“Le reti organizzative” di Valentina Pacetti e Angelo Pichierri

Prof.ri Valentina Pacetti e Angelo Pichierri, Voi siete autori del libro Le reti organizzative edito da Laterza: quale importanza riveste, nelle scienze sociali, il concetto di «rete»?
Le reti organizzative, Valentina Pacetti, Angelo PichierriNell’introduzione sosteniamo che nelle scienze sociali la prospettiva “di rete” è diventata talmente importante da presentarsi quasi come un paradigma: è sempre più frequente che per descrivere un oggetto sociale si utilizzino in primo luogo le sue relazioni (con altri oggetti, con il contesto, con l’ambiente…). Le relazioni sono diventate più importanti degli attributi. Questo è vero in modo ancora più evidente per le organizzazioni e per le dinamiche organizzative. Per questo motivo abbiamo deciso di provare a mettere in ordine gli strumenti teorici e analitici che possono aiutarci a studiare le reti i cui nodi sono imprese, ma anche enti pubblici, centri di ricerca, università, eccetera.

Nel nostro percorso professionale – di diversa lunghezza ma con un tratto importante in comune – abbiamo fatto molta ricerca applicata, molta policy research su problemi (struttura e strategia delle imprese, sviluppo locale, politiche industriali) che richiedono analisi scientificamente fondate ma finalizzate a risolvere appunto problemi, con l’individuazione di obiettivi praticabili e di strumenti adeguati per raggiungerli. Nel corso di questi lavori ci è capitato spesso di scoprire, sulla base delle nostre competenze di sociologia dell’organizzazione e di studi organizzativi, che l’uso di strumenti relativamente semplici tratti da queste discipline, e la messa in luce della dimensione organizzativa dei fenomeni e dei processi in esame, producevano un valore aggiunto inaspettato anche da parte di interlocutori tutt’altro che sprovveduti.

Nella prima parte del libro presentiamo (in maniera ordinata e semplificata, speriamo non banalizzata) le nostre proposte teoriche e metodologiche, sulla base di una sorta di “stato dell’arte” degli studi organizzativi in materia di reti. Negli studi organizzativi e nella sociologia dell’organizzazione l’analisi di rete è diventato un paradigma tendenzialmente dominante in tempi recenti. Un passaggio decisivo si colloca negli anni ’70 del secolo scorso, quando la tendenza sempre più marcata alla scomposizione, alla dis-integrazione della grande impresa in una costellazione di unità organizzative più piccole è stata descritta e spiegata dalla “economia dei costi di transazione”.

Nelle scienze sociali il contributo più importante per il passaggio da un uso prevalentemente metaforico a un uso metodologicamente rigoroso è stato quello della social network analysis, con la quale sociologi e antropologi hanno studiato le reti di persone che operano nei campi più vari: dalle forme di cooperazione lavorativa nelle società non letterate al mercato del lavoro e alle catene migratorie in quelle “avanzate”. Questo genere di analisi è stato prezioso per rendere operativi concetti come “fiducia” e “capitale sociale”.

Precedenti importanti – dove compare il termine “rete” – si trovano nelle scienze del territorio: la nozione di “reti di città”, e di reti che trovano nella città il loro hub, compare nella geografia economica (specialmente francese) almeno dagli anni ’70, e lo ritroviamo oggi negli studi sulle città europee come in quelli sulle città globali.

Per chi, come noi, si occupa specificamente di reti i cui nodi sono organizzazioni, i precedenti più importanti si trovano nella teoria generale dei sistemi, nella cibernetica, nella teoria dei sistemi sociotecnici, che si sviluppano grosso modo dopo la fine della seconda guerra mondiale. Sono depositi di conoscenza, cassette degli attrezzi, da cui hanno tratto molti strumenti le scienze sociali e gli studi organizzativi, ancora troppo poco gli studi sulle reti organizzative.

Che cosa sono le reti organizzative?
Parliamo di rete ogni volta che individuiamo dei nodi connessi da qualche tipo di relazione significativa e ripetuta.

Nell’analisi organizzativa il termine “rete” è stato utilizzato, spesso in modo prevalentemente metaforico, per fare riferimento a situazioni tra loro molto differenti, che vanno dalle relazioni di fornitura alle configurazioni “deverticalizzate” delle grandi imprese. Noi proponiamo invece una definizione di rete più restrittiva, nella quale i nodi devono essere organizzazioni formalmente autonome.

Nel volume definiamo la rete inter-organizzativa come un sistema di organizzazioni autonome che perseguono un obiettivo comune attraverso relazioni simmetriche, ripetute e non casuali.

