“Le grandi epidemie. Come difendersi” di Barbara Gallavotti

Dott.ssa Barbara Gallavotti, Lei è autrice del libro Le grandi epidemie. Come difendersi edito da Donzelli: quanto siamo vulnerabili ai microbi?
Le grandi epidemie. Come difendersi, Barbara GallavottiI microbi responsabili delle malattie infettive, o meglio gli “agenti patogeni”, comprendono batteri, virus o anche esseri formati da una o più cellule, ciascuna con una struttura simile a quella delle cellule che compongono il nostro corpo. Quindi possono essere molto diversi fra loro, ma in tutti i casi c’è qualcosa che li accomuna: i microbi sono nati per vincere. Il loro punto di forza è soprattutto nella sostanziale semplicità della loro struttura. Questa da un lato rende agevole penetrare all’interno dell’organismo da infettare, dall’altro consente la produzione di innumerevoli copie di loro stessi. Prendiamo i batteri: uno di loro, nelle giuste condizioni, è in grado di generare un miliardo di discendenti in poche ore. Non a caso, come ha ricordato Piero Angela nella sua prefazione, i batteri sono stati la prima forma di vita a comparire sulla Terra, ed è molto probabile che saranno l’ultima ad andarsene. E dal punto di vista dell’efficacia nel prendere il controllo del nostro corpo, i virus e gli altri agenti infettivi non sono da meno. Di fronte a nemici così potenti, noi esseri umani, siamo estremamente vulnerabili. È vero che per contrastare le infezioni abbiamo evoluto un sistema immunitario dal meccanismo sofisticatissimo, ma questo funziona al meglio solo se ha avuto il tempo e il modo di svilupparsi nel modo ottimale e se siamo nel pieno delle forze. Bambini, anziani e persone debilitate quindi sono sempre state le vittime predilette degli agenti infettivi. E poi il sistema immunitario può essere messo in difficoltà da agenti infettivi ai quali non è mai stato esposto. Lo ha tragicamente dimostrato il caso delle popolazioni amerindie, le quali dopo la scoperta dell’America vennero falcidiate da vaiolo, morbillo, influenza, tifo, e altre malattie causate da agenti infettivi portati dagli europei. Solo da relativamente pochi decenni siamo riusciti a far davvero valere in questa guerra l’arma migliore a disposizione della nostra specie: l’intelligenza. Grazie ad essa abbiamo sviluppato strategie efficaci per contrastare i microbi, in particolare i vaccini, che permettono addirittura di prevenire la malattia, e gli antibiotici, formidabili contro i batteri. Al momento dunque, per la prima volta nella nostra storia di esseri umani, occupiamo buone postazioni (anche se le malattie infettive continuano a uccidere molte persone, e la comparsa di epidemie causate da nuovi microbi è sempre in grado di metterci in grave difficoltà). Non dobbiamo però illuderci troppo: il terreno guadagnato potrebbe essere perso. Ad esempio, i vaccini potrebbero essere resi del tutto inefficaci dalla decisione di non utilizzarli. E sempre più batteri potrebbero sviluppare resistenza agli antibiotici di cui oggi disponiamo. Dobbiamo evitare che ciò accada e anzi imparare e respingere l’attacco degli agenti infettivi in modi sempre nuovi e più efficienti. Per fortuna, nei laboratori di tutto il mondo la ricerca prosegue. Sappiamo che l’evoluzione spingerà i microbi a superare le nostre attuali difese, e faremo di tutto per non farci trovare impreparati.

