futuri signori di Padova, e in seconde nozze Iacopina d’Este, nipote del signore di Ferrara. Egli ambiva, molto probabilmente, a diventare signore di Padova, per questo fondò il piccolo convento di Sant’Orsola con annesso hospitium e soprattutto la cappella, una vera meraviglia, dipinta dal più famoso pittore del tempo, Giotto, che aumento’ a dismisura il suo prestigio.
Nel libro si ricostruisce la vita pubblica di Enrico, ma anche quella privata, si ripercorrono i suoi affari, gli interessi e le relazioni con illustri personaggi del tempo. Solo una piccola parte è frutto di fantasia, ponendo comunque attenzione alla sua verosimiglianza e, quando fatti, situazioni o personaggi erano incerti o ignoti, è stata fatta liberamente una scelta coerente con la vicenda narrata.
Nel Suo testo, Lei avanza l’ipotesi che Enrico Scrovegni fosse legato ai Templari: quali sono gli elementi a suffragio di questa tesi?
La mia ricerca è iniziata otto anni fa quasi per caso. Sotto la Cappella degli Scrovegni si trova una cripta, chiusa al pubblico, il cui accesso avviene dall’esterno attraverso una porta. Scesi dei gradini si entra in un vano il cui soffitto è dipinto con file di stelle rosse a otto punte, come si trovano in alcune chiese templari in Italia e in Francia, e stelle blu, in omaggio alla Vergine Annunciata cui è dedicata la Cappella. Sono partita da qui. La mia ricerca è continuata nella cappella, dove le pareti laterali sono affiancate da sedili, come in una sala riunioni. Gli altari laterali sono caratterizzati da stelle rosse uguali a quella che troviamo in un sigillo templare, ai lati della Cappella sono affrescate quattro sante cui erano devoti i Templari. Inoltre le Virtù teologali non si trovano allineate secondo la tradizione ecclesiale, Fede, Speranza e Carità, ma secondo la disposizione consona ai Templari, Fede, Carità e Speranza. E conferma ulteriormente l’ipotesi di un legame tra Enrico Scrovegni e i Templari la figura accanto alla porta, dietro di lui, che offre la Cappella a Maria. Il religioso che sta scrivendo l’Ave Maria in latino e in volgare con “ora pro me” riferendosi a Enrico, è un personaggio fortemente legato ai Templari. E altro ancora. Di qui l’idea che la Cappella sia un atto di omaggio ai Cavalieri del Tempio, che nei primi anni del 1300 erano anche una potenza finanziaria internazionale. Si poteva prendere denaro in prestito da loro a Londra e restituirlo a Parigi, a Venezia o in Terrasanta. È quindi verosimile ipotizzare che Enrico, ricchissimo banchiere, fosse legato da rapporti di affari con i Templari.
La seconda inaugurazione della Cappella, ormai interamente dipinta, avviene nel 1305 e moltissime sono le reliquie che vi vengono inserite. E i Templari erano garanti delle reliquie. Non ci sono documenti, ma si possono sostenere delle ipotesi. Il romanzo attraverso Enrico Scrovegni, ripercorre gli ultimi e tragici anni dell’esistenza dei Templari, in Occidente e in Oriente, le lotte tra Bonifacio VIII e Filippo il Bello fino al loro arresto. Un’epopea grandiosa e drammatica.
La Cappella degli Scrovegni è un tesoro della pittura medievale: cosa la rende unica al mondo?
Quando Giotto dipinge la cappella siamo nel Medioevo, ma è evidente che il suo committente Enrico Scrovegni gli lascia una grande libertà. Certamente il pittore è affiancato da un prelato, il nobile Altegrado de Cattanei, raffigurato nell’atto di reggere la cappella mentre viene offerta a Maria, però gli affreschi rivelano l’entusiasmo di Giotto nei confronti del capolavoro che sta creando. Il primo bacio “reale” della storia dell’arte nell’abbraccio tra Anna e Gioacchino, le lacrime “vere” delle madri che assistono all’uccisione dei propri figli nella Strage degli innocenti, la descrizione minuziosa delle piante raffigurate, la borragine, l’alloro, il prezzemolo, la camomilla e l’erba stella che cresce rigogliosa in Toscana. Erbe che si mangiavano e si usavano per dare sapore ai cibi.
Nella pittura della Cappella degli Scrovegni appare il senso plastico delle figure, una nuova dimensione della prospettiva, la rappresentazione del mondo, degli affetti e dei sentimenti in chiave moderna. E che dire dello splendido Giudizio Universale? Trionfa la luce come gioia dei beati e lo smarrimento terribile dei dannati, le cui pene dovevano terrorizzare i contemporanei di Enrico, tale era la loro violenza. Il romanzo ripercorre la costruzione della cappella, sulle tracce del Tempio di Salomone e delle origini dei Templari, con gli angeli di Giovanni Pisano dalle grandi ali dorate come quelli dell’Arca del Tempio.
Dopo aver scritto libri di storia e di arte, questo romanzo, cui ho dedicato sei anni di ricerche e due di scrittura, mi ha permesso di ripercorrere la vita di Rainaldo ed Enrico Scrovegni dando loro emozioni e sentimenti, di riportare alla luce centinaia di personaggi, molti dei quali erano caduti nell’oblio, di far dialogare Giotto e Dante con Enrico Scrovegni. Sullo sfondo le vicende di Padova, Vicenza, Verona, la Roma del Giubileo di Bonifacio VIII, dove è verosimile che Enrico si sia recato percorrendo la via Francigena. Una ricostruzione dettagliata che, tra architetture, abiti, arredi, piatti speziati e usanze, trasforma il libro in un percorso iniziatico nel Medioevo.