“Le parole dell’economia politica” di Riccardo Leoncini

Prof. Riccardo Leoncini, Lei è autore del libro Le parole dell’economia politica edito da Mondadori Università: quali sono i principi fondanti della teoria neoclassica?
Le parole dell'economia politica, Riccardo LeonciniPer comprendere in maniera adeguata quali possano essere i principi fondanti della teoria neoclassica, occorre ricordare innanzitutto che la cosiddetta rivoluzione neoclassica (che ha portato la teoria marginalista a dominare la teoria economica sostituendosi a quella precedentemente elaborata dai cosiddetti economisti classici, quali, per esempio, Adam Smith, David Ricardo e Karl Marx) si compie nella seconda metà del XIX secolo, e trova alla fine del 1800 la sua compiuta formulazione nei Principles of Economics di Alfred Marshall.

La cosiddetta rivoluzione neoclassica si basa fondamentalmente sull’inglobamento della teoria e della metodologia della fisica newtoniana, adottandone, si potrebbe dire, la grammatica, la sintassi, se non addirittura la retorica. L’idea su cui basare le interazioni fra agenti economici è stata presa di peso dall’analogia con l’interazione fra elementi enunciata dalla fisica del tempo: così come gli atomi muovendosi si scontrano fra di loro e sulla base di queste dinamiche si scambiano energia e creano le caratteristiche della materia, anche i singoli agenti economici si “scontrano” fra di loro sul mercato e il risultato di queste interazioni (gli scontri) è interpretato di fatto come una transazione.

Sulla base di questa analogia è stato possibile costruire un modello economico estremamente efficace, che ha guidato di fatto la crescita economica dei maggiori paesi industrializzati, estendendosi poi di fatto a tutto il globo.

Tuttavia, l’idea del comportamento umano che questa visione implica è fortemente indirizzata da principi deterministici che di fatto espellono elementi sia individuali che sociali dall’agire umano. Di fatto quindi, i principi fondanti della teoria neoclassica possono essere rinvenuti nella descrizione degli scambi economici fra agenti come trasmissione di energia fra due corpi in movimento. È infatti possibile ricostruire un intero florilegio di affermazioni fatte dai principali economisti del tempo, a proposito del fatto che lo scambio debba essere descritto da una serie di equazioni in tutto simili a quelle usate dai fisici, e che quindi si sarebbe potuti arrivare ad un calcolo degli effetti morali dei rapporti economici, allo stesso modo con cui era possibile arrivare ad un calcolo degli effetti gravitazionali dei rapporti fra corpi celesti.

Su quali concetti si incardina la teoria neoclassica?
La teoria neoclassica si incardina su due concetti legati fra di loro: il concetto di razionalità e quello di massimizzazione. Da un lato il comportamento è caratterizzato da razionalità che possiamo definire globale: ogni agente è in grado di definire completamente il ventaglio delle possibili scelte, di ordinarle secondo il proprio criterio preferenziale e di scegliere quindi la migliore. Questo principio funge da presupposto al comportamento degli agenti, che sono orientati a ottenere il massimo dalle proprie scelte compatibilmente con i vincoli a cui sono assoggettati (per il consumatore, per esempio, il reddito di cui dispone).

L’adozione dei principi di razionalità e di massimizzazione vincolata permette una doppia interpretazione degli scambi economici. Da un lato, gli agenti sono indirizzati da principi “oggettivamente” riconoscibili e replicabili nei loro comportamenti, dall’altro i loro comportamenti sono del tutto slegati da elementi che potremmo definire “irrazionali” (quali, per esempio, l’altruismo, l’amore, il desiderio di protezione, la paura) oppure da elementi che dipendono da interazioni “sociali” (quali, per esempio, l’idea di trattare gli altri giustamente, di rinunciare a qualcosa per generare una distribuzione più equa, di condividere con altri parte delle proprie esperienze e beni).

In che modo la teoria neoclassica ha determinato i modelli interpretativi e di comunicazione che regolano il nostro mondo?
L’espulsione di qualunque motivazione sia sociologica che psicologica ha fatto sì che l’economia neoclassica sia diventata totalmente intradisciplinare, poiché il comportamento degli agenti è basato soltanto su motivazioni economiche. Tanto per fare un esempio, questo modo di intendere i rapporti fra agenti economici rimuove direi “automaticamente” qualunque problema legato non soltanto alle classi (sui cui erano invece molto attenti gli economisti classici), ma anche parole quali potere, ideologia, conflitto, dominio, etc.