I microbi sono probabilmente responsabili, nel corso della storia, di un numero di morti maggiore di quanti ne abbiano mietuto le innumerevoli guerre: quali sono le principali epidemie che si ricordino?
L’epidemia più radicata nell’immaginario collettivo occidentale è probabilmente la peste. Si calcola che tra il 1347 e il 1350 abbia ucciso circa un terzo della popolazione europea, quindi 25 milioni di persone, per poi ripresentarsi ciclicamente fino al 1720, anno dell’ultima epidemia a Marsiglia. Grandi scrittori come Boccaccio e Manzoni sicuramente contribuirono a cementare la memoria della tragedia, anche se le antiche fosse comuni ancora sparse per l’Europa sarebbero più che sufficienti a non farci dimenticare. Molto più labile è invece il ricordo delle grandi stragi avvenute fra le popolazioni indigene del continente americano. Al momento dello sbarco di Cristoforo Colombo sull’isola di Cuba abitavano decine di migliaia di persone appartenenti al popolo Taino. Sei anni dopo, erano ridotti a 500 superstiti e anche considerando le molte vittime della violenza degli occidentali, è certo che a uccidere furono in modo determinante le malattie infettive, in particolare il vaiolo. Il medesimo vaiolo che ancora nel corso del ventesimo secolo causa oltre 300 milioni di vittime. L’Influenza Spagnola provoca tra il 1918 e il 1919 dai 50 ai 100 milioni di morti. E si calcola che dal 1981 a oggi, il virus dell’HIV abbia ucciso circa 35 milioni di persone. Qualsiasi tentativo di elencare le epidemie però è inevitabilmente incompleto. Nel libro ricordo anche i cinque milioni di persone uccise dalla sifilide alla fine del ‘400, o le vittime delle epidemie di morbillo, E un intero capitolo è dedicato al flagello della poliomielite nel ventesimo secolo che è un caso particolarmente interessante perché dimostra quanto sia illusoria .la convinzione che al migliorare delle condizioni igieniche e del benessere le epidemie cessino di emergere. E poi ci sono altre malattie, che pur non essendo mai esplose in maniera devastante hanno sempre strisciato fra gli esseri umani, seminando disperazione. Come la lebbra.

Le armi di cui disponiamo nella lotta contro i microrganismi patogeni, vaccini e antibiotici, sono oggi a rischio: i primi per colpa della disinformazione, i secondi in seguito al loro abuso e alla conseguente antibiotico-resistenza. Come è possibile sfatare i pregiudizi e combattere le convinzioni errate?
In tutti i settori esistono persone che, molto spesso per interesse, iniziano a diffondere informazioni false. Altri poi seguono queste persone, questa volta però convinti in buona fede e così si può creare un effetto valanga dalle conseguenze imprevedibili. I vaccini sono diventati un esempio perfetto di questo meccanismo. Scegliere di osteggiare i vaccini però non è una scelta personale: è come scegliere di avvelenare il pozzo al quale tutti attingono. Le conseguenze si ripercuotono su chi ha compiuto il gesto, ma anche su innumerevoli innocenti, in particolare bambini. Per questo credo sia fondamentale impegnarsi perché questo non avvenga. I vaccini hanno un grosso svantaggio: poiché funzionano, quando sono somministrati correttamente non producono effetti immediati e vistosi. Non stiamo subito meglio anzi, qualche effetto indesiderato è sempre possibile, nonostante si tratti di farmaci sicuri (e comunque immensamente più sicuri del contrarre le malattie da cui proteggono). Semplicemente, grazie al vaccino non ci ammaliamo e anche se questa è una conquista straordinaria, tendiamo a darla per scontata. Per questo penso sia fondamentale guardare al passato, per ricordarci cosa significava essere vittima di una malattia infettiva oggi prevenibile, ed è quello che ho cercato di fare nel libro. Con un occhio sempre al presente però perché innumerevoli storie ci dimostrano come agenti infettivi che immaginiamo come protagonisti di epoche remote sono ancora fra noi. Ad esempio la peste. Per fortuna, le storie moderne rispetto a quelle antiche sono molto più spesso a lieto fine. E poi, soprattutto, per contrastare la disinformazione dobbiamo non smettere di parlare di questi argomenti: di raccontare cosa avviene nei laboratori di ricerca, quali sono le nuove sfide, cosa si sta cercando di fare, perché possiamo considerare sicuri i vaccini e quali sono i reali effetti indesiderati che possono provocare.

