“Le memorie del futuro. Musei e ricerca” di Christian Greco ed Evelina Christillin

Dott. Christian Greco, Lei è autore con Evelina Christillin del libro Le memorie del futuro. Musei e ricerca edito da Einaudi. Contrariamente a una percezione comune e diffusa, i musei non sono entità statiche e polverose ma attori dinamici della società: quale importanza rivestono le istituzioni museali per il patrimonio umano di esperienze e cultura?
Le memorie del futuro. Musei e ricerca, Christian Greco, Evelina ChristillinI musei non devono essere vissuti come semplici custodi del passato, ma possono invece trasformarsi in laboratori attivi di innovazione che cercano di fornire sempre nuove risposte. Il loro ruolo è fondamentale nel determinare la costruzione di una memoria collettiva; il design informatico, le infrastrutture digitali, la metadatazione, le modalità di archiviazione e classificazione divengono strumenti indispensabili in questo processo. Nel generare nuove pratiche scientifiche, nel richiedere l’applicazione di tecnologie sempre più sofisticate atte a cogliere aspetti inediti, in grado di documentare il costante flusso di informazioni che la cultura materiale è in grado di fornirci, l’archeologo mette in relazione il futuro con il passato, nella consapevolezza che il suo lavoro non riuscirà comunque a esaurire le molteplici qualità degli oggetti, la loro ambiguità e incoerenza. Vi sarà sempre qualcosa da aggiungere e da studiare nei resti che il passato ci ha lasciato, operando costantemente delle scelte necessarie, volte a decidere cosa si debba registrare e cosa omettere. L’operazione qui esposta, ossia quella di rendere il più possibile esplicite informazioni nascoste e al contempo di costituire una scala di priorità, definisce le cosiddette pratiche di memoria.

Le moderne tecnologie informatiche hanno permesso una proliferazione nelle modalità di conservazioni dei dati; accanto ai tradizionali diari di scavo, disegni, rilievi è infatti ormai consueto disporre di fotografie digitali, documentazione fotogrammetica, modelli tridimensionali, complesse indagini diagnostiche, video, registrazioni audio. Per assicurare longevità e consultabilità nel lungo periodo diventa indispensabile programmare un sistema di stoccaggio, aggiornamento, rimodulazione dei dati. A maggior ragione il patrimonio culturale digitale richiede uno scambio proficuo fra le costanti innovazioni tecnologiche che provengono da vari settori della società, la modalità in cui viene condotta la ricerca sul campo e le esigenze di accessibilità. Cresce al contempo la consapevolezza che il modo in cui organizziamo una tassonomia delle informazioni determina la generazione della memoria collettiva e la possibilità di future connessioni con la cultura materiale del passato. In questo risiede la rilevanza che l’istituzione museale continua ad avere nella collettività, in quanto depositaria e custode di quei frammenti di memoria che ci permettono di comprendere come affrontare il presente in modo informato e consapevole.

I musei possono funzionare da laboratori di innovazione in almeno due modi. Sicuramente, come luoghi nei quali sperimentare nuove tecniche di investigazione, attraverso le quali sia possibile ‘interrogare’ gli oggetti in modi nuovi e diversi. In quest’ambito, un dialogo reale tra umanisti e scienziati può produrre risultati davvero innovativi, combinando il potenziale offerto dalla scienza moderna con le domande suggerite dagli oggetti ma rimaste ancora senza risposta.

Oltre a quest’ambito di applicazione coordinata di tecniche e strumenti, i musei possono offrire anche l’opportunità di avviare una ricerca più complessa, incentrata non solo sugli oggetti, ma anche su eventi e cambiamenti avvenuti in passato. La storia, d’altronde, non è altro che un susseguirsi di scoperte, invenzioni, cambiamenti che hanno portato di volta in volta ad un progresso o a un’involuzione. Soffermarsi, con la dovuta attenzione, sui momenti di frattura, di radicale mutazione di rotta, ci permette di vedere come la società abbia reagito in passato, dandoci la possibilità di sviluppare modelli interpretativi per il futuro.

