
Si tratta di un volume con un taglio molto interdisciplinare, che deriva dalla mia esperienza professionale di ecologo prestato alla gestione delle aree protette e alla conservazione della nautura. Gli aspetti giuridici vengono quindi trattati in una chiave diacronica e storica, sottolineandone il ruolo di “risposta” alle grandi questioni ambientali sorte nell’ultimo secolo, con particolare riferimento alla conservazione della natura e della biodiversità, e con attenzione in particolare alle politiche su specie ed ecosistemi. Molta attenzione è rivolta allo sviluppo delle politiche e della normativa internazionale sulla conservazione di specie ed ecosistemi, e su come essa abbia influenzato le politiche europee e quelle nazionali italiane. Il libro nasce come manuale del corso di Diritto e legislazione ambientale che tengo presso l’Università Sapienza di Roma, ma può essere uno strumento utile anche per quelli di Conservazione della natura o Sostenibilità ambientale. Ha la presentazione di Gianfranco Tamburelli, Ricercatore dell’Istituto Studi Giuridici Internazionali del CNR, di una mia introduzione, oltre che della Postfazione di Pigi Capone, Presidente dell’Associazione Italiana Direttori e Funzionari di Aree Protette. Il titolo apre una nuova collana di Edizioni ETS, “Intorno all’Agorà: Ambiente e Territorio”.
Per rispondere a questa prima domanda, nel libro si discute il rapporto tra le grandi religioni e filosofie storiche e l’ambiente, come radici culturali sulle quali le normative si sono successivamente sviluppate. Particolarmente rilevante è la nascita e lo sviluppo del pensiero conservazionistico a partire dal XIX secolo, quello dell’ecologia come scienza, dalle prime idee alla conservation biology e alla landscape ecology della seconda metà del Novecento con autori come Odum, Soulé, Naveh. Si parla inoltre di alcune sintesi umanistiche del rapporto tra società ed ambiente ed ecologia politica: come quelle proposte da Ilya Prigogine, Ivan Illich, ed Alex Langer. Per comprendere il quadro attuale delle politiche e delle normative è indispensabile poi parlare di economia, sviluppo ed ambiente sotto diversi approcci, come quelli proposti nel tempo da autori nel solco dell’economia politica come ad esempio Marx, Keynes, e le più recenti sintesi di Fitoussi, o di visioni più moderne, anche se ancora aperte e discusse, come quelle della decrescita di Latouche. Ad oggi ritengo che la sintesi umanistica più completa sia quella proposta da Papa Francesco con l’enciclica “Laudato si’” e con il concetto di Ecologia Integrale.
Quando e come si concretizzano le prime esperienze di diritto internazionale dell’ambiente?
Uno dei primi esempi di nascita del diritto internazionale dell’ambiente riguarda il Principio della responsabilità internazionale per danni ambientali, sviluppatosi a seguito del caso Trail Smelter. Il “Caso Trail Smelter” è stato uno dei primi esempi di diritto internazionale dell’ambiente, ed è nato negli anni ’30 quando le coltivazioni americane di cereali furono danneggiate dalle emissioni di biossido di zolfo provenienti dalla fonderia di Trail in Canada: la fonte dell’inquinamento si trovava in Canada, ma i danni si producevano nei confinanti USA, nello Stato di Washington. Ma già alla fine dell’Ottocento si discuteva di convenzioni internazionali. Il contesto culturale nel quale è maturata la prima convenzione internazionale moderna sull’ambiente è quello della fine del XIX Secolo, con lo sviluppo in tutti i campi di una visione scientifica influenzata dal positivismo e dalla crescita delle scienze in molti settori disciplinari. Lo stimolo per l’avvio di questa convenzione è l’osservazione della diminuzione degli uccelli campestri e del conseguente aumento insetti che alcuni scienziati avevano sottolineato nel contesto del Congresso Agrario Internazionale di Vienna del 1873 (nel corso dell’Esposizione Universale), e della