«La Basilicata era lunatica. Proprio. Non lunare, lunatica. D’inverno tutta ingrugnita e malinconica, con quei campi marrone scuro a perdita d’occhio, sfumati all’orizzonte in un velo di nebbia che faceva cadere le braccia. Poi nel giro di un paio di settimane eccola diventare soave e ridente come ci avessero steso sopra un tappeto verde tutto istoriato di fiori, e stavi appena prendendo fiato che te la ritrovavi gialle e arsa come l’inferno…».
Come piante tra i sassi. Imma Tataranni e la storia sepolta
«Due categorie proprio non sopportava: la gente senza personalità, e quelli che ne avevano una diversa dalla sua».
Pubblicato da Einaudi nel 2018, in questo romanzo la scrittrice si confronta per la prima volta con il genere giallo utilizzando questo modo di raccontare anche per denunciare e descrivere la società in cui vive. In questo episodio, la protagonista, il sostituto procuratore Imma Tataranni, è chiamata per seguire le indagini relative al ritrovamento di un cadavere: è un ragazzo di ventidue anni, vestito di nero con una cintura Dolce & Gabbana, mutande con l’elastico che fuoriesce dai pantaloni. Si chiama Nunzio Festa e suo padre è distrutto dal dolore. Con al suo fianco il bellissimo appuntato Calogiuri, Imma combatte il malcostume e il malaffare. Nel corso dell’indagine una ronda di personaggi racconta una società che segue l’innovazione ma che è ancora intenta a digerire il passato, in bilico fra cinismo e intolleranza. E la procuratrice sempre in tacco a spillo non si arrende, ma anzi continua imperterrita nelle sue ricostruzioni per arrivare a scoprire chi ha compiuto l’omicidio di un ragazzo che potrebbe essere suo figlio.
Maltempo
«Vai dove una volta stava il mulino, gira al serbatoio, oltrepassa la chiesa caduta – ecco le loro indicazioni. Come se vivessero in un paese fatto solo di ricordi».
In questo episodio, Imma deve affrontare la scomparsa di una ragazza durante la campagna elettorale per le Regionali. Per tentare di risalire alla verità e cercare di ricostruire il passato per capire il presente, si spinge a Roma. Le sue indagini si compiono tra gli studi di Cinecittà in via di dismissione e la Val d’Agri, da Montecitorio ai vicoli deserti di Craco. Una nuova inchiesta per metterla alla prova, per mettere a frutto le sue capacità professionali e umane che la portano a battersi per risalire alla soluzione dell’enigma.
Rione Serra Venerdì
Ancora un’indagine per la Piemme Tataranni. Il libro prende il nome dal quartiere di Serra Venerdì, quello progettato per portarci gli abitanti dei Sassi dopo l’esodo forzato degli anni ’50. Ma Serra Venerdí diventa Rione Apache, dove si consuma l’omicidio di Stella Gallicchio, sua coetanea, seguito da altri fatti sconcertanti. Imma percorre la Basilicata per ricostruire un omicidio legato a circostanze avvenute nel tempo addietro. Ed è per questo che l’indagine non si dipana solo nello spettacolare sfondo delle Dolomiti Lucane e dei famosi Sassi, ma trae elementi anche dalle memorie del passato, da quello che è stato trasformato e custodito nella forma dei ricordi.
Nel frattempo Imma Tataranni dovrà affrontare anche i suoi sentimenti: inizia a provare qualcosa per il giovane maresciallo, mentre tutto continua a essere avvolto nel mistero. La dottoressa non si dà per vinta, è una di quelle persone abituate a combattere, a risollevarsi con determinazione ad ogni colpo della vita. Così riesce ad arrivare al bandolo della matassa e a risolvere ancora una volta il caso.
A rendere accattivanti le storie raccontate da Mariolina Venezia sono il ritmo serrato, l’umanità e la realtà della sua protagonista, che è una donna in cui tante lettrici sono in grado di riconoscersi, al di là del ruolo professionale. Accanto alla protagonista, una terra affascinante, incontaminata da un lato e sull’onda della globalizzazione dall’altro. Ed ecco che i gialli diventano anche uno spaccato di società e terra brulicanti di contraddizioni che la scrittrice, una vera “signora del noir”, descrive in maniera impeccabile.
«La dottoressa Tataranni, concentrato di ostinazione e cellulite stipati in una gonna tigrata o in una camicia zebrata, che dissimulava i crateri lasciati dall’adolescenza sul suo viso rotondo sotto una coltre poco uniforme di fondotinta, dondolava le gambe sotto il tavolo perché malgrado i tacchi non toccava terra…».
Angelica Sicilia