
di Luca Balestrieri
Luiss University Press
Il fenomeno della «riorganizzazione della produzione e dei consumi», cui stiamo assistendo nello scenario economico mondiale contemporaneo, «sta inglobando le industrie creative mondiali negli ecosistemi delle piattaforme». Ma cosa si intende con tale termine? «Nella sua definizione più generale, una piattaforma è uno spazio per transazioni o interazioni digitali che crea valore attraverso l’effetto network, il quale si manifesta tramite la produzione di esternalità positive.»
In tale contesto, non può che generarsi «una frattura: da un lato, le piattaforme – i big player globali ma anche soggetti più piccoli e gregari, in cerca di spazi negli interstizi dei grandi ecosistemi – che stanno riorganizzando produzione e consumi mediali; dall’altro, i media come li abbiamo finora conosciuti, per lo più organizzati per silos verticali: la televisione, la radio, la stampa più o meno tentata dal web, la filiera del cinema, l’industria discografica.
Le piattaforme si impongono come modello di business e come esperienza di consumo, come paradigma che impone la reingegnerizzazione del comparto mediale nel suo insieme: dobbiamo perciò rassegnarci a definire media tradizionali, anche se digitali, tutto ciò che non è piattaforma e in quanto tale destinato a essere riplasmato, con un destino simile a quello che nei primi quindici anni di questo secolo ha investito i media analogici.»
Come naturale conseguenza, si registra «la nascita di un nuovo tipo di contenuti mediali proposti dalle piattaforme, un mix di esperienze social, audiovisuali e ludiche. Apparentemente si tratta di una polverizzazione del tempo del consumatore, ma in realtà è una dinamica di ricostituzione dell’esperienza comunicativa. Li abbiamo chiamati contenuti di piattaforma, per distinguerli dalle grandi narrazioni che lo streaming ha preso dal cinema e dalla serialità. L’orientamento verso questi contenuti di piattaforma è già prevalente in segmenti strategici della popolazione, in particolare la Generazione Z, i nati nel nuovo secolo, ed è destinato a caratterizzare più in generale lo scenario dei consumi mediali, emarginando il flusso televisivo e le sue espressioni nella cultura di massa. Lo spostamento di risorse pubblicitarie dalla televisione alle piattaforme globali sancisce, sul piano concreto dell’egemonia industriale, questa trasformazione dei consumi e sottrae risorse essenziali per la sopravvivenza dei sistemi nazionali dei media. Le piattaforme, tramite questi contenuti di tipo nuovo, creano inoltre un consumatore funzionale all’estrazione di valore da parte delle piattaforme stesse e sempre più distante, in termini di aspettative e forme mentali, dal fruitore tradizionale dei media, radicato nella cultura nazionale di appartenenza.»
La «nozione di capitalismo delle piattaforme è ormai da qualche anno al centro di diverse riflessioni: dal tema del lavoro a quello della concorrenza, dalla proprietà dei dati alla forma dell’impresa. La piattaforma sembra essere l’emergente paradigma organizzativo dell’industria e del mercato più funzionale alla piena valorizzazione della rivoluzione tecnologica digitale (intelligenza artificiale, cognitive automation, Internet of Things, 5G), tanto da configurarsi come caratteristica essenziale di un nuovo lungo ciclo tecnologico-industriale. Il capitalismo delle piattaforme costituisce perciò una fase dello sviluppo economico, sociale e culturale, come nel Novecento lo è stato il fordismo della produzione di massa, del consumismo diffuso e della cultura popolare espressa dai mass media. Se c’è un settore dove quest’affermazione è d’immediata evidenza è il comparto dei media: l’era delle piattaforme appare ormai un ciclo storico di sviluppo della produzione e dei consumi mediali, come lo sono state l’età pionieristica della stampa, quella della solitaria avventura del cinema e, infine, quella dell’egemonia della televisione. Capire come funziona il modello piattaforma serve a capire l’anima dello Zeitgeist mediale, lo spirito del tempo che guida l’evoluzione della comunicazione. Serve soprattutto a rispondere a un interrogativo: com’è stato possibile un tale radicale ribaltamento dell’assetto costituito, una vera e propria rivoluzione nell’industria dei media, in un periodo di tempo tutto sommato limitato e senza un’efficace resistenza del vecchio ordine della cultura di massa?»