successiva Conferenza Internazionale di Parigi del 1895. Da questi eventi congressuali usci la proposta di impostazione scientifica della gestione della caccia, che prevedesse una reale regolamentazione e non una mera presa d’atto delle abitudini esistenti come era accaduto fino a quel momento. In riferimento al rapporto tra gli uccelli e agricoltura la mentalità del tempo li classificava in diverse categorie: come utili, irrilevanti e dannosi (nocivi). Lo strumento internazionale che venne sviluppato per rispondere a questo problema fu la Convenzione per la protezione degli uccelli utili all’agricoltura, fatta a Parigi il 19 marzo 1902 (Convenzione di Parigi 1902). Seguirono, sempre a Parigi la successiva del 1950 sulla tutela degli uccelli che estendeva lo scopo della prima convenzione. Molto importante a livello culturale fu la Convenzione sulla protezione della natura e la conservazione della fauna selvatica nell’emisfero occidentale (1940), nata negli USA sull’esperienza dell’istituzione dei parchi nazionali americani e del National Park Service (avvenuta nel 1916). Seguirono nel Dopoguerra la Convenzione Baleniera (ICRW, 1946), il Trattato Antartico (1952) – con il successivo Protocollo sull’Ambiente Antartico (1992) – la Conferenza di Ginevra sul diritto del mare (1958).
Quale evoluzione caratterizza le politiche e le norme internazionali sugli ecosistemi e sulla biodiversità a partire dagli anni ’70?
Tra gli anni ’60 e i primi anni ’70 del Novecento il mondo, ormai uscito dalla crisi dell’immediato Dopoguerra e per quanto riguarda l’Europa e l’Italia, dal Piano Marshall, era in piena crescita economica, il cosiddetto “boom”, con un notevole aumento di volume delle economie, delle materie prodotte e consumate, e della popolazione mondiale. In quegli anni uscì il famoso volume di Rachel Carson Primavera silenziosa, del 1962, che rappresentò un vero e proprio manifesto della questione ambientale, ed in particolare dell’inquinamento, su scala globale.
Nel 1972, a seguito di questa crescente attenzione sui temi dell’ambiente, si svolse a Stoccolma la prima conferenza internazionale coinvolgente i governi del mondo sui temi dell’ambiente e legati alle politiche di sviluppo, la Conferenza delle Nazioni Unite per l’Ambiente Umano (United Nations Conference on the Human Environment). I principali risultati della conferenza furono la Dichiarazione di Stoccolma, una importante soft law che divenne il primo documento internazionale concernente le preoccupazioni sull’ambiente, e che aprì la strada a tutte le iniziative successive in materia, e la costituzione dell’UNEP, il Programma delle Nazioni Unite sull’Ambiente. Una delle questioni fondamentali emerse dalla conferenza è il riconoscimento della necessità della riduzione della povertà per la protezione dell’ambiente. Il primo ministro indiano Indira Gandhi fu l’unico Capo di Stato ad intervenire oltre a quello Svedese che ospitava la conferenza, e nel suo discorso fondamentale tenuto a Stoccolma ha sviluppato proprio il tema del legame tra gestione ecologica e riduzione della povertà. Indira Ghandi in alcune analisi recenti è stata considerata come una vera e propria ambientalista, e appassionata naturalista, a seguito dello studio di corrispondenza privata dell’importante donna politica resa nota postuma.
Negli anni ’70 vennero poi approvate molte convenzioni internazionali “tematiche” sull’ambiente, come la convenzione di Ramsar (1971), la Convenzione di Washington – CITES – sul commercio delle specie (1973), la convenzione UNESCO Patrimonio Mondiale (1972) e il Programma MAB sulle Riserve della Biosfera (1971), diverse convenzioni per la protezione del mare, la convenzione di Bonn sulle specie migratorie – CMS (1979), ed infine la Convenzione di Berna per la conservazione della vita selvatica in Europa (1979), che diede origine tra l’altro alle Direttive Europee “Uccelli Selvatici” e “Habitat”.
