
Quando e come si sviluppa il concetto di media potenza?
Relativamente all’epoca e alle modalità di sviluppo del concetto di media potenza, va detto che la prima trattazione organica risale all’epoca dei teorici della “ragion di stato” e al contesto italiano. Giovanni Botero – pensatore politico piemontese – è stato infatti il primo studioso a elaborare una definizione del concetto, ancorandolo alla capacità di difensiva – oggi probabilmente diremmo alla resilienza – di uno Stato. Botero, rivelandosi in questo senso un osservatore assai lucido, ha fornito una classificazione degli Stati e definito le medie potenze come quegli attori in grado di provvedere da sé alla propria difesa, ovvero di non essere garantiti o controllati da potenze di rango superiore. Si tratta di un concetto centrato sulle capacità dello Stato né semplice da operazionalizzare. Tuttavia, in ambito di policy, mantiene intatta la sua efficacia. In generale, fatta eccezione per Botero e, nel contesto d’oltralpe, per le speculazioni dell’Abbé de Mably, il concetto di media potenza è invece rimasto ai margini della riflessione politologica e internazionalistica. Soprattutto nel XX secolo, il solo tra i filoni di studio delle relazioni internazionali a essersene minimamente curata sinora è stata la cosiddetta ‘scuola inglese’. Nel mio lavoro, tuttavia, spero di essere riuscito a dimostrare come quella di media potenza non solo costituisca una categoria non estraneo al paradigma realista, ma – anzi – concorra ad arricchire significativamente l’approccio strutturale allo studio delle relazioni internazionali.
Quali metodi si adottano per classificare le medie potenze?
Le modalità di classificazione delle medie potenze sono diverse. Tuttavia, sinora, ciò che mancava era una definizione a monte di esse. Mi spiego meglio. La gran parte degli autori contemporanei ha sviluppato delle classificazioni delle medie potenze, senza avere preliminarmente fornito una definizione del concetto che fosse in qualche misura coerente con i metodi classificatori utilizzati. Il concetto è stato fatto passare per autoevidente. In realtà, invece, si trattava di un nodo teorico ancora lungi dall’essere sciolto. Per definire cosa sia una media potenza, infatti, è necessario definire prima cosa si intenda per grande potenza e per potenza di rango inferiore. In estrema sintesi, per classificare le medie potenze è d’obbligo determinare una gerarchia internazionale. Attraverso un secondo passaggio, poi, individuare un metodo analogo, o comunque compatibile con il precedente, per classificare le medie potenze. Per quanto concerne il mio volume ho utilizzato nel primo caso un metodo quantitativo per definire la gerarchia internazionale e un criterio misto – ovvero che coniugasse aspetti quantitativi relativi allo sviluppo economico e militare dei medi, con altri qualitativi riguardo i rapporti tra medie potenze e potenze principali – per individuare i tipi di media potenza.
Quale ruolo assumono le medie potenze nelle Relazioni internazionali?
Parlare di ruolo, o meglio di singolo ruolo, è probabilmente riduttivo. Che si analizzino le medie potenze o altri tipi di Stato, tali aggregati sociali adempiono per natura a una pluralità di funzioni. Inoltre, l’anarchia internazionale è un potente fattore di adattamento. Quando è in gioco la sopravvivenza, più che il tipo di ruolo e la sua codificazione, a contare è infatti l’efficacia del medesimo. Mi spiego meglio. È opinione condivisa che le potenze principali lottino per il potere nell’arena internazionale. Tuttavia, a seconda delle circostanze e del tipo di relazioni nella quali si trovano inserite, ciò potrebbe non avvenire. Nel caso delle medie potenze, le cose non vanno diversamente. Tra i diversi ruoli che ho delineato per questo tipo di Stati (non svelo di più, perché mi piacerebbe tentare di incuriosire i lettori di questa intervista) uno in particolare merita di essere spiegato. Si tratta dello stabilizzatore, ovvero di un tipo di media potenza solida sul piano militare e finanziario, nonché caratterizzata da un rapporto di compatibilità (ovvero deideologizzato e pragmatico) con le potenze principali. Questo tipo di attore, proprio in ragione delle sue capacità e dell’interesse a conservare l’equidistanza tanto dalle potenze principali quanto da eventuali Stati revisionisti, possiede una strutturale attitudine ad agire a favore della stabilità internazionale di lungo corso e di una certa stratificazione del potere all’interno del sistema.
Quali sono i principali esempi storici di medie potenze in azione?
Anche in questo caso, lascerei ai nostri lettori la curiosità di approfondire da sé alcuni dei casi storici di medie potenze tra quelli selezionati nel volume. Del resto, l’arco temporale che ho esaminato copre oltre due secoli. Personalmente, tuttavia, ho trovati di grande stimolo esaminare lo scenario Pacifico del XIX secolo e di come il Giappone abbia gestito il suo ruolo di mediano tra le potenze europee da un lato e il revisionismo americano dall’altro. Trovo che il quadro politico di allora avesse parecchi tratti in comune con quello dei primi anni Duemila. E ritengo che alcuni spunti di quel caso potranno rivelarsi utili a meglio interpretare il ruolo del Giappone ora che certe limitazioni costituzionali relative alla sfera militare sono state rimosse.
Nel Suo libro Lei tratta di due medie potenze attuali, il Sudafrica e l’Iran: come si caratterizzano le rispettive politiche in un contesto basato sul primato di un solo attore?
Rispondere a questa domanda è complesso e lo spazio a mia disposizione in questa sede, purtroppo, insufficiente. Ciò che però merita di essere sottolineato non è tanto come questi due Paesi si siano comportati nei riguardi degli Stati Uniti, ma piuttosto come utilizzando in modo diametralmente opposto le armi nucleari abbiano perseguito uno scopo in larga misura analogo: rientrare nel gioco diplomatico. Per ragioni differenti, infatti, tanto il Sudafrica quanto l’Iran per anno erano stati relegati al ruolo di paria nel sistema internazionale.
Quale futuro per le medie potenze nello scacchiere geopolitico internazionale?
Nello scenario attuale e negli anni a venire, ritengo che i margini operativi concessi alle medie potenze aumenteranno. La frammentazione e la progressiva regionalizzazione della struttura internazionale incrementano in termini relativi la capacità delle medie potenze di influire sulla stabilità internazionale. Sfortunatamente, è noto come per poter giocare efficacemente un certo ruolo sia indispensabile avere consapevolezza di sé e dei metodi connessi a una certa funzione. In questo senso, ritengo che tra le medie potenze attuali manchi per così dire una “cultura” da media potenza, anche nel nostro Paese. Complice il fatto che il concetto di mediano abbia assunto un significato quasi denigratorio, spesso i leader che guidano questo tipo di Paesi si ostinano nel tentativo di ‘trascenderne’ le caratteristiche, imboccando la via di politiche, per definizione, fallimentari. Sfidare più forti per cercare di “vendersi” come grandi potenze, condanna infatti i mediani ad apparire anche più deboli di quanto non siano effettivamente. Allo stesso modo, tentare di sottrarsi al proprio ruolo, alle sfide e ai rischi che talvolta vi sono associati risulta in un grottesco opportunismo, lesivo verso il proprio status non meno che verso il sistema nel suo insieme.