Inoltre, la separazione fra momento normativo e momento positivo è un ulteriore fondamentale elemento, poiché così facendo si presuppone che possa esistere una economia positiva basata su principi che, giusti o sbagliati, risulterebbero essere neutrali da un punto di vista etico. Per esempio, differenze nei guadagni, nella produzione o nel consumo non dipenderebbero da relazioni di classe, di potere o di sfruttamento, ma semplicemente da una serie di parametri economici legati alla massimizzazione di una funzione obiettivo da parte di un singolo agente razionale animato da un “sano” egoismo (cioè focalizzato soltanto sul proprio benessere).

Qualunque comportamento che non sia conforme a questi principi entra di fatto nel novero dei comportamenti irrazionali. Irrazionale è un termine ovviamente peggiorativo e non può venir applicato al comportamento degli agenti economici, ma, per esempio ai comportamenti sociali o psicologici. Il premio Nobel per l’economia Paul Samuelson arriva addirittura a definire la sociologia come una specie di economia ma senza la razionalità!

Per quanto attiene invece all’economia comportamenti irrazionali non potrebbero aversi, poiché innanzitutto sarebbero messi in atto da un numero limitato di agenti, sarebbero inoltre comportamenti non sistematici e infine si presterebbero ad essere eliminati dai meccanismi concorrenziali che permetterebbero soltanto ad agenti razionali e massimizzanti di ottenere il massimo beneficio dall’utilizzo del mercato. Al contrario, agenti irrazionali non riuscirebbero ad ottenere un tornaconto se non in maniera del tutto causale e per un periodo limitato di tempo (il tempo necessario ad un agente razionale di rendersi conto della possibilità di ottenere un tornaconto sfruttando il comportamento “sbagliato” dell’agente irrazionale). In questa maniera la parte sociale e storica viene obliterata, così come il significato ed il ruolo delle istituzioni.

Quale lessico ha imposto, anche nel parlare comune, la teoria neoclassica?
Quello che alcuni chiamano imperialismo dell’economia.

Essendo una disciplina autocontenuta, l’economia neoclassica ha trovato le potenzialità per espandersi attraverso le discipline più varie in una sorta di imperialismo economico che ha permesso agli economisti di occuparsi praticamente di qualunque attività umana, applicando i due principi di razionalità e di massimizzazione. Tutto può diventare oggetto di trattamento da parte di un economista, una volta che lo si sia ridotto ad un problema di massimizzazione. Per esempio il capitale umano (che deriva dal considerare le proprie abilità intellettuali come un investimento per il quale occorre ottenere la massima remunerazione sul mercato), oppure la schiavitù (la cui abolizione deriverebbe dal comportamento massimizzante degli agenti desiderosi di massimizzare il loro profitto individuale), oppure il crimine (che rappresenta un’attività razionale che confronta i benefici delle rapine con i suoi costi), o addirittura l’ignoranza (che può essere vista come il risultato razionale di non spendere ulteriormente nell’acquisizione di conoscenza). E così via, dalla vendita di un proprio organo (ovvio comprenderne le motivazioni economiche, basta essere sufficientemente poveri e avere un acquirente sufficientemente ricco…), al sesso orale (si proprio così! Anche questo sarebbe secondo gli economisti una risposta razionale al contagio da AIDS), all’inquinamento (che secondo molti economisti dovrebbe naturalmente dirigersi verso i paesi poveri). Insomma, il limite è la fantasia!

Questo genere di ragionamenti ha “invaso” anche la sfera delle scelte che hanno rilevanza pubblica. Si pensi alla letteratura che analizza (sempre da questo punto di vista) le scelte di voto, la scelta fra aprire o chiudere un ospedale, se non addirittura le scelte fra guerra e pace, e così via. Tutte queste decisioni sono simili alla scelta razionale fra l’acquisto di mele o di pere e sono disciplinate da una qualche forma di mercato che permette di calcolare il costo (sia privato che sociale) di qualunque scelta.

Naturalmente, nessuno nega che un’analisi economica possa servire, ma se diventa l’unico criterio a cui informare una scelta, allora gli elementi sopra citati (altruismo, amore, desiderio di protezione, senso di colpa, cercare un lavoro sulla base di elementi non monetari) diventano un impiccio a decisioni razionali.

Quali difficoltà e quali contraddizioni sorgono nell’elaborazione di una sintassi così compatta?
Il focus sull’equilibrio è il primo dei concetti su cui puntare l’attenzione. Infatti, mentre gli economisti classici focalizzano l’attenzione sul cambiamento e la crescita, gli economisti neoclassici pensano in termini di equilibrio, di stabilità e di statica comparata.

L’economia classica parte da relazioni di classe (specialmente fra capitale, lavoro e terra) e si concentra sulle proprietà storico-dinamiche dei sistemi economici (e non soltanto perché avevano a che fare gli eventi rivoluzionari legati alla rivoluzione industriale).