Che forme hanno assunto le politiche di contrasto al cambiamento climatico?
Il progressivo aumento della gravità e dell’importanza delle questioni ambientali è una questione chiave delle attuali politiche internazionali. Una immagine paradigmatica di queste tendenze al peggioramento complessivo della situazione ambientale è il grafico chiamato per la sua forma “hockey stick”, descritto per la prima volta nel 1998 da Michael E. Mann, Raymond S. Bradley & Malcolm K. Hughes su Nature, che rappresenta la progressiva concentrazione di CO2 nell’atmosfera terrestre con aumento prima lineare e poi esponenziale, ha richiesto una crescente attenzione da parte degli Stati e delle organizzazioni internazionali e ha prodotto una mole sempre maggiore di strategie, programmi e norme. Nel volume si approfondiscono innanzitutto dati IPCC, l’analisi delle cause naturali del cambiamento climatico come gli aspetti astronomici, che sono alla base di posizioni minoritarie riguardo al negazionismo, del quale comunque si discutono le eventuali ragioni. L’inizio delle attuale politiche internazionali sul clima, che vanno sempre lette insieme a quelle sulla biodiversità e gli ecosistemi, è la Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici (1992), approvata a New York e poi all’UNCED di Rio de Janeiro, non casualmente insieme alla Convenzione sulla Diversità Biologica, sempre del 1992. Il libro descrive cosa prevede la Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici, i suoi principali concetti (mitigazione e adattamento), i limiti alle emissioni definiti e i meccanismi economici del Protocollo di Kyoto. Si fa quindi una rassegna delle diverse COP (Conferenze delle Parti – Conference of Parties) e dei loro esiti nel tempo, dei finanziamenti delle politiche sul clima, degli impegni sulla riduzione delle emissioni e soprattutto del dopo Kyoto: il fallimento di Copenaghen 2009, gli Accordi di Parigi (2015), l’Emendamento di Doha (2012), l’Accordo di Parigi (2015). Infine si discute dell’attuazione degli Accordi di Parigi (2015-2020) e dell’attuale stallo nelle decisioni sulle politiche climatiche.
Quali sono i principali principi internazionali del Diritto dell’ambiente e la governance internazionale dell’ambiente?
Un capitolo del libro è indirizzato a passare in rassegna i principi generali internazionali del diritto dell’ambiente: il Principio dello Sviluppo Sostenibile, il principio della sovranità permanente di ogni Paese sulle proprie risorse naturali, il Principio della cooperazione tra Stati, il Principio di prevenzione, il Principio di precauzione, il Principio “chi inquina paga”, il Principio della partecipazione del pubblico (e la Convenzione di Aarhus, 1998).
Si passano quindi in rassegna i risultati del vertice di Nairobi 2019 (IV Assemblea sull’Ambiente dell’ONU) e le risoluzioni adottate, nonché l’attuale governance internazionale sull’ambiente, con l’assenza di una corte internazionale e di una organizzazione internazionale sull’ambiente.
Quale posto occupa l’ambiente nei trattati e nei programmi europei?
La Parte Terza del libro è dedicata ad una sintesi del ruolo dell’ambiente nei trattati e programmi europei. Dopo una sintesi dello sviluppo dell’idea di Unione Europea e dei trattati europei nello sviluppo storico, si discute dell’ambiente nei trattati europei e i poteri impliciti, sulle strategie europee per l’ambiente e per la conservazione della biodiversità e i Programmi d’Azione per l’Ambiente, e sul ruolo dell’Agenzia Europea dell’Ambiente e degli standard ambientali nel diritto comunitario. Ampio spazio viene dedicato alle direttive europee per la conservazione della biodiversità, la Direttiva Uccelli Selvatici e la Direttiva Habitat, alla loro attuazione e alle principali sentenze della Corte di Giustizia europea sul diritto comunitario in questo settore. Vengono utilizzati numerosi esempi e casi studio.
