
Come avviene la trasmissione di informazioni su Gesù e quali sono le prime fonti scritte?
La trasmissione di informazioni su Gesù, già nei primi decenni dopo la sua morte, avviene secondo modalità complesse e plurali. Circolavano diversi materiali: brevi o più ampie raccolte di fatti (ad esempio guarigioni, esorcismi, la cosiddetta “Passione”) e detti di Gesù, che solo in seguito, con la nascita dei primi vangeli (probabilmente verso la fine degli anni Sessanta del I sec.), confluiranno in opere che inseriscono i materiali isolati in un quadro narrativo ampio e strutturato. Ciò che è confluito nei vangeli, sia canonizzati che non canonizzati, è comunque solo una parte di ciò che circolava. È importante anche rilevare che la modalità di questa prima trasmissione si configura come un intreccio di oralità e scrittura: non bisogna pensare a un modello rigido in cui a una prima fase di trasmissione orale ne seguirebbe una scritta, ma a una realtà più fluida. È vero che la primissima fase della trasmissione di informazioni su Gesù deve essere stato un processo perlopiù orale, ma d’altra parte le fonti lasciano intuire che vi furono precoci tentativi di messa per iscritto, almeno parziale, di fatti e detti del Nazareno, e soprattutto sappiamo che la trasmissione orale non si interruppe con la creazione delle prime opere scritte, ma restò cruciale almeno fino ai primi decenni del II sec.; inoltre, anche materiali scritti potevano essere ri-oralizzati. L’analisi storica e filologica consente di rintracciare alcune antiche fonti pre-sinottiche che dovettero avere natura scritta, come la cosiddetta “fonte Q” ed altre ancora.
In che modo il Vangelo di Giovanni si discosta dalle altre fonti?
Il Vangelo di Giovanni presenta delle peculiarità rispetto ad altre fonti protocristiane, come emerge già da un primo confronto con i tre vangeli sinottici, ai quali risulta affiancato nel canone del Nuovo Testamento. Condivide con essi lo schema narrativo – un racconto delle vicende di Gesù che va dal rapporto di questi con il Battista fino alla sua morte e resurrezione (incluse le apparizioni postpasquali) –, oltre ad alcuni parallelismi sia terminologici che tematici, ma vi sono anche significative differenze sia nell’organizzazione del materiale, sia nella prospettiva teologica. Ad esempio, in Gv Gesù si reca più volte a Gerusalemme; alcuni eventi sono riportati secondo un ordine cronologico diverso; Gv parla pochissimo del tema del “regno di Dio”, così centrale nei sinottici ma anche nel Vangelo secondo Tommaso e in altri testi; il racconto dell’ultima cena di Gesù con i discepoli occupa più spazio e presenta dei gesti rituali e simbolici differenti; la cristologia giovannea è ben diversa da quella sinottica: il Gesù di Gv è il Logos divino preesistente incarnatosi, come il lettore apprende sin dal Prologo che apre il Quarto vangelo.
Come si è andato formando il canone paolino?
Le lettere di Paolo sono intimamente legate alla specifica comunità cui sono indirizzate. Tuttavia, assistiamo assai precocemente ad un fenomeno rilevantissimo: l’autorità e l’insegnamento paolini cominciano a travalicare tale ferme coordinate geografiche e cronologiche, sino a divenire patrimonio comune dell’identità proto-cristiana. Nel corso degli ultimi decenni la critica ha proposto diverse ipotesi di interpretazione e di spiegazione per la formazione di un “canone paolino”. Si noterà in proposito che già le lettere deutero-paoline ci forniscono preziose informazioni intorno alla circolazione infra-ecclesiale delle epistole dell’Apostolo, che dovettero essere vicendevolmente scambiate tra gruppi che, verosimilmente, si interpretavano come imparentati in modo alquanto stretto sotto il profilo dottrinale e disciplinare. Similmente, la stessa composizione del corpus delle lettere pastorali pare presuppore una preesistente collezione di epistole paoline. E tuttavia, sulle modalità di selezione di “canoni” delle lettere di Paolo – come il volume mostra nel dettaglio – vige il più totale disaccordo.
Quali altre Apocalissi protocristiane esistono?