Il termine “sistema” rimanda ad una tradizione di analisi e di ricerca alla quale abbiamo già accennato, che comprende in particolare la teoria generale dei sistemi e la cibernetica. Il numero delle entità definibili come “sistema” è potenzialmente illimitato, ma il grado di “sistemicità” delle reti organizzative è particolarmente elevato. Questa tradizione si rivela quindi estremamente efficace nell’analisi di situazioni nelle quali più unità organizzative, dotate per propria natura di obiettivi propri, si aggregano per il perseguimento di un fine condiviso, che può andare dalla commercializzazione dei prodotti all’introduzione di nuove tecnologie, dalla realizzazione di un prodotto al quale si concorre con diverse fasi di lavorazione fino all’instaurazione di relazioni con soggetti esterni come centri di ricerca, attori pubblici, canali di vendita internazionali.

Per perseguire l’obiettivo della rete, le organizzazioni-nodo stabiliscono in modo più o meno formalizzato norme di comportamento e di gestione delle relazioni che prevedono un’intensa circolazione delle informazioni e spesso anche la condivisione di prospettive e strategie. Si tratta di equilibri talvolta instabili e da ridefinire costantemente, ma che non potrebbero essere sostituiti da relazioni più strutturate, di tipo gerarchico.

Come si studiano le reti organizzative?
Ormai da decenni, accademici, consulenti e operatori sono impegnati nello studio delle reti. Ci è sembrato però che, partendo da una definizione più precisa di “rete organizzativa”, diventasse più semplice mettere in ordine una serie di passaggi indispensabili per l’analisi delle varie situazioni che possono di volta in volta presentarsi all’osservatore.

Quello che proponiamo è un percorso, uno schema di analisi, all’interno del quale individuiamo gli strumenti analitici che potranno essere utili per comprendere l’oggetto di studio.

Alcuni passaggi possono sembrare ovvi, come l’individuazione dei nodi e dei confini della rete, ma spesso si tratta di aspetti che richiedono una particolare attenzione e sensibilità organizzativa: quali sono, ad esempio, le condizioni per l’appartenenza, i meccanismi di inclusione e di espulsione? In molti casi le regole sono implicite, ma il loro funzionamento è certo un aspetto importante per comprendere la rete.

Lo studio delle relazioni tra i nodi richiede poi di mettere a confronto il ruolo della fiducia e della reputazione, ma anche della tecnologia, delle norme e dei valori.

Infine, suggeriamo di prestare attenzione a quella che chiamiamo un’analisi “diacronica” delle reti organizzative, che tenga conto delle trasformazioni nel tempo, dell’evoluzione e dell’eventuale crisi o fallimento della rete. Le reti, infatti, a differenza dei diamanti, non sono per sempre: si tratta di strumenti organizzativi da maneggiare con cura tenendo conto del fatto che, preziosi in certi contesti, possono presentare difficoltà e inconvenienti anche seri in altri.

Il libro presenta tre casi di applicazione dell’analisi di rete: la Lega anseatica, il distretto industriale e i contratti di rete. In che modo tali analisi contribuiscono ad una maggiore comprensione delle dinamiche sociali sottese?
Negli ultimi dieci anni di lavoro comune ci è sembrato che il progressivo affermarsi di un paradigma scientifico con al centro la rete, e la progressiva diffusione di forme reticolari di organizzazione, rendessero il nostro approccio ancora più promettente: la seconda parte del libro è un test in questa direzione.

Negli ultimi tre capitoli abbiamo applicato il nostro schema di analisi ad alcune reti organizzative che ci sembrano esemplari. Abbiamo scelto deliberatamente tre casi assai diversi: dovevano riguardare temi e vicende di cui sapessimo abbastanza, e che si prestassero a mostrare che cosa di nuovo una corretta analisi delle reti organizzative può dare su terreni già abbondantemente arati. Sulla cosiddetta “lega anseatica” e sui distretti industriali la letteratura è letteralmente immensa: prevalentemente tedesca per la prima, prevalentemente italiana per la seconda. Diverso è il caso dei contratti di rete, comparsi nella nostra legislazione da non molti anni, ma già oggetto di forte interesse da parte di studiosi di varie discipline, di operatori legali e amministrativi, di policy maker a livello regionale e centrale.