Nel Trattato di Roma del 1957 non c’era alcun riferimento a norme ambientali. Nell’Atto Unico Europeo del 1987 c’era uno specifico Titolo sull’ambiente. Nel Trattato di Maastricht del 1993 si sviluppa l’idea di politiche ambientali europee, mentre il Trattato di Amsterdam del 1999 si muove nella direzione e nella prospettiva dello sviluppo sostenibile. Nella Carta dei diritti fondamentali del 2000 si inserisce un diritto ad un elevato livello di protezione ambientale per i cittadini europei.
Le competenze europee sull’ambiente sono state via via introdotte, attesa la crescente rilevanza dei tempi ambientali soprattutto dagli anni ’70 in poi, introducendo in seguito la teoria dei poteri impliciti, sviluppata inizialmente dalla Corte Suprema degli Stati Uniti, e poi recepita dalla Corte Internazionale di Giustizia e dalla Corte di Giustizia delle Comunità, secondo la quale un organo internazionale può utilizzare tutti i mezzi a sua disposizione per raggiungere gli scopi previsti dal trattato istitutivo dell’organizzazione stessa, anche quando tali mezzi non sono espressamente previsti nel testo del trattato. Nel Trattato istitutivo della Comunità europea è stato inserito un articolo, il 308 (ex 235), che richiama la teoria dei poteri impliciti. Secondo tale norma “quando un’azione della Comunità risulti necessaria per raggiungere, nel funzionamento del mercato comune, uno degli scopi della Comunità, senza che il presente trattato abbia previsto i poteri d’azione a tal uopo richiesti, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e dopo aver consultato il Parlamento europeo, prende le disposizioni del caso”.
Attualmente, la politica ambientale dell’UE si basa sugli artt. 11 e 191-193 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Ai sensi dell’art. 191, la lotta ai cambiamenti climatici è un obiettivo esplicito della politica ambientale dell’UE. Lo sviluppo sostenibile è un obiettivo generale per l’Unione europea, che è impegnata a garantire “un livello elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità” (art. 3 del trattato sull’Unione europea).
L’UE si pone da tempo come il soggetto internazionale che intende essere da riferimento per le politiche ambientali, sul clima e sulla biodiversità. Dopo i “Pacchetti” (prima il Pacchetto Clima ed Energia 2020, detto anche 20-20-20, e poi il quadro per le politiche dell’energia e del clima all’orizzonte 2030) oggi l’Unione della Commissione Von Der Leyen ha approvato le due strategie “Biodiversità” e “Farm to Fork” che hanno l’obiettivo di definire politiche di alto livello, che si affiancano ad obiettivi sfidanti anche in campo climatico.
Qual è l’attuale quadro normativo nazionale sulla tutela dell’ambiente?
Una parte rilevante del volume è indirizzata a definire il quadro normativo nazionale in particolare sul tema della biodiversità, delle aree protette, della tutela del paesaggio, oltre che in ambito ambientale più in generale. Si parte da una analisi storica del tema dell’ambiente nel primo Dopoguerra, la Commissione Franceschini (1964-1967), la normativa costruita con la Giurisprudenza: i Pretori d’assalto degli anni ’70 da Seveso al riconoscimento della tutela dell’ambiente nella Costituzione; la questione dell’abusivismo e la stagione dei condoni edilizi (1985, 1994 e 2003); le leggi sulla tutela della fauna e l’attività venatoria (L. n. 968/77 e L. n. 157/92); la legge regionale del 1970 e il D.P.R. n. 616 del 1977; l’esperienza delle Regioni nell’istituzione di nuove aree protette prima della legge quadro (1970-1990); la legge Galasso (8 agosto 1985, n. 431) e i decreti di tutela; la nascita del Ministero dell’Ambiente (L. n. 349/86); la tutela del suolo e L. n. 183/89.