“Apocalisse” è un termine massimamente ambiguo. Alla lettera, il greco apokalypsis indica, in modo alquanto generico, una “rivelazione”, un “disvelamento”. In tal senso, la traduzione dei Settanta dell’Antico Testamento usa più volte il verbo apokalypto per esprimere l’atto dello “scoprire”, del “mostrare” e del “mostrarsi”. Altrettanto ambiguo è l’accostamento della nozione di apocalisse a quella di “cristiano”. In che senso è possibile rinvenire delle “apocalissi” (ovvero degli scritti di rivelazione) cristiane? Si tratta di una semplice indicazione cronologica, sicché tali scritti sono giudaici se composti prima di Cristo e cristiani se composti dopo la parabola biografica di Gesù? Il volume tenta una via alternativa, identificando nell’evento cristiano un punto di torsione decisivo per la comprensione dello stesso genere apocalittico. Nell’introdurre alla Apocalisse canonica, al Pastore di Erma, all’Ascensione di Isaia e all’Apocalisse di Pietro, si tenta di mostrare come i racconti sinottici, paolini e giovannei di cristofanie collettive ed individuali possano aver fornito una potente matrice, teologica e letteraria insieme, capace di catalizzare e dare forma a quelle esperienze visionarie che sempre più la moderna critica riconosce come forme di reazione all’evento traumatico della morte improvvisa del leader carismatico, quindi alla sottrazione e all’inattesa latenza del corpo del Rivelatore.
Quali altri vangeli protocristiani non sono entrati nel canone biblico?
Tra i molti vangeli non canonizzati, è di particolare significato il Vangelo di Tommaso, un testo dai connotati ascetici, stratificato e di difficile datazione, che si presenta in forma di raccolta di detti (centoquattordici) attribuiti a Gesù. Secondo il Vangelo di Tommaso, la corretta interpretazione di questi detti è necessaria alla salvezza ed è parte di un processo salvifico di trasformazione dell’individuo, chiamato a ripristinare la propria, divina, immagine originaria. Importanti anche il Vangelo di Pietro, unico vangelo a descrivere in maniera esplicita e diretta l’episodio della resurrezione di Gesù, e i cosiddetti “vangeli giudeocristiani” (ad esempio il Vangelo degli Ebrei), in uso presso gruppi di ebrei credenti in Gesù. A differenza del Vangelo di Tommaso, di cui si dispone di un testo pressoché completo, e del Vangelo di Pietro, di cui la tradizione manoscritta ha restituito una lunga sezione, nel caso dei “vangeli giudeocristiani” si tratta di testi trasmessi in forma indiretta e frammentaria. La medesima situazione riguarda anche altri vangeli non canonizzati discussi nel volume (ad esempio il Papiro Egerton 2). Da ricordare infine quei vangeli redatti per aggiungere notizie sulla nascita e l’infanzia di Gesù rispetto a quanto detto nei primi due capitoli di Matteo e Luca, come quello impropriamente definito Protovangelo di Giacomo (il titolo è del sedicesimo secolo).
Quale importanza riveste, per la storia delle origini cristiane, la figura di Ignazio di Antiochia?
La figura di Ignazio, vescovo di Antiochia e martire a Roma, è fondamentale per la storia delle origini cristiane sotto molti aspetti. È infatti nei suoi scritti, che abbiamo la prima attestazione nota del termine “cristianesimo”, modo di vita polemicamente contrapposto al giudaismo. Le sette lettere di Ignazio ci testimoniano l’attesa sofferta e partecipe della morte per Cristo, espressa in modalità patetiche che avranno un profondo effetto sulla posterità. Infine, Ignazio modella nelle lettere una chiesa che si raccoglie attorno al vescovo, figura di Dio Padre, unita dalla fede nella risurrezione di Cristo e radunata nell’eucarestia. Questo modello di chiesa, che si svilupperà nella forma del cosiddetto episcopato monarchico, sostituirà il collegio di anziani, prima forma di governo delle comunità.
Quali alternative alla nascente “ortodossia” esprimeva il cristianesimo delle origini?