Il patrimonio di conoscenze, che derivano da una scrupolosa disamina degli avvenimenti accaduti, costituisce una base solida per programmare l’innovazione, innanzitutto, considerando quali siano le ragioni biologiche, sanitarie ambientali, sociali, economiche che hanno spinto l’uomo a mutare corso. Poi, osservando l’efficacia dei cambiamenti messi in atto e analizzando effetti positivi e risultati negativi, si possono prendere in considerazioni una serie di variabili che ci danno la possibilità di operare delle scelte più ponderate. La sete di conoscenza per il passato costituisce, inoltre, una formidabile ragione di sviluppo per trovare modalità che ci consentano di ottenere informazioni sempre più approfondite. In questo scenario, il rapido sviluppo tecnologico dei giorni nostri, in costante evoluzione, ci offre un importante strumento di indagine per comprendere i cambiamenti avvenuti in passato, che hanno portato alla realizzazione e all’utilizzo degli oggetti che sono giunti fino a noi.

In che modo i musei generano una rete di relazioni e influenzano la società civile?
Una profonda riflessione sul ruolo sempre più centrale dei musei nella società contemporanea si è svolta a Kyoto durante l’assemblea generale ICOM (International Council of Museums) nel settembre del 2019. La proposta di nuova definizione era la seguente: ‘i musei sono luoghi di democratizzazione, spazi inclusivi e polifonici per lo sviluppo del dialogo critico riguardo il passato ed il futuro. Comprendendo e affrontando i conflitti e le sfide del presente, custodiscono artefatti e reperti per la società, proteggono la memoria per le generazioni future e garantiscono uguali diritti ed accesso al patrimonio per tutti. I musei sono un’istituzione senza scopo di lucro. Sono partecipativi e trasparenti e lavorano in collaborazione attiva con e per diverse comunità per collezionare, preservare, studiare, interpretare, esporre ed accrescere la comprensione del mondo, con lo scopo di contribuire alla dignità umana e alla giustizia sociale, all’uguaglianza globale ed al benessere planetario’.

Sebbene gran parte di coloro che lavorano nei musei si riconoscano in queste affermazioni e ne condividano le finalità, dopo un acceso dibattito la proposta non è stata adottata dall’assemblea generale. Le critiche riguardavano le genericità delle affermazioni e il difetto di non essere riusciti a cogliere in modo netto e preciso in cosa si contraddistingua l’istituzione museale rispetto ad altre entità che operano nella comunità. I delegati hanno messo anche in evidenza come vi fosse solo un generico riferimento a quello che costituisce l’elemento più caratterizzante per i musei: la cultura materiale che custodiscono.

Rimane quindi in vigore la definizione del 2004: ‘Il museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali ed immateriali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, le comunica e specificatamente le espone per scopi di studio, istruzione e diletto’. Significativo è fare un ulteriore paragone e osservare la succinta definizione di museo che ICOM aveva dato nel 1946, al momento della sua fondazione: ‘I musei sono tutte le collezioni aperte al pubblico, di materiale artistico, tecnico, scientifico, storico o archeologico, inclusi zoo e giardini botanici, ma escludendo le biblioteche, a meno che mantengano sale di esposizione permanenti’. Questo rapido confronto ci fa riflettere su come dal secondo conflitto mondiale ad oggi i musei abbiano avvertito la necessità di guadagnare un ruolo sociale ed una rilevanza.

