
Settanta stati, oggi, sono coinvolti in guerre di vario tipo. 800 sono le milizie che operano negli scontri. Potremo vedere in futuro ancora scontri in Cecenia, se le operazioni jihadiste post-siriane seguiranno il loro corso naturale. In Africa ci sono 29 Stati oggi in guerra, con 241 milizie combattenti, in tutto. Lo scontro tra Egitto e Jihad (Isis-Al-Qaeda-Hamas) nel Sinai e nel sud, verso l’Etiopia e la Somalia, sarà probabilmente forte: il Cairo legge le fonti del Nilo come l’asse della propria strategia globale. In Asia ci sono poi 16 Stati in guerra con 173 milizie “operative”. Il fuoco sarà, con ogni probabilità, tra i Rohingya islamici e i buddisti del Myanmar. Ovvero, ci sarà uno spin-off del jihad wahabita in estremo oriente, ai margini, guarda caso, dell’impero cinese. Anche la guerra, pesantissima, degli sciiti Houthy con i sauditi, nello Yemen, cambierà molte equazioni strategiche, e non solo in Medio Oriente.
Quali sono paesi con gli eserciti più forti e meglio armati?
È sempre un problema di rapporto tra le FF.AA. e il sistema politico e economico circostante. La Cina è una ottima Forza Armata, con una dottrina evoluta e un sistema di guerra non-ortodossa, come si chiamava anticamente, molto buono. I russi stanno recuperando rapidamente i vuoti lasciati dalla loro sconfitta non-bellica nella guerra fredda, ma la Siria ha dimostrato che ci sanno fare, se fanno poco. Gli Usa, ovviamente, sono ancora straordinariamente forti, ma l’idea di poter vincere due guerre contemporaneamente in due aree diverse, forse, li perderà. I piccoli Paesi potranno dare buone (o cattive, dipende dai punti di vista) sorprese. Ottima la Forza nordcoreana, anche sul piano convenzionale, buone le FF.AA. indiane, qualche buona sorpresa con il Marocco e, naturalmente, Israele. Che si sta pensando, da tempo, come piccolo Paese, ma dal ruolo globale.
L’Egitto è un paese completamente in mano ai militari?
Si, soprattutto per quel che riguarda anche l’economia civile. Il secondo Canale di Suez è stato costruito interamente da aziende legate ai militari. L’intelligence delle FF.AA. è ancora quella che conta davvero, e che Al Sisi ha diretto a lungo. La deriva antijihadista, e quindi duramente opposta alla Fratellanza Musulmana, che è la vera “Terza Internazionale” del jihad, rimarrà nel DNA dello Stato Profondo egiziano molto a lungo. Poi, Al Sisi non si fida molto degli Usa, che hanno sobillato la “primavera” araba e jihadista che portò alla presidenza del fratello musulmano Morsi, non accetta più la “NATO mediorientale”, il MESA, Middle East Strategic Alliance,pensato contro l’Iran e il Qatar, e teme anche il principe ereditario Mohammed bin Salman, che tiene in mano i sauditi. Quindi, tra isolamento e guerra asimmetrica nel sud e nell’est, ai confini con Israele, l’Egitto non potrà non militarizzarsi ulteriormente.
Qual è la situazione militare dello scacchiere mediorientale?
L’Iraq è ormai del tutto destabilizzato, e solo una grande recessione economica non permette all’Iran di utilizzarlo in pieno. Ma il petrolio iraqeno si vende bene. E Teheran riesce, spesso, a evitare l’embargo Usa. La crisi siriana porterà ad una espansione del potere di Hezb’ollah tra le alture del Golan e il Libano meridionale, e quindi ad un possibile attacco contro Israele. Anche da sud. Il jihad si reinsedierà tra gli interstizi del Fezzan, del Mali, del Niger. Poi, sarà probabile una destabilizzazione dell’asse tra Tunisia e Marocco.
Nel Suo libro Lei dedica spazio anche ai peshmerga: qual è l’importanza delle milizie curde?
Notevole. Hanno combattuto bene contro i jihadisti in Siria, sono collegate con tutte le forze che operano in quel quadrante (compreso Assad) e riusciranno ad evitare che la Turchia separi i suoi curdi da quelli siriani e iraqeni. Hanno un buon rapporto anche con Israele.
In quali condizioni versano le Forze armate del nostro Paese?
Pessime. Sul piano morale e del rapporto con la classe politica, mai abbiamo avuto una dirigenza civile così digiuna di questioni militari, ma anche strategiche e di politica estera. I finanziamenti del 2019 sono il risultato di eccessivi tagli, 60 milioni più 531 tra il 2019 e il 2032. Il morale, come dimostrano alcuni recenti casi, non è dei migliori, ma la efficienza di molti reparti è, miracolosamente, elevatissima.
Dal punto di vista militare, la guerra fredda tra Stati Uniti e Russia è davvero finita?
No di certo. Si è trasformata. Da uno scontro militare-politico ad una lotta geo-economica, con Mosca che vende il suo petrolio e gas come arma e con gli Usa che cercano di destabilizzare le aree in cui gli idrocarburi russi si producono o passano. Ovvio, quindi, che la guerra calda si sia trasferita in Medio Oriente.
Si parla molto poco dei servizi segreti cinesi: come funziona l’intelligence di Pechino?
Diciassette uffici con diverse finalità operative e analitiche, il Ministero per la Sicurezza dello Stato è una sorta di Stato nello Stato, con un diretto collegamento con la Presidenza e la Commissione Militare Centrale. È una intelligence di attacco, con vasti poteri interni ed esterni, e un ruolo di polizia politica e di controspionaggio all’interno del Paese. Si dice sia la quinta migliore Agenzia al mondo, ma temo che, dopo Israele e Federazione Russa, sia la terza intelligence più efficiente nel globo.
Per quale ragione i servizi francesi hanno fallito nella prevenzione degli attacchi jihadisti?
Troppe “riforme”, tese soprattutto a rendere i Servizi la longa manus dei politici, mancanza di esperienza sul campo, mentre noi italiani abbiamo avuto i terrorismi rosso e nero, e i loro danti causa esteri, un frazionismo eccessivo di polizie e intelligence, la fine di una lunga tradizione di straordinari capi dei servizi, da De Marenches a Lacoste. Il Servizio, come tutti i grandi ristoranti (e De Marenches era un esperto gourmet) si basa unicamente sulle speciali abilità dello chef.