Anche dal punto di vista della resistenza agli antibiotici, si sta lavorando moltissimo. Le società scientifiche hanno prodotto nuove linee guida per rendere sempre più efficace il loro utilizzo. Anche in un piccolo studio medico oggi è possibile svolgere analisi rapide del sangue in base alle quali decidere se può essere utile somministrare un antibiotico, e se è consigliabile evitarlo. Nei grandi ospedali in brevissimo tempo si può ottenere un identikit accurato dell’agente infettivo che sta mettendo in difficoltà una persona, in modo da colpirlo con antibiotici mirati, e non generici. Dobbiamo sapere che esistono norme precise per utilizzare questi farmaci e seguirle senza esitazione nel nostro assoluto interesse. E poi, ancora una volta, c’è la ricerca che può consentire lo sviluppo di nuovi farmaci in grado di sfruttare i punti più deboli di un batterio patogeno.

Come nascono vaccini e antibiotici?
I racconti di come sono stati concepiti i primi vaccini, o anche i primi antibiotici, sono fra i più emozionanti della storia dell’umanità: avventure straordinarie che a mio avviso rivaleggiano con quelle vissute da chi ha scoperto l’America, o cercato un Passaggio a Nord Ovest. È impossibile non rimanere affascinati di fronte alla storia della nobile inglese, un tempo bellissima, che dopo essere stata devastata dal vaiolo scopre in oriente una pratica che può aiutare a prevenirlo. E anche se si tratta di una procedura molto pericolosa, non esita a sottoporvi i suoi figli e poi a diffonderla in Europa. Personaggi come questi sono come i primi viaggiatori che si spingono oltre i confini sconosciuti. Poi arrivano i grandi, come Edward Jenner, che raggiungono il traguardo e piantano la bandiera. Ma anche Jenner, come racconto, forse si avvalse di un compagno di viaggio oggi quasi dimenticato. La ricerca dei farmaci moderni invece forse assomiglia di più a un’impresa spaziale, nella quale predomina lo sforzo collettivo, la necessità di altissima tecnologia, il bisogno di sperimentazioni accuratissime e investimenti enormi. Non a caso, la messa a punto di un nuovo vaccino è stata definita “un’impresa tanto complessa quanto far volare uno Shuttle”. E lo studio di nuovi antibiotici non è da meno. Di certo, affacciarsi nei laboratori dove vengono messi a punto i nuovi farmaci è estremamente istruttivo. Scoprire le diverse fasi sperimentali e i molti controlli necessari prima che uno di essi venga considerato sicuro, efficace e messo in commercio, permette di capire perché e fino a che punto possiamo aver fiducia in un preparato. E capire davvero “cosa c’è dietro” porta anche a sbarazzarsi di ipotesi poco realistiche e di mettere a fuoco cosa, come cittadini, vorremmo che fosse reso più efficiente o diverso, a tutela della salute di tutti. Perché non dobbiamo dimenticare che ogni sistema è migliorabile. Dal punto di vista economico poi, molti sono a disagio di fronte al fatto che industrie private traggano profitto da farmaci che servono a salvarci la vita. Solo comprendendo come funziona la produzione di questi farmaci, possiamo renderci conto che per come sono organizzate le cose al momento quel profitto è un elemento inevitabile: se non ci fossero le case farmaceutiche, non avremmo nuovi farmaci. Così come se non ci fossero le grandi produzioni alimentari, non avremmo cibo a sufficienza. Naturalmente è lecito contestare questo sistema o desiderare sia diverso, ma occorre conoscerlo per potere considerare innovazioni che siano realistiche e funzionali.

