
Ma andiamo con ordine. Innanzitutto, oggi sappiamo che mondo del pensiero/ ragione e mondo dell’emozione non sono due polarità contrapposte, bensì dimensioni della nostra mente e del nostro cervello in profonda interconnessione; esiste una logica e una forma di coerenza in entrambi, pur con regole e modalità di funzionamento diverse. Di certo non riusciamo a capire l’una senza considerare anche l’altra.
Le posizioni più accreditate nel panorama della disciplina psicologica vedono l’emozione come un fenomeno che è alimentato da più componenti e che per questo viene chiamato pluricomponenziale. Cosa significa? Innanzitutto, significa che per capire in modo accurato l’emozione dobbiamo considerare tutte le componenti che sono in gioco; considerarne solo alcune a discapito di altre potrebbe portare a interpretare scorrettamente o perlomeno in maniera parziale ciò che stiamo vivendo. Le componenti formano infatti gli ingredienti essenziali del prodotto finale che è l’emozione che proviamo, ma non tutte sono “visibili agli occhi” ossia non tutte sono immediatamente percepibili. Pensiamo ad esempio a ciò che accade nel nostro corpo quando proviamo un’emozione: cambiano gli ormoni, le connessioni neurali, il nostro sistema nervoso autonomo reagisce in maniera involontaria. Perfino l’espressione dei nostri geni ne è influenzata. Si tratta di una componente, definita comunemente nella letteratura specialistica come arousal o attivazione neurofisiologica, di cui siamo in gran parte inconsapevoli. È interessante sapere che siamo fatti in maniera diversa gli uni dagli altri: alcuni hanno maggiore attenzione e coscienza degli stati del corpo che accompagnano l’emozione, altri non si accorgono o perlomeno se ne accorgono in misura ridotta e sono attraversati dalle emozioni in maniera potremmo dire più silenziosa. Nel libro mostro come sono fatte queste componenti e quanto sia importante che “si parlino tra loro”, e cosa accade quando questo succede in maniera imperfetta o parziale. Ci sono effetti sul nostro benessere e sulla nostra salute
Quali sono le principali teorie e i modelli interpretativi delle emozioni più diffusi?
Oggi i modelli che illustrano e spiegano come funzionano le emozioni sono più di uno, e questo ha il vantaggio di consentirci di evidenziare le proprietà emergenti del fenomeno emotivo. Un modello è necessariamente una semplificazione, ma tutti i modelli oggi accreditati a livello scientifico mettono in luce la funzione di adattamento delle emozioni nella nostra vita; l’emozione non è solo perturbamento, interruzione e perdita del controllo razionale, ma è anche come dicevo prima accompagnamento e svelamento dell’esperienza. Senza le emozioni i codici dell’esperienza non sarebbero comprensibili. Uno dei modelli centrarli è infatti un modello che sottolinea la componente di valutazione dell’esperienza implicata in ogni atto emotivo; si chiama modello dell’appraisal – o valutazione- e spiega come si distingue la valutazione che facciamo in modo perlopiù automatico mentre proviamo un’emozione rispetto alle valutazioni che utilizziamo quotidianamente. L’appraisal è una “hot cognition”, una valutazione “calda” che ci orienta e a sua volta è orientata dai nostri interessi prevalenti; un po’ come se l’emozione costituisse un motore prepotente delle nostre azioni e dei nostri pensieri. Le emozioni infatti hanno sempre e di natura un carattere prepotente e sta all’educazione imparare a regolarle. Su quest’ultimo tema ci sono interessanti considerazioni da fare dal punto di vista evolutivo; il modo in cui cresciamo e ci trasformiamo insegna molto rispetto alle potenzialità della gestione o regolazione emotiva. Citare tutti i modelli non è obiettivo della mia risposta, ma sicuramente oggi dobbiamo rivolgere la nostra attenzione alle affective neuroscience ossia ai modelli che ci spiegano il funzionamento emotivo e sociale partendo dai meccanismi cerebrali e dai meccanismi di adattamento che ne derivano; un’avventura affascinante che ci fa capire come le emozioni siano implicate in tutte le attività mentali, ben prima della consapevolezza e del linguaggio. Nel libro mi occupo anche del nostro “secondo cervello emotivo” che è l’intestino, con milioni di neuroni e sostanze neurochimiche analoghe a quelle dei neurotrasmettitori cerebrali
In che modo le emozioni incidono sul benessere psicologico?
Mi ricollego per rispondere a questa domanda ai modelli di cui abbiamo appena parlato. Il benessere o malessere dipendono da più fattori, potremmo dire almeno tanti quanti ne sono evidenziati dai modelli scientificamente accreditati. Ne cito qualcuno a scopo esemplificativo.
Un fattore centrale per il benessere emotivo è un buon funzionamento della regolazione emotiva; se per qualche ragione nella nostra crescita qualcosa è andato storto sotto questo profilo, gli sviluppi emotivi diventano “atipici” e portano con sé limitazioni funzionali e in genere sofferenza. Nel libro offro più di un esempio a questo proposito. Su questo conta molto ciò che accade precocemente quando il bambino, ancora non capace di esprimersi con il linguaggio, instaura con la persona che se ne prende cura un dialogo fitto e “regolato” da ritmi e dai modi di intervenire dei due interlocutori; è da lì che costruiamo il sistema di vigilanza, allerta oppure rilassamento nelle nostre interazioni, che “sentiamo” lo spazio che possiamo occupare in una relazione. Ci sono genitori che parlano “con il bambino” e genitori che parlano “sopra il bambino” oppure “senza il bambino”. E le emozioni di quest’ultimo prendono forma in funzione di queste esperienze precoci.
Un altro aspetto che mi piace citare, e che pur intuitivo non trova in genere spazio adeguato, è la corrispondenza biunivoca tra interno ed esterno; non solo le emozioni esprimono nostri stati interni ma anche le espressioni del volto, il tono della voce, la postura del corpo cambiano gli stati interni e incidono perciò sul nostro benessere. Provate a abbozