“Le parole dell’Economia. Viaggio etimologico nel lessico economico” di Francesco Mercadante

Prof. Francesco Mercadante, Lei è autore del libro Le parole dell’Economia. Viaggio etimologico nel lessico economico, edito dal Sole 24 Ore: di quale importanza è l’etimologia per la comprensione dell’economia?
Le parole dell'Economia. Viaggio etimologico nel lessico economico, Francesco Mercadanteἔτυμος (ètymos), in greco, vuol dire vero. Fatta questa premessa elementare, quantunque utile e inevitabile, è appena il caso di chiedersi: – A cosa servano le parole? -. Le utilizziamo principalmente per manifestare un qualche bisogno e creare relazioni. Non è sufficiente dire, come si è soliti fare, che servono per comunicare, poiché la comunicazione è un sistema che, talora, può prescindere dalla parola. Di conseguenza, dal mio punto di vista, l’etimologia, è anzitutto la disciplina che ci permette di studiare il modo in cui manifestiamo i bisogni e creiamo relazioni. Ricostruendo l’etimo di una parola, noi non facciamo altro ‘rivelare’ il modo, autentico e originario, in cui amiamo, desideriamo, soffriamo et cetera. Procedendo con un esempio, possiamo offrire al lettore un migliore contributo. Prendiamo in esame il termine tolleranza. Nel tollerare è sempre contenuta l’idea della sopportazione, del dolore, ci si commisura altresì a qualcosa di spiacevole e che provoca afflizione. Il GDLI propone in tal senso una definizione illuminante e perentoria: “Disposizione d’animo o atteggiamento interiore proprio di chi accetta il dolore, le avversità, le molestie con salda forza d’animo e serenità; sopportazione paziente di mali, disagi, oltraggi”. Sulla base di questa acquisizione, chi è tollerato non può di certo sentirsi beneficato, come, in genere, si pensa. Al contrario, chi è tollerante o è un coraggioso, un valoroso, uno temprato, per così dire, dalla vita o, se tollera qualcuno, nello stesso tempo, può anche disprezzarlo o, per lo meno, considerarlo diverso ed escluso dalla comunione di idee e sentimenti. Insomma, sembra proprio che la tolleranza non sia questa nobile ‘cosa’ decantata dai più. È sicuramente un termine al confine tra il bene e il male. Tolleranza è un sostantivo latino ‘in purezza’, un termine che, a dispetto delle inevitabili metamorfosi evolutive della lingua, ha mantenuto la propria glossa e la propria morfologia inalterate, a tal punto che la sua struttura morfematica, espandendosi all’interno della Romània, non ha subito particolari modifiche, almeno non agli occhi del parlante comune: (fr) tolérance, (ro) toleranţă, (es) tolerancia, (pt) tolerância. Se estendiamo il confronto al creolo haitiano, lingua nata dal francese, riscontriamo tolerans, nel pieno rispetto del modello originario. La corrispondente voce latina è tŏlĕrantĭa, la quale deriva dal verbo tŏlĕrāre, che, a propria volta, è legato all’originario tollĕre. Di conseguenza, l’affinità semantica e il legame che ne scaturisce rafforzano il tema della sopportazione, tema che si struttura tanto sull’area del sollevare, reggere quanto su quella di soffrire. Tollĕre può essere reso addirittura con sopprimere, distruggere, uccidere; la qual cosa dovrebbe indurci a fare immediatamente qualche passo indietro circa l’orgoglio della tolleranza. Dunque, la relazione linguistica che per lo più si costruisce è ambigua.

Cosa ci insegna l’origine del termine economia?
Economia giunge a noi tramite il latino oecŏnŏmĭa, ma, anche in questo caso, abbiamo a che fare con un sostantivo greco: οἰκονομία (oikonomìa), composto da οἶκος (òikos, casa) e νόμος (nòmos, legge). Quindi, in buona sostanza, prim’ancora d’esprimere un sistema complesso, qual è quello che si studia per amministrare un paese, esso significa “legge (o amministrazione) della casa”. Nel tempo, s’è compiuto un passaggio metonimico. Da òikos, casa, si è passati ad altre strutture o altri organismi sociali. Quale insegnamento possiamo trarne? La prima forma di economia appartiene alla nostra casa e alla nostra abitazione. Far quadrare i conti, come si suol dire, è la forma primigenia di economia.

Quali valenze etimologiche contiene il termine crisi?
Parrà strano, ma crisi è uno dei termini più equivocati del lessico economico, anche se, in apparenza, si tratta di una voce semplice e accessibile. Ciò accade anzitutto perché viene utilizzato prevalentemente al posto di recessione. È pur vero che sono legati, per così dire, da somiglianze semantiche, ma non sono la stessa cosa. Più correttamente: quando, per due trimestri consecutivi, si registra una variazione congiunturale negativa del Prodotto Interno Lordo, cioè una riduzione del valore di beni e servizi, allora si deve parlare di recessione, non di crisi. Tuttavia, crisi ha avuto la meglio non solo nella parlata, ma anche nella scrittura giornalistica media; il che ha generato una sorta di oscurità linguistico-concettuale. Perché si verifichi una crisi, come c’insegnano i lessicografi, deve registrarsi un brusco passaggio da uno stato di floridezza a uno di miseria, un’improvvisa alterazione della stabilità di un paese. La continuità assume altri valori e altri significati. Ancora una volta, si tratta di un ‘grecismo’ bell’e buono: kρίσις (krìsis) deriva dal verbo κρίνειν (krìnein), che, oltre a significare vagliare, giudicare, si rende con separare. Anticamente, veniva utilizzato per indicare la separazione della granella di frumento dalla paglia e dalla pula. Era quindi connesso alla trebbiatura. Col passare del tempo, se n’è ricavata l’accezione negativa, che, molto probabilmente, è inclusa nel concetto del tagliare, eliminando qualcosa.