Ci si potrebbe chiedere se il desiderio dei musei di essere parte attiva della complessità della società contemporanea sia una risposta a impulsi esterni o costituisca, piuttosto, un’autoanalisi portata avanti dagli operatori del settore. È facilmente riscontrabile, comunque, che i musei siano sempre più spinti ad analizzare in modo obiettivo il loro ruolo all’interno della società, e vogliano contribuire a contrastare le diseguaglianze sociali, le asimmetrie di potere e ricchezza, sia in un’ottica globale, sia locale. Nel fare questo si interrogano con spirito critico su questioni importanti che riguardano le modalità in cui hanno acquisito e continuano a incrementare le loro collezioni, gli aspetti etici legati all’esposizione di materiale sensibile, come ad esempio i resti umani. Negli ultimi anni si è assistito a progetti di restituzione a seguito di attente disamine, rapporti con le comunità di origine, studio critico dei documenti di archivio. Nel fare questo i musei partecipano ai crescenti impulsi che ricevono dalla società per contribuire a porre al centro della loro programmazione la questione dei diritti umani e delle opportunità di accesso alla vita culturale. I musei, nel loro ruolo chiave di testimoni del passato e custodi dei tesori dell’umanità per le generazioni future, svolgono una funzione essenziale e crescente nell’attività formativa e nello sviluppo di una società critica che sappia interrogarsi sulle sfide politiche, sociali e ambientali. Per fare questo devono essere in grado di rispondere con rapidità agli stimoli che ricevono e racchiudono in sé l’ossimoro di svolgere il loro compito di conservare il passato riuscendo contemporaneamente a innovare.

I musei sono un’evidenza tangibile di come una società organizzi il proprio sapere e quali siano i principi che sottendono a tale processo.

Quale ruolo, dunque, per i musei nella società dell’informazione?
La disamina attenta delle fonti, lo studio del passato, l’analisi della successione di cadute e riprese, sconfitte ed innovazioni possono divenire una storia di modernità e cambiamento per aiutarci a delineare e a progettare un futuro più sostenibile. In una società che richiede sempre più flessibilità e capacità di adattamento, fondamentale diventa il ruolo dei musei per assicurare una formazione continua, con progetti educativi orientati non solo al mondo delle scuole ma anche a quello delle imprese e delle attività professionali. I frammenti di memoria preservati dal passato, l’enciclopedia materiale delle generazioni che ci hanno preceduto, hanno la possibilità di tornare a svolgere un ruolo primario all’interno della società. In una società dove la comunicazione è molto veloce e sfrutta le possibilità date dall’immaterialità e dall’immediatezza dell’informazione, i Musei hanno la responsabilità di sviluppare percorsi culturali che permettano ai visitatori un confronto diretto fra quanto pensano e provano vis a vis con i frammenti materiali che custodiscono la memoria delle generazioni che ci hanno preceduto. La sfida è davvero titanica. Oggi i musei possono svolgere un servizio importantissimo mettendo a disposizione il loro patrimonio di reperti in un processo epistemologico in cui la società possa operare delle scelte informate verso uno sviluppo sostenibile. Proprio rintroducendo la materialità come termine di confronto e riferimento in un mondo dell’informazione dove la produzione molto veloce di contenuti digitali non permette spesso la verifica della fonte e l’attendibilità della notizia. Il Museo, quindi, ritrova la sua funzione vitale quale metodo di conoscenza che partendo dal particolare con un processo induttivo ci permette di elaborare principi generali che abbiano un valore universale.

Quali nuovi modelli di fruizione si rendono a Suo avviso necessari?
Negli ultimi vent’anni, si sono sviluppati innumerevoli progetti di ricerca dedicati a ricostituire i disiecta membra, ovvero corredi e parti di monumenti separati e conservati in diverse istituzioni a seguito di vicende legate al collezionismo e alla modalità di acquisizione. Si può ricordare, fra gli altri, il Digital Giza Project, condotto dall’università di Harvard, che ha raccolto materiale iconografico, documenti di archivio, informazioni, risultati di scavo e ha poi sviluppato modelli tridimensionali per assemblare digitalmente i monumenti di uno dei siti archeologici più importanti al mondo: le piramidi di Giza e le strutture funerarie che le circondavano. Così, via via, si sono andate costituendo delle banche dati e si sono sviluppati dei siti web che rappresentano dei veri e propri musei virtuali. In questo modo si restituisce il contesto e si fa rivivere il reperto nella sua dimensione storica. Ricomporre i disiecta membra, mettere a disposizione di tutti i risultati della ricerca, rendere accessibile il patrimonio iconografico ed archivistico permette anche di superare la dimensione proprietaria dell’oggetto e di creare il Museo digitale impossibile. Quello che potremo raggiungere in un futuro ormai prossimo è non solo la ricomposizione del contesto originario, ma la possibilità di vivere un’esperienza immersiva che ci permetta di essere trasportati fisicamente in un paesaggio storico e di attraversarlo nella sua stratificazione, arrivando a comprenderlo come un vero e proprio palinsesto continuamente modificato dall’uomo, i cui reperti custoditi in museo costituiscono i frammenti di memoria che il tempo ha preservato.