Nella vasta e secolare letteratura sulla Hanse terminologia e tentativi di analisi che usino la strumentazione dell’analisi di rete compaiono solo dalla fine del secolo scorso. Nei manuali di storia si parla di solito di “lega anseatica”, con riferimento a una rete di città. Ma la Hanse è una costruzione più complessa: prima ci sono le reti di mercanti, che autoregolano la cooperazione in vista di fini economici; a partire dal XIV secolo il cambiamento dei rapporti di potere in un’area che ha al suo centro il Mar Baltico rende chiaro che i mercanti, nonostante l’efficacia della loro organizzazione economica, hanno bisogno di una sponda politica. Questa viene fornita dalle città anseatiche: la lega anseatica nasce e si sviluppa per proteggere e promuovere gli interessi dei suoi mercanti. Le reti si combinano producendo una macchina di rara efficacia. I legami che tengono insieme gli attori sono “deboli”, salvaguardano cioè la loro autonomia; è il segreto del successo e della lunga durata, che contiene però rischi e svantaggi che si manifesteranno nella fase del declino.

Nel caso dei distretti industriali “classici” (uno dei pochi articoli di esportazione italiani nel campo della sociologia economica e delle politiche industriali) gli spunti e le analisi che si inseriscono in un paradigma reticolare non mancano di certo: forse tra gli economisti più ancora che tra i geografi e i sociologi. Si tratta di raccoglierli e sistematizzarli oltre che svilupparli. Lo schema di analisi che proponiamo ci sembra utile – tra l’altro – per la comprensione dell’evoluzione recente che ha segnato il declino di alcuni distretti e la metamorfosi in positivo di altri. Processi come la deterritorializzazione o il crescente policentrismo interno ai distretti sono una miniera per l’analista di reti organizzative.

Nel caso dei contratti di rete, una formula giuridica recente e in evoluzione, ci sembra di poter registrare per una volta una notevole consonanza tra quello che ha prodotto il legislatore e quello che hanno prodotto gli studi organizzativi più recenti. Si può definirlo un caso di successo, che va però seguito e monitorato, da parte degli studiosi come da parte degli operatori pubblici e associativi che se ne occupano. Questi ultimi sono infatti, nella nostra analisi, importanti “nodi di supporto”: con questa espressione facciamo riferimento ad attori (governi locali, associazioni di rappresentanza ecc.) che è difficile considerare membri della rete ma senza considerare i quali non si capisce l’origine e il funzionamento di questa.

Quali prospettive per l’analisi delle reti di organizzazioni?
Nel testo proponiamo una prospettiva teorica, ma anche degli strumenti analitici. La nostra idea è che utilizzare questi strumenti possa aiutare gli studiosi di organizzazione ad individuare con maggiore facilità i punti di forza o di debolezza di una rete, e quindi ad intervenire per migliorarne il funzionamento o per progettarne la configurazione in modo più efficace per il raggiungimento degli obiettivi.

Anche nei casi in cui la collaborazione rimane informale, per fare un esempio, la definizione consapevole dell’obiettivo e dei confini della rete può aiutare ad attivare rapporti di fiducia capaci di sostenere attività comuni via via più complesse. L’introduzione di un manager di rete, per fare un altro esempio, può consentire ai nodi di perseguire obiettivi più ambiziosi senza distogliere energie dalla gestione ordinaria.

La strumentazione che proponiamo, infine, può essere applicata anche a casi e situazioni meno idealtipiche di quelle che presentiamo nel libro: quali sono i nodi, le relazioni, i confini di sistemi locali di fornitura, catene globali del valore, ma anche sistemi di governance metropolitani, cooperazioni scientifiche internazionali o organizzazioni criminali di stampo reticolare?

Valentina Pacetti è Professoressa Associata presso il Dipartimento di Sociologia e ricerca sociale dell’Università di Milano – Bicocca, dove insegna Sociologia dell’organizzazione e Capitale sociale e sistemi socio-economici locali. Tra le sue pubblicazioni, I contratti di rete. Pratiche di capitale sociale tra le imprese italiane (con Serafino Negrelli, Bologna 2016) e Territori, competitività e investimenti esteri. Beni collettivi locali e agenzie di promozione nelle regioni europee (Roma 2009).
Angelo Pichierri, già professore ordinario di Sociologia dell’organizzazione nell’Università di Torino, ha svolto attività di insegnamento e di ricerca anche a Venezia, Parigi, Berlino, Brema e Barcellona. Tra le sue pubblicazioni
Strategie contro il declino in aree di antica industrializzazione (Torino 1989), Città stato. Economia e politica del modello anseatico. (Venezia 1997), Sociologia dell’organizzazione (Bari-Roma 2011).

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