Nel corso del II secolo della nostra era, il vivacissimo sviluppo della speculazione sul ruolo e sulla natura della rivelazione di Cristo generò una straordinaria varietà di proposte teologiche. Particolare attenzione deve essere posta a tre “movimenti” fondamentali, vale a dire il marcionismo, lo gnosticismo ed il montanismo. Si tratta, in verità, di fenomeni distinti e spesso distanti sotto il profilo delle specifiche opzioni teologiche che li strutturano. Tuttavia, collettivamente, essi danno voce ad una pretesa dottrinale condivisa: quella di esprimere un surplus di rivelazione rispetto a quanto concesso alla maggioranza dei credenti in Cristo, ovvero di fornire una interpretazione più profonda, più immediata, più autorevole, più vera del messaggio cristiano, fruendo di scritture più fededegne di quelle considerate normative dalla “Grande Chiesa”. Un secondo principio di unificazione per queste esperienze dal forte carattere estatico è il destino occorso alla loro produzione testuale: precocemente condannati e marginalizzati, i loro scritti – con la sola problematica eccezione del fondo “gnostico” rinvenuto presso l’egiziana Nag Hammadi – sopravvivono quasi esclusivamente, nel migliore dei casi, sotto forma di excerpta da testi eresiologici, dunque entro un orizzonte polemico di confutazione.
Quando e come nasce l’eresiologia?
Se la struttura stessa del cristianesimo presenta in sé l’opposizione fra verità e errore, e la prima Lettera attribuita a Giovanni presenta i nemici con il terribile appellativo di “anticristi”, è con Giustino, martire e filosofo (m. ca. 163-168), che la recente storiografia riconosce la nascita dell’eresiologia in senso stretto. L’obiettivo polemico di Giustino, sia nelle opere giunte a noi che nel perduto Syntagma, è il dualismo marcionita, affrontato come ultimo prodotto dell’azione demoniaca nella storia, da lui intesa all’interno di uno sfondo apocalittico giudaico in cui le forze demoniche minacciano e perseguitano da sempre i giusti e i sapienti. Il radicale dualismo di Marcione del Ponto, che riconosce nel dio dell’Antico Testamento un dio della Legge, creatore del mondo e opposto al Dio di grazia rivelato da Gesù suo figlio, è combattuto e anatematizzato da Giustino tramite l’elaborazione filosofica di un modello di cristianesimo opposto, che armonizza e rivendica a sé ogni umano sforzo verso il bene e unisce Antico e Nuovo.
Andrea Annese svolge ricerca postdoc presso Sapienza Università di Roma. Si occupa di cristianesimo delle origini, con particolare focus su Vangelo secondo Tommaso, scritti del Nuovo Testamento e trasmissione di detti di Gesù; dei codici di Nag Hammadi; della letteratura cristiana dei secoli I-V. Tra le sue pubblicazioni, Tra Riforma e patristica (2018); Il Vangelo di Tommaso (2019); con F. Berno, M. Fallica, M. Mantovani, Le origini cristiane (2021); e, con A. Destro, M. Pesce et alii, la curatela di Texts, Practices, and Groups. Multidisciplinary Approaches to the History of Jesus’ Followers in the First Two Centuries (2017).
Francesco Berno è assegnista di ricerca presso Sapienza Università di Roma. I suoi interessi di ricerca includono il cristianesimo delle origini, la genesi della nozione di “eresia”, la produzione gnostica, la letteratura cristiana in lingua copta del I millennio. Tra le sue pubblicazioni: Il libro aperto (2018); L’Apocrifo di Giovanni (2019); con A. Annese, M. Fallica, M. Mantovani, Le origini cristiane (2021); e, con A. Destro e M. Pesce, la curatela di From Jesus to Christian Origins. Second Annual Meeting of Bertinoro (2019).
Maria Fallica è assegnista di ricerca presso Sapienza Università di Roma. Si occupa di ricezione del cristianesimo antico e della patristica greca, Riforma italiana e europea, storia del metodismo. Di prossima uscita fra le sue pubbicazioni Origen of Alexandria in the Patristic Anthologies of the 16th century e Progresso. Saggi di lettura nella Christian Library di John Wesley. Ha curato la pubblicazione de I metodisti nello spazio pubblico (2020).
Margherita Mantovani svolge ricerca postdoc presso Sapienza Università di Roma ed è chercheuse associée del Laboratoire d’études sur les monothéismes LEM – UMR 8584 (CNRS) di Parigi. I suoi interessi di ricerca includono lo studio dei manoscritti ebraici e aramaici, la storia e la ricezione della mistica ebraica, le relazioni ebraico-cristiane, trasmissione e ricezione di tradizioni letterarie enochiche e degli Atti apocrifi, l’ebraistica cristiana, la storia della storiografia religiosa. Tra le sue pubblicazioni, con A. Annese, F. Berno, M. Fallica, Le origini cristiane (2021).