Uno sguardo al domani ci viene fornito da interessanti esperimenti di innovazione digitale come, ad esempio, il TeamLab Borderless di Tokyo, un museo senza confini, senza un percorso di visita predefinito, costituito da opere d’arte digitali che comunicano le une con le altre, si influenzano reciprocamente e a volte si interconnettono superando i limiti fisici delle stanze in cui si trovano. Negli spazi espositivi si può compiere una passeggiata, esplorare, scoprire realtà diverse e creare legami con le altre. Le suggestioni fornite da questo laboratorio di innovazione digitale forniscono spunti di riflessione importanti per comprendere la direzione che la speculazione in ambito museologico potrebbe intraprendere nei prossimi anni.

Nel campo delle discipline umanistiche, innovazione tecnologica e tradizione millenaria di studi e approfondimenti tematici stanno collaborando in maniera sempre più sensibile, e sono tesi a produrre linee di ricerca che permettano di comprendere il rapporto fra materiale e immateriale, le possibilità di ricostruire contesti ormai perduti e sviluppare linee narrative complementari che consentano di approfondire in modo completo lo sviluppo diacronico di una determinata cultura e la sua influenza nel territorio di riferimento.

Grande attenzione viene prestata dai musei alla comunicazione con e per il pubblico; l’accessibilità è diventata uno dei pilastri di queste istituzioni, che cercano di radicarsi sempre più nel tessuto sociale in cui sono inserite. Si sta gradualmente modificando anche la visione relativa alle modalità di coinvolgimento dei visitatori, senza più identificare nella vendita di biglietti e nel conseguente incremento di presenze nelle sale l’indicatore di successo di un museo, concentrandosi piuttosto su quella che viene definita la partecipazione della comunità. I nuovi mezzi di comunicazione rivestono un ruolo sempre maggiore non solo nel trasmettere dei contenuti, ma anche nello sviluppo di un dialogo costante con il pubblico e nella capacità di cogliere spunti di riflessione che possano, in qualche modo, rientrare nella programmazione culturale. Ci si interroga sul ruolo che i social media vanno via via acquisendo, e su come essi debbano comunque essere inseriti in un piano strategico culturale che abbia delle finalità e degli obbiettivi precisi.

Nel nuovo millennio, abbiamo assistito in modo preponderante a una sempre maggiore attenzione nei confronti del pubblico, sempre più interessato in modo proattivo all’attività sviluppata dalle istituzioni museali; si sono infatti cercate modalità di coinvolgimento che hanno contribuito a giungere alla definizione di museo compartecipativo. Si desidera che i visitatori prendano parte in maniera propositiva alla programmazione, e si sono moltiplicati gli esperimenti di co-curatela. Si è creato, a questo proposito, un dibattito acceso fra chi teme che i musei ‘sviliscano’ la loro offerta e ‘si pieghino’ alle esigenze del mercato, e chi invece ritiene che le istituzioni museali continuino a essere troppo autoreferenziali, inaccessibili e impenetrabili ai più. Si è quindi cercato di attuare una contrapposizione fra quello che viene definito ‘museo di ricerca’, riservato prettamente a studiosi e cultori della materia, e il ‘museo aperto’, che offre invece un’attiva partecipazione del pubblico. In realtà, nell’assolvere il suo compito di rendere sempre più nitide l’evoluzione del mondo e la storia delle persone che hanno creato gli oggetti che conserva, il Museo assolve al fondamentale compito di raffinare continuamente quel contatto tra uomini e esperienze di ogni tempo. Per fare questo, deve ricorrere alla sua più profonda e raffinata forma di ascolto, ovvero la ricerca.