Si approfondiscono quindi le normative in particolare in due settori, quello delle aree protette (con numerosi casi studio e sulla base dell’esperienza oltre che trentennale dell’autore in materia) e quello del paesaggio, e si discute anche in modo approfondito delle interazioni tra le due normative tra di loro e con quella urbanistica. Non vengono trascurati temi come il Testo Unico sull’Ambiente (D.Lsg. 152/2006) e la normativa penale di tutela dell’ambiente.
Quali questioni rimangono ancora aperte e quali sono, a Suo avviso, le prospettive future per le politiche ambientali?
Enrico Giovannini nella sua prefazione sottolinea come “questo libro di Giuliano Tallone ci aiuta a comprendere una delle questioni centrali per il nostro presente e il nostro futuro, illustrando come sia evoluta tempo la sensibilità giuridica sul tema dell’ambiente, attraverso un’analisi approfondita dell’evoluzione storica della dottrina internazionale e nazionale fino ai giorni nostri”. Ed aggiunge che “il volume di Giuliano Tallone rappresenta una mirabile sintesi dello stato dell’arte internazionale, comunitario e nazionale. La lettura del libro ci fa comprendere la faticosa evoluzione del diritto dell’ambiente, conducendoci attraverso le convenzioni internazionali che hanno contribuito a cambiare la lettura del rapporto tra umanità e ambiente, fino alla definizione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e gli Accordi di Parigi, rispettivamente di settembre e dicembre 2015, per poi illustrare lo straordinario ruolo dell’Unione europea come fonte del diritto dell’ambiente – tra i più avanzati del mondo – grazie al quale l’Italia beneficia di norme e regole che, data la scarsa cultura ambientale nazionale, difficilmente avrebbe sviluppato da sola. D’altra parte, il volume ci fa comprendere la complessità materia e la durezza dello scontro, non solo ideologico ma pratico, tra sviluppo economico classicamente inteso e la tutela dell’ambiente”.
Un libro quindi che vuole andare oltre l’ordinario contenuto di un “manuale” sulla materia (peraltro molto completo, quasi “enciclopedico” da questo punto di vista), ma cerca di trovare motivazioni più ampie dello sviluppo delle politiche internazionali sull’ambiente, e soprattutto dei loro limiti alla luce dell’attuale crisi globale, sottolineata dal movimento di Greta Thunberg.
Come sottolinea anche Pigi Capone, Presidente dell’AIDAP ma anche giurista, nella Postfazione “ho capito, infatti, di avere tra le mani un manuale originale che, nonostante la mia trentennale militanza nel diritto ambientale, gran parte della quale spesa nel campo della conservazione della natura, avrebbe comunque migliorato il mio bagaglio di conoscenza. Si, perché la principale dote di questo libro è la sua completezza proprio nella parte, giustamente preponderante, della tutela della biodiversità: elemento essenziale per un manuale che si rivolge principalmente agli studenti dei corsi di laurea delle scienze della terra e della natura. C’è però un altro aspetto che fin dalle prime pagine ha risvegliato il mio interesse ed è l’approccio storiografico che permea l’intero lavoro, tanto che più che un manuale di diritto ambientale può essere definito un manuale di politica ambientale, utile anche in altri ambiti e da consigliare a chi spesso senza averne le basi pretende di occuparsene. Giuliano Tallone rivela di essere un naturalista e lo fa quasi giustificandosi per l’invasione di campo nei confronti dei giuristi, io trovo che questa circostanza sia, invece, uno degli elementi di forza di questo manuale. La precisione nella ricostruzione temporale e nell’analisi dei documenti fa pensare al metodo degli storici ottocenteschi, ma in questo manuale c’è anche la ricerca, che appartiene alla storiografia moderna, portata avanti con i criteri delle scienze della natura. L’ambiente non ha confini, come ci ricorda l’autore, come non hanno confini i problemi che ne sono alla base, per questo il diritto internazionale è la principale fonte del diritto ambientale domestico. Questa consapevolezza è presente in ogni trattazione della materia ma raramente, la prevalenza del diritto internazionale è così chiaramente dimostrata come in questo manuale. Lo studente o comunque il lettore di questo testo non avrà mai il dubbio di non riuscire a cogliere l’origine dei problemi e con essa l’origine dei rimedi giuridici”.