La teoria neoclassica si basa invece su un modello di equilibrio, in cui ogni agente che decide di comportarsi in maniera tale da massimizzare la propria funzione obiettivo, contribuisce a costruire un equilibrio che in genere è globalmente stabile. Questo implica che ogni azione viene presa in condizioni di equilibrio, o nel caso avvenga mai al di fuori di esso, serva a ricondurre il modello all’equilibrio. Secondo la teoria neoclassica l’equilibrio è indipendente dalle condizioni iniziali, è unico e globalmente stabile. Non esiste nessuna dinamica nel sistema che non sia quella che riporta continuamente il modello verso l’equilibrio. Nonostante sembri un modello soggetto al cambiamento, nessun cambiamento fondamentale è possibile che non sia imposto dalle condizioni ambientali che dirigono il modello verso l’equilibrio.

Il secondo elemento per il quale la teoria neoclassica non è in grado di fornire un adeguato trattamento è quello relativo al tempo. La microeconomia neoclassica si basa sull’uso efficiente di risorse scarse, date le condizioni tecniche di produzione. In questo senso il modello è astorico e privo di tempo. Mentre il modello classico è legato a come differenti sistemi si sono organizzati sulla base di differenti condizioni storiche e sociali.

Seguendo l’analogia con la fisica, l’equilibrio economico si stabilisce in maniera meccanica, come se fosse un meccanismo ad orologeria, in cui un gran numero di ingranaggi (che potrebbero risultare incomprensibili) generano il moto delle lancette in maniera assolutamente deterministica, lineare e reversibile: non esiste nessuna freccia del tempo. Il mondo dell’economia neoclassica è un mondo in cui il tempo è reversibile, e gli agenti interagiscono fra di loro in maniera meccanica esattamente come nel mondo descritto dalla fisica newtoniana. Da questo punto di vista, nessuna dinamica di disequilibrio è possibile, se non quella di riaggiustamento verso l’equilibrio. Oltre che alquanto insufficiente a trattare problemi di questo tipo, questa visione del mondo appare un po’ obsoleta, perlomeno a partire dalla seconda legge della termodinamica.

È possibile proporre scenari alternativi altrettanto validi al paradigma economico attualmente dominante?
Nel libro mostro che è possibile utilizzare un’altra metafora derivata anch’essa dalle scienze dure, ma questa volta dalla biologia evolutiva. In questo modo si mostra che è possibile pensare ai fatti economici in maniera alternativa, ma con la stessa efficacia del modello neoclassico e, in alcuni casi, fornendo alcuni elementi addizionali rispetto al modello dominante sfuggono.

Di particolare importanza sono almeno un paio elementi concettuali, legati per esempio all’eterogeneità degli agenti ed alla possibilità di costruire dinamiche economiche (più realisticamente) legate all’interazione fra momenti di equilibrio (i soli che il modello dominante consente) e di disequilibrio.

Per quanto riguarda il primo punto, l’idea di partenza è che in un sistema economico neoclassico basato sulla concorrenza perfetta si impediscono proprio quei comportamenti che nel parlare comune noi addebitiamo per esempio agli imprenditori: una visione del futuro a cui destinare il compito di fare la differenza per il successo. Il modello evolutivo si basa sul fatto che l’imprenditore è tale solo nel momento in cui si comporta in maniera totalmente differente dagli altri: la varietà nei comportamenti diventa perciò il motore fondamentale della dinamica economica. Soltanto comportandosi in maniera innovativa è possibile ottenere un vantaggio relativo rispetto alla concorrenza.

Questa visione risulta essere antitetica a quella neoclassica, la cui dinamica è generata dal cosiddetto agente rappresentativo (homo oeconomicus), perché è basata sulla varietà nei comportamenti e, soprattutto, sulla dinamica di disequilibrio. Infatti, l’imprenditore agisce al solo fine di portare il sistema fuori dall’equilibrio per ottenere il proprio profitto. Profitto che viene generato da quella che l’economista Joseph Schumpeter definisce “distruzione creativa”: l’imprenditore produce qualcosa di mai visto prima (l’innovazione) con cui, da un lato, distrugge il mercato precedente (assieme ai suoi concorrenti) e, dall’altro, crea un nuovo mercato (monopolista) per i propri prodotti innovativi.

Ciò significa che nel modello evolutivo gli agenti si comportano in modo tale da portare il sistema dall’equilibrio al disequilibrio, attraverso l’introduzione di varietà nel proprio comportamento. Mentre nel modello neoclassico avviene l’opposto: quando si manifesta un disequilibrio, questo è ricondotto all’equilibrio dall’azione normalizzatrice degli agenti economici.

Riccardo Leoncini è Professore Ordinario di Economia Politica presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Alma Mater Studiorum Università di Bologna e Associato di Ricerca presso l’Istituto di Ricerca sulla Crescita Economica Sostenibile del Consiglio Nazionale delle Ricerche.

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