Come possono i musei avvicinare nuove fasce di popolazione?
La crisi pandemica del 2020 ha evidenziato problematiche che le istituzioni museali stavano già affrontando da tempo. Si impone con forza un ripensamento delle finalità e degli obbiettivi, un riassetto organizzativo ed una profonda riflessione che sappia fornirci delle indicazioni sulla funzione e ruolo dei musei nella società contemporanea, che faccia i conti con una nuova presa di coscienza rispetto al passato e che faccia tesoro degli insegnamenti che abbiamo, nostro malgrado, tratto dalla pandemia. Siamo tutti consapevoli del fatto che un cambiamento sia inevitabile e che non possa che passare da quello che, prendendo a prestito le parole di Aristotele (Politeia 1337 a 1-2), si potrebbe definire come l’enthousiasmos e l’ekstasis di fronte alla cultura materiale. Il Museo deve innanzi tutto trarre forza da ciò che lo contraddistingue: gli oggetti che possiede, disposti secondo percorsi prestabiliti. Essi permettono di intraprendere un viaggio in quella che potremmo definire una vera e propria realtà virtuale. Quando si entra in una sala espositiva si compie un tragitto nello spazio e nel tempo, si stabilisce un dialogo con culture vicine e lontane. La nuova museologia non può che partire da qui.

Per riconnettere gli oggetti alla società, per farne comprendere la valenza, i musei devono con forza porre al centro della loro attività la ricerca. Coloro che lavorano all’interno di queste istituzioni, infatti, sono per primi chiamati a riflettere sul rapporto fra materiale e immateriale, questo non solo in relazione alle nuove tecnologie. La Convenzione di Faro ci sollecita a considerare il patrimonio intangibile, a porre al centro della nostra programmazione culturale tutti quei legami, a volte impercettibili, che connettono l’artefatto, grazie ad una fitta rete di relazioni, più o meno percettibili, alla comunità di riferimento. Questo deve divenire oggetto di un’attenta ed accurata indagine. Nel ripensare le nuove professioni museali, un ruolo di rilievo spetta a filosofi, antropologi, psicologi e scienziati sociali. Dobbiamo dare risposta a domande fondamentali sulla rilevanza della vita culturale per la società attuale. I quesiti su cui riflettere sono molti, possiamo interrogarci sul perché i musei non siano visti come luoghi di accrescimento, perché larga parte della popolazione non sia stimolata a visitare con una certa regolarità le sedi espositive situate nel territorio di appartenenza. Certo le ragioni sono molte e per arrivare ad un cambiamento significativo bisogna operare su vari livelli.

Diviene sempre più importante raccontare gli oggetti nella loro valenza di documenti storici, svelarne il ruolo che hanno avuto e continuano a svolgere all’interno della società. Si deve, in qualche modo, togliere gli artefatti dal loro piedistallo e renderli accessibili. Questo significa, innanzitutto, investire in modo significativo nelle esposizioni permanenti. Per molti decenni si è pensato che la risposta alla domanda culturale potesse essere quello delle mostre temporanee che permettessero di attrarre numerosi visitatori e divenissero un mezzo di sviluppo anche economico per il territorio. La pandemia del 2020 ha messo profondamente in crisi questo modello; al contempo, ci ha imposto di pensare come le sedi espositive permanenti siano spesso state trascurate e come non ci si sia finora interrogati abbastanza sulla polisemia degli artefatti. Ciascuna esposizione museale avviene secondo criteri prestabiliti che di volta in volta decidono di mettere in luce determinati aspetti tematici, cronologici, storico artistici, sociologici, etnografici. Ogni narrazione proposta, quindi, racconta solo una delle molteplici storie che la cultura materiale potrebbe fornirci. Tuttavia, uno studio attento delle fonti antiche, la scrupolosa disamina della documentazione di acquisizione dei reperti, la consultazione degli archivi, i risultati delle indagini diagnostiche ci possono permettere non solo di ricostituire i contesti d’origine ma anche di modificarli, quando il quadro di riferimento stesso viene modificato dall’aggiunta di nuove informazioni.