Per quanto riguarda la normativa sulla gestione del territorio in Italia, tema sul quale il volume cerca di sviluppare qualche approfondimento, una visione equilibrata tra sviluppo economico, espansione territoriale e conservazione della natura ancora manca nella cultura italiana. Tuttora siamo preda di interessi parcellizzati e devastanti, quasi cinquant’anni dopo la nascita di una sensibilità ambientale diffusa, come dimostrano vicende come quella del Mose, della TAV o del Ponte sullo Stretto, “grandi opere inutili” (come ripetutamente dimostrato), ma sulle quali sono stati spesi fiumi di soldi pubblici con esiti devastanti sul territorio. E una riflessione andrebbe anche aperta sul rapporto tra nuove forme di utilizzo del territorio, con finalità anche ambientali (produzione di energie rinnovabili, solare ed eolico in particolare), e le loro ricadute sugli ecosistemi, che alcuni richiedono “senza limiti”. L’obbiettivo di “Zero Consumo di Suolo”, da molti segnalato come obbligatorio visto l’attuale devastazione del nostro territorio, è ancora lontano.
Dal punto di vista della scrittura ho cercato, soprattutto nei capitoli iniziali e in quelli finali, di raccontare in modo piano – visto anche che nasce con uno scopo “didattico” per gli studenti – da un lato le premesse storiche dell’attuale questione ambientale, e dall’altro i nodi da sciogliere e i problemi non risolti per arrivare a politiche ambientali efficaci. Soprattutto interessante è il “dialogo” finale con Ippolito Ostellino sulle ragioni filosofiche e culturali della crisi globale dell’ambiente. Questo testo è indirizzato a tutti coloro – giuristi, direttori e funzionari di aree protette, guardiaparco, ma anche politici che vogliano interessarsi di ambiente in modo documentato – che vogliano avere un quadro generale chiaro ed approfondito delle principali questioni ambientali del nostro tempo. Poiché gli argomenti vengono sviluppati con una chiave storica e sviluppando i ragionamenti sulle ragioni della nascita delle diverse normative esso può essere affrontato da chiunque anche senza una preparazione specialistica nel settore ed anche dai giovani, anche liceali, che aderiscono al messaggio di Greta Tunberg e che vogliono capirne meglio le ragioni in modo anche approfondito.
La mia intenzione è stata di dare un contributo che cerchi di riaprire una discussione sulle politiche ambientali, che nel nostro paese spesso manca di un approccio analitico e sistematico. Soprattutto oggi i dibattiti avvengono in cinque righe di “tweet” o di post su Facebook, ci siamo disabituati a ragionamenti approfonditi: ma questi costituiscono un elemento centrale di qualunque processo politico che porti a decisioni utili per l’intera società e non solo per la “classe dirigente” ormai disabituata ad un confronto aperto sui temi.
Giuliano Tallone, dottore di ricerca in ecologia e gestione delle sue risorse, è professore a contratto presso il corso di laurea in Scienze Ambientali presso Sapienza Università di Roma, e dirigente della Regione Lazio dove si occupa di turismo sostenibile. È stato in precedenza Direttore dei Parchi Nazionali della Val Grande e del Circeo, dell’Agenzia Regionale dei Parchi del Lazio e Presidente della LIPU-BirdLife Italia, dal 2003 al 2011. È autore di diversi articoli e volumi, tra i quali I parchi come sistema (ETS 2006).