
di Byung-Chul Han
traduzione di Simone Aglan-Buttazzi
Einaudi
Le non-cose sono le informazioni che stanno alla base dell’ordine digitale; esso «derealizza il mondo informatizzandolo»: «Ci troviamo nel periodo di passaggio dall’èra delle cose all’èra delle non-cose. Non sono gli oggetti, bensí le informazioni a predisporre il mondo in cui viviamo.» Secondo il filosofo tedesco di origini sudcoreane, «le cose sono i punti fermi dell’esistenza», a differenza delle informazioni: «Non è possibile indugiare presso di esse. Hanno una validità molto limitata. Si fondano sul brivido della sorpresa.» Una «fuggevolezza», la loro, che destabilizza la vita, richiedendo «continuamente la nostra attenzione.»
«La storia e la memoria» – argomenta Han – sono «caratterizzate da una continuità narrativa che si estende su ampi lassi di tempo. Solo le narrazioni generano senso e tenuta. L’ordine digitale, numerico, è privo di storia e memoria. Quindi frammenta la vita.»
Le distorsioni a cui ci espone il profluvio informativo sono ben riassunte dal filosofo: «Da sole, le informazioni non illuminano il mondo. Anzi, possono oscurarlo. Da un certo momento in avanti le informazioni non informano più, bensì deformano. Ormai questo punto critico è ampiamente superato. L’entropia informativa con la sua rapidissima crescita, vale a dire il caos informativo, ci scaraventa in una società post-fattuale che pialla la differenziazione tra vero e falso. Ora le informazioni circolano senza alcun appiglio con la realtà, all’interno di uno spazio iperreale. Anche le fake news sono informazioni, probabilmente più efficaci dei fatti comprovati. Ciò che conta è l’effetto di breve periodo.» Ciò che contraddistingue la verità sono, invece, la durata e la persistenza: come afferma Hannah Arendt, «possiamo chiamare verità ciò che non possiamo cambiare».
«Oggi corriamo dietro alle informazioni senz’approdare ad alcun sapere. Prendiamo nota di tutto senza imparare a conoscerlo. Viaggiamo ovunque senza fare vera esperienza. Comunichiamo ininterrottamente senza prendere parte a una comunità. Salviamo quantità immani di dati senza far risuonare i ricordi. Accumuliamo amici e follower senza mai incontrare l’Altro. Così le informazioni generano un modo di vivere privo di tenuta e di durata.»
Pensiamo alla diversità tra libri ed ebook: «Un ebook non è una cosa, bensì un’informazione. Dispone di uno status ontologico ben diverso. Utilizzarlo non equivale a un possesso, ma a un accesso. Nel caso dell’ebook, il libro viene ridotto alle sue informazioni ed è privo d’età, luogo, lavoro manuale e proprietario. Gli manca del tutto quella lontananza auratica dalla quale ci può parlare un destino individuale. Il destino non rientra nell’ordine digitale. Le informazioni non hanno né fisionomia, né destino. Non consentono nemmeno un legame intenso. […] È la mano del proprietario a dotare il libro di un volto inconfondibile, una fisionomia. Gli ebook sono privi di volto e di storia. Vengono letti senza mani. Nello sfogliare è insito quell’elemento tattile costitutivo di qualsiasi relazione. Senza contatto fisico non emergono legami.»
Le conseguenze sono evidenti: «Nella comunicazione digitale, l’Altro è sempre meno presente. Mediante lo smartphone ci ritiriamo in una bolla che ci protegge dall’Altro. Nel quadro della comunicazione digitale spesso scompare anche l’atto di chiamare. L’Altro non viene chiamato appositamente: preferiamo scrivere messaggi di testo invece di chiamare, poiché per iscritto siamo meno esposti all’Altro.»
Han interpreta assai lucidamente la condizione paradossale propria della nostra epoca: «Oggi comunichiamo in maniera così maniacale ed eccessiva proprio perché siamo soli, perché avvertiamo un vuoto. Tale ipercomunicazione non è tuttavia appagante. Non fa che aggravare la solitudine, poiché le manca la presenza dell’Altro.»