Se questi dati vengono poi correlati con le possibilità forniteci dalle nuove tecnologie e se a queste ultime si dedica la dovuta attenzione si può stabilire un proficuo dialogo fra scienze umanistiche ed informatiche che ci permetterebbe di arrivare a definire una nuova semantica museale. Si riuscirebbe davvero, in questo modo, a togliere il reperto dal piedistallo, a farlo fruire non come semplice espressione di un genio artistico ma quale documento storico, inserito all’interno del paesaggio, quel palinsesto in cui l’elemento antropico ha operato modificando e trasformando l’ambiente naturale. Le nuove tecnologie ci forniscono anche la possibilità di ricomporre i disiecta membra, corredi un tempo unitari ed ora sparsi fra vari musei a seguito delle vicende collezionistiche e delle dinamiche geopolitiche. Questo costituisce anche un’opportunità incredibile per superare il concetto proprietario dell’oggetto e per mettere a disposizione della collettività dati condivisi fra varie istituzioni museali. La flessibilità concessaci dal mezzo digitale ci può permettere di sviluppare diverse narrazioni parallele, mettendo in luce tutta quella stratificazione di livelli semantici che l’artefatto racchiude in sé e dandoci al contempo la possibilità di presentare più modelli interpretativi e ricostruttivi di edifici e paesaggi antichi.

I musei e i luoghi della cultura, forse più che ogni altro, hanno sofferto di questa pandemia: come possono ora rinascere?
In conclusione, per sopravvivere i Musei devono, come si è visto, riuscire a conquistare un posizionamento di rilievo all’interno della società, venire percepiti come il luogo in cui è custodita la memoria collettiva e dove si possono elaborare forme di innovazione sociale. È giunto ora davvero il momento di portare a compimento quanto fu discusso nella Tavola Rotonda di Santiago del Chile nel 1972, recepito dalla dichiarazione del Quebec (1984) e adottato dal movimento della Nuova Museologia (MINOM). Nel suo volume The New Museology (La nuova museologia, 1989) Peter Vergo ha raccolto tutti questi spunti e delineato il ruolo di un museo integrale che sapesse curare il patrimonio tangibile ed intangibile, connetterlo al territorio, e fosse in grado di farsi promotore dello sviluppo sociale e culturale della comunità. Come abbiamo avuto modo di vedere, i recenti dibattiti sulla nuova definizione di museo portata avanti da ICOM avevano, già in una fase pre-pandemica, posto con forza l’esigenza di un dialogo più serrato con la società. Per uscire dalla crisi innescata dalla pandemia, i musei dovranno non solo dar voce alle esigenze dei diciassette obbiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030, firmata e sottoscritta da 193 paesi nel 2015, ma trovare la modalità per finanziare questo cambiamento radicale. È chiaro che, nel definire la sua rilevanza sociale, il Museo riconosce sempre di più un modello economico che lo avvicina alle cosiddette B corporation (benefit corporations), dove la generazione di valore non è legata al mero profitto ma ha una finalità sociale e si pone come obbiettivo quello di apportare un beneficio all’ambiente e alla comunità di riferimento.