A che punto è la ricerca per sconfiggere l’AIDS?
Oggi le persone infettate dall’HIV possono disporre di farmaci il grado di tenere a bada il virus, impedendogli di propagarsi e causare i sintomi della malattia. Questi farmaci però vanno presi per tutta la vita, perché il virus resta annidato in alcune cellule, pronto ad andare alla riscossa in caso di sospensione del trattamento farmacologico. La grande sfida quindi è stanare l’HIV dalle cellule in cui si nasconde e distruggerlo, in modo da liberare completamente l’organismo dalla sua presenza e poter finalmente parlare di vera e definitiva guarigione. Moltissimi sforzi si stanno concentrando in questa direzione, e diversi ricercatori ritengono di essere sulla buona strada. Per quanto questo possa suonare come un’ottima notizia, non dobbiamo dimenticare che gli agenti infettivi sono pieni di risorse e un traguardo che sembra essere dietro l’angolo può rivelarsi invece molto più lontano. Al momento dunque non dobbiamo assolutamente abbassare la guardia: l’HIV non è scomparso, anzi i casi di nuove infezioni destano allarme e la necessità di proteggersi non è mai venuta meno.

Come possiamo difenderci dai microbi patogeni?
Come dicevo, a mio avviso una delle migliori difese è l’intelligenza umana che in questo caso si volge verso ricerche che mirano a comprendere sempre meglio il funzionamento degli agenti infettivi e ad approntare nuove strategie per contrastarli. Sostenere questa ricerca credo sia un compito fondamentale di ciascuno di noi. Sostenerla vuol dire in primo luogo evitare di osteggiarla, nell’assurda convinzione che i “microbini” siano nostri “amici”. Anche la conoscenza generalizzata e di base degli agenti infettivi è di enorme aiuto, perché consente a ciascuno di noi di capire quali sono i comportamenti migliori che possiamo adottare individualmente, e cosa invece occorre assolutamente evitare di fare. E poi forse, una difesa risiede nella capacità di indirizzare correttamente la nostra paura. Tutti noi abbiamo paura di essere ingannati, o anche di farci iniettare qualcosa in un momento in cui godiamo perfetta salute e non abbiamo immediato bisogno di alcun farmaco. Lo sforzo di razionalità necessario per superare queste paure istintive, e dirigere invece il timore verso qualcosa di impalpabile come un microbo invisibile che in quel momento probabilmente non è neppure presente, può essere enorme. Ma dobbiamo farlo, ne va della nostra sopravvivenza.

Il libro è prefato da Piero Angela, col quale Lei collabora essendo autrice di Superquark, oltre che di Ulisse: qual è il segreto del successo dei Vostri programmi e della sfida, apparentemente ostica, di fare cultura in TV?
Piero Angela ha sempre sottolineato l’importanza di essere rigorosi nei contenuti, ma totalmente dalla parte del pubblico per quel che riguarda il linguaggio. La curiosità è parte della natura umana, tutti siamo interessati a ciò che avviene nella scienza, o nell’arte, o in molti altri campi. Necessariamente, non possiamo essere esperti di tutto, ma possiamo tenerci aggiornati e scoprire qualcosa che non sappiamo in ogni momento disponibile. Se ci riusciamo, l’emozione è fortissima. Seguire ciò che avviene nella ricerca scientifica se non lo si fa per lavoro però non è facile, perché soprattutto nell’ultimo secolo la scienza ha sviluppato un linguaggio proprio. Se però si va nocciolo delle cose, non mi è mai capitato di incontrare un tema che non potesse essere spiegato con parole di uso comune e in modo colloquiale. Ed è semplicemente questo ciò che noi facciamo: andiamo al cuore delle ricerche, e raccontiamo ciò che vediamo con parole nostre e con l’enorme supporto di immagini realizzate con estrema cura e abilità da chi si occupa della regia, delle riprese, del montaggio e così via. Di nostro aggiungiamo però anche una capacità professionale che sta nel fare collegamenti fra discipline ed eventi diversi, in modo da comporre delle storie con un valore in più. Rispetto ai ricercatori infatti, giornalisti e comunicatori scientifici hanno in genere una migliore “panoramica” che consente di narrare in maniera diversa da come farebbe uno scienziato. E poi noi siamo davvero dalla parte del pubblico: non stiamo raccontando il nostro lavoro, ma quella parte del lavoro altrui che interessa tutti. È un po’ come ascoltare la cronaca di una partita da un giocatore che è nella squadra o da un cronista. Per quanto noi stessi amiamo le cose di cui parliamo, dobbiamo essere obiettivi, e questo credo si senta.

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