Qual è la storia del termine debito?
Se finora abbiamo parlato solamente di origini greche, adesso possiamo dare spazio anche al latino. Citando fedelmente Le parole dell’economia: “L’origine di debito è prettamente e inequivocabilmente latina: dēbitu(m) è participio passato e aggettivo del verbo debēre, che significa, sì, essere debitori, ma anche essere costretti ed essere destinati. In questo contesto semantico, non si fa fatica a rilevare il coinvolgimento della dimensione emotiva del debitore, che emerge nettamente attraverso la sua costrizione e la sua sorte, tant’è che nell’Ars poetica di Orazio, leggiamo”:

Debemus morti nos nostraque.
Siamo destinati alla morte, noi e le nostre cose.
(ORAZIO, Ars Poetica, in Opere, tomo II, a cura di S. Pisano, 1849, Ferdinando Raimondi, Napoli, p. 505)

In quanto all’economia contemporanea, il debito è, anzitutto, un obbligo giuridico. E non possiamo dimenticare che gl’italiani sono talmente abituati a vivere di debiti che ormai il cittadino medio ne dà per scontata l’incidenza sull’economia quotidiana, senza farne un dramma, per così dire. Già nell’Italia postunitaria (1861-1872), si registrò un incremento del debito pubblico del 50% in dieci anni. Oggi, è agevole accedere, tramite un qualsivoglia motore di ricerca, agli studi in cui se ne mostrano le curve storiche: negli ultimi 20-25 anni, è cresciuto di più di 15 punti percentuali; e stiamo parlando di un periodo felice, sotto questo punto di vista e nonostante la crisi e la pandemia. A ben vedere, anche nella più nota tra le preghiere della cristianità, il Padre Nostro, compaiono “debiti” [ἄφες ἡμῖν τὰ ὀφειλήματα (debiti) ἡμῶν, àphes hemìn ta opheilèmata hemòn, rimetti a noi i nostri debiti (Mt 6, 12)] e “debitori” [ὡς καὶ ἡμεῖς ἀφίεμεν τοῖς ὀφειλέταις (debitori) ἡμῶν, hos kai hemèis aphìemen tois opheilètais hemòn, come noi li rimettiamo ai nostri debitori (ibid.)].

Quali sono, a Suo avviso, tra quelle da Lei esaminate, le etimologie più interessanti e inaspettate?
In realtà, non posso parlare di etimologie inaspettate: non perché io abbia ormai scoperto tutto, ma perché questo viaggio etimologico nel lessico economico, Le parole dell’economia, come ogni saggio, è l’esito di un lungo periodo di ricerca sia di un’attività che svolgo, per amore incondizionato, fin da quando ero studente universitario. Fu quello, infatti, il momento in cui, pur facendo filosofia, scopersi l’amore per la lingua. Dunque, non ho sentito l’effetto rivelazione, ma ho sicuramente goduto del piacere dell’approfondimento. Ogni tema di studio dev’essere esaminato e riesaminato continuamente. Secondo me, chi non è affetto da un minimo di nevrosi ossessivo-compulsiva non può fare ricerca. Detto questo, ci sono indubbiamente delle voci che reputo proprio curiose e divertenti: mi si conceda questo aggettivo improprio! Fisco, per esempio, ci giunge dal latino fiscus. Oggi, per noi, è la cosiddetta ‘cassa dello Stato’, ma in origine era un cesto di vimini, una sporta che, a Roma, gli esattori recavano con sé proprio per la raccolta dei tributi. Un altro aneddoto che potremmo fare rientrare nella categoria ‘curiosità’ è quello concernente la massima latina “pecunia non olet”. Risale all’epoca in cui Vespasiano impose una tassa sulla raccolta dell’urina, da cui si ricavava l’ammoniaca per la raccolta delle pelli. Il figlio Tito protestò, giacché la tassa sull’urina gli parve uno sproposito. Il padre, in risposta, un bel giorno, dopo la prima riscossione, gli fece odorare il denaro chiedendogli se puzzasse o meno. Di qui “pecunia non olet”, il denaro non ha odore.

Francesco Mercadante è professore aggregato di Analisi del linguaggio presso la Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Gestaltica Integrata (SIPGI, Trapani). Analista del linguaggio, è contributor di Econopoly24, Il Sole 24 Ore, Tech Economy 2030. È stato docente di Analisi dei testi all’Università degli Studi di Palermo. Tra le sue pubblicazioni più recenti: Questo è il mio sangue. Romanzo paradossale sulla vita di Yeshùa Christòs (AeB, 2022), Le parole dell’economia. Viaggio etimologico nel lessico economico (Il Sole 24 Ore, 2022), Riferite ciò che avete visto (Amazon, 2021), L’uomo che ha appena smesso di fumare [continuando a fumare] (Amazon, 2021), Grammatica Umoristica e In principio era il debito. Il linguaggio dell’economia e della finanza Messaggio, paradosso, spiegazione.

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