Per finanziare tutto ciò bisogna innanzitutto rendere più osmotici musei, università ed enti di ricerca. Allargando lo sguardo, condividendo i dati, rendendo i processi più trasparenti si possono individuare progetti comuni, interessi condivisi che permettano di attirare finanziamenti pubblici e privati. La cura del patrimonio dovrà essere assicurata da fondi certi e costanti che permettano di intraprendere programmi di innovazione. Non possiamo immaginare di raggiungere questo obbiettivo in un’ottica solamente assistenziale ma, mettendo la ricerca al centro delle politiche di sviluppo, si potrà accrescere il valore aggiunto che i musei portano alla società e vi saranno più soggetti interessati a sostenere il comparto del mondo culturale. Fondamentale è sapere coniugare il compito di essere un luogo della memoria collettiva, deputato alla conservazione, con quello di ambire a divenire, al contempo, un laboratorio di innovazione per il futuro.

La disamina attenta delle fonti, lo studio del passato, l’analisi della successione di cadute e riprese, sconfitte ed innovazioni possono divenire una storia di modernità e cambiamento per aiutarci a delineare e a progettare un futuro più sostenibile. In una società che richiede sempre più flessibilità e capacità di adattamento, fondamentale diventa il ruolo dei musei per assicurare una formazione continua, con progetti educativi orientati non solo al mondo delle scuole ma anche a quello delle imprese e delle attività professionali. I frammenti di memoria preservati dal passato, l’enciclopedia materiale delle generazioni che ci hanno preceduto, hanno la possibilità di tornare a svolgere un ruolo primario all’interno della società.

Se i Musei sapranno raccogliere la sfida di formare le nuove generazioni con un modello di didattica nuovo che sappia far dialogare materiale e immateriale e che porti tutto il comparto educativo a frequentare con assiduità le gallerie espositive; se saranno in grado di sviluppare progetti di ricerca che permettano di comprendere in uno sviluppo diacronico i mutamenti della società, i rapporti fra uomo e ambiente, aiutando a leggere il paesaggio e a trovare soluzioni che ne permettano la sua cura e preservazione; se sapranno svolgere in maniera attiva la funzione di luoghi di inclusione, di creazione di cittadinanza, di dialogo e confronto, troveranno soggetti interessati ad investire in un modello di museo che porti davvero un valore aggiunto alla collettività. L’obbiettivo non deve essere quello di essere percepiti solo come luoghi di attrazione turistica ma come laboratori di innovazione, fondamentali per uno sviluppo armonico della società. Solo così daremo davvero voce a quanto ci ricorda in modo netto l’articolo IX della Costituzione. Ricerca, innovazione tecnico scientifica, patrimonio e società sono connessi in modo imprescindibile e da questo rapporto deve partire la rinascita per tutto il comparto culturale.

Christian Greco, nato nel 1975 ad Arzignano (VI), è Direttore del Museo Egizio di Torino dal 2014. Ha guidato e diretto il progetto di ri-funzionalizzazione, il rinnovo dell’allestimento e del percorso espositivo che ha portato alla trasformazione dell’Egizio, da museo antiquario a museo archeologico. Formatosi principalmente in Olanda, è un egittologo con una grande esperienza in ambito museale: ha curato moltissimi progetti espositivi e di curatela in Olanda (Rijksmuseum van Oudheden, Leiden; Kunsthal, Rotterdam; Teylers Museum, Haarlem), Giappone (per i musei di Okinawa, Fukushima, Takasaki, Okayama), Finlandia (Vapriikki Museum, Tampere), Spagna (La Caixa Foundation) e Scozia (National Museum of Scotland, Edimburgh). La sua forte passione per l’insegnamento lo vede coinvolto nel programma dei corsi dell’Università di Torino e di Pavia, della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, della New York University di Abu Dhabi e della Scuola IUSS di Pavia con corsi di cultura materiale dell’antico Egitto e di museologia. Il lavoro in campo archeologico è particolarmente importante: è stato membro dell’Epigraphic Survey of the Oriental Institute of the University of Chicago a Luxor e, dal 2015, è co-direttore della missione archeologica italo-olandese a Saqqara. Al suo attivo ha molteplici pubblicazioni divulgative e scientifiche in diverse lingue e numerose partecipazioni a convegni internazionali di egittologia e di museologia come keynote speaker.

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