
Lei si ribella a chi dichiara di non aver letto Pinocchio: perché la Storia del burattino è un libro da leggere assolutamente?
Chi non ha letto Pinocchio non solo non ha gli strumenti per capire tanti riferimenti che quotidianamente, ancora oggi, facciamo ai personaggi e alle situazioni che sono presenti nel libro; ma ha anche perso una straordinaria lezione di scrittura e soprattutto di ironia, che può segnare la cultura personale per tutta la vita. Chi non conosce Pinocchio è come chi non sa nuotare: non sa cosa voglia dire. Ma se cade in acqua, allora capisce bene cosa gli manca, perché va a fondo. Ecco, affrontare la vita senza conoscere la straordinaria lezione che dà la lettura di Pinocchio rappresenta semplicemente un limite alla nostra capacità di conoscere e di essere più liberi e smaliziati di fronte ai problemi che incontriamo.
Pinocchio è solo un libro per bambini?
Pinocchio non è solo un libro per bambini, perché si tratta di una lettura affascinante anche per gli adulti, ma è anche un libro sui bambini, perché ne descrive con rara originalità il modo di pensare e di affrontare le esperienze che tutti provano prima dell’età matura: è quindi una specie di trattato di psicologia dell’età evolutiva scritto prima che questa disciplina venisse inventata.
Su Pinocchio esiste una bibliografia sterminata: come nasce il Suo libro?
Da quando, prima che io imparassi a leggere, mia madre mi ha letto Pinocchio, non ho mai smesso di rileggerlo. Col tempo, sollecitato da chi mi ha chiesto di parlare delle mie letture, ho accumulato informazioni sulla produzione critica su Collodi e, dopo molti anni, ho deciso di sistematizzare gli appunti presi. Poiché ogni analista ha affrontato il libro con la sua prospettiva, ma non ho mai trovato qualcuno che riassumesse tutti i modelli analitici, ho pensato che sarebbe stato utile tentare di organizzare l’esistente e di rileggere il lavoro degli studiosi che mi hanno preceduto in modo da dare una sistemazione organica a tutte le discipline e i modelli interpretativi usati.
Pinocchio si può considerare un romanzo di formazione?
Certo, Pinocchio è anche un romanzo di formazione perché, come nei più noti esempi del genere, descrive il percorso che fa il protagonista da una condizione di libertà e inconsapevolezza per arrivare allo sviluppo di un solido rapporto col reale, attraverso le esperienze e le prove che producono la crescita e la maturità.
Cosa simboleggia Pinocchio?
Non credo che il personaggio di Pinocchio abbia un preciso significato simbolico; sono semmai i tanti personaggi del libro che assumono simbologie specifiche e diventano emblematici dei tipi umani messi in scena. Pinocchio, malgrado la sua natura vegetale, rappresenta in tutto e per tutto un bambino, già umano prima ancora di essere piallato. Se c’è un significato simbolico che va al di là delle sue avventure e della sua formazione è quello di raccontare come tutti siamo stati bambini prima di crescere, e che lo stesso uomo è stato primitivo, nell’infanzia dell’umanità, prima di diventare un animale culturale.
Il racconto collodiano è ricco di magie fiabesche: quale funzione hanno nell’economia del racconto le sue apparenti incongruenze?
Nella fiaba tutto è permesso: che gli animali parlino, che gli uomini si confrontino con loro come fossero suoi simili, che la magia modifichi a suo piacimento la realtà in funzione del racconto. Collodi sa di scrivere una fiaba, anche se la riempie di contenuti alti e a volte molto complessi; ma l’impianto fiabesco resta, e lì non possiamo rimproverargli le frequenti incongruenze. Lo scrittore decide lui se il racconto debba avere una struttura rigorosa o se possa perdersi in fantasie creative quanto incongrue. Come in tutte le fiabe, in Pinocchio Collodi si sbizzarrisce a far coesistere il divertimento del racconto fiabesco con l’allegoria del mondo reale.
I protagonisti delle avventure di Pinocchio – da Lucignolo al Grillo Parlante, da Mangiafoco al Gatto e la Volpe – fanno ormai parte del nostro immaginario collettivo: forse perché possiamo considerarli l’incarnazione di archetipi umani?
Certo, lo sono: ancora oggi, riferendoci a personaggi pubblici, ci capita di dire, senza nemmeno pensarci, che due politici sono come il gatto e la volpe o che un severo fustigatore dei costumi è un grillo parlante. I personaggi di Pinocchio sono presi dalla vita quotidiana, non invecchiano mai perché rappresentano tipi umani inevitabili.
Quale interpretazione profonda è possibile dare del racconto collodiano?
Come si è detto Pinocchio, come tutti i grandi libri, può essere letto in molti modi. Per non citarne che alcuni, Pinocchio può essere letto come un racconto edificante del modo in cui un bambino esce dall’infanzia per accettare il principio di realtà; come allegoria della crescita di una nazione giovane, come era l’Italia postunitaria della seconda metà dell’800; come riferimento al sacro e alla necessità di riconoscere l’immanenza del trascendente (ma io non ci credo); come emblema dell’uscita dell’uomo dalla condizione primitiva a quella moderna; come descrizione della difficoltà di molti di smettere di essere bambini e di crescere; come grande affresco di critica sociale di una nazione dove la povertà era diffusa e le disparità sociali profonde; come satira delle istituzioni e dell’apparato sociale del regno di Savoia. E mi fermo qui, ma si potrebbe continuare a lungo.
Quali brani considera i più suggestivi del libro?
Tra i più significativi, il racconto che Pinocchio fa a Geppetto della prima notte trascorsa da solo nella sua stanzetta: un capolavoro di derivate incongrue, di accostamenti paratattici e di ironia involontaria, che solo un adulto che è rimasto un po’ bambino può immaginare.
Collodi disconobbe il finale dolciastro del libro, eppure un finale in qualche modo necessario.
Ci sono testimonianze discordi sul fatto che Collodi disconoscesse la trasformazione finale di Pinocchio in bambino per bene, e in carne ed ossa. Non è escluso che sia così, ma non abbiamo certezze in proposito. Può darsi che il suo editore abbia insistito per avere un lieto fine, al quale lo scrittore non era particolarmente propenso, come tutte le vicende narrate fanno pensare, e che sia stata una redattrice, o un redattore della casa editrice ad aggiungere un finale che risulta un po’ melenso, ai nostri occhi. Ma è anche vero che in qualche modo il libro doveva finire, e che la magia di un pezzo di legno che diventa uomo fosse probabilmente l’unico modo per concludere degnamente la storia. Personalmente sono abbastanza convinto che il finale sia stato sì suggerito, ma di mano di Collodi. E che probabilmente lui stesso, sia pure con un po’ di ironia, non potesse non lasciare che il burattino abbandonasse la sua sostanza legnosa per diventare uomo. Certo è che noi lettori ci eravamo identificati del burattino, forse proprio perché monello e di imperdonabile temerarietà, e che vederlo alla fine “con le gambe incrocicchiate”, senza vita, cioè morto, non può non deluderci, perché è un po’ come se l’autore, assieme a Pinocchio, avesse ucciso anche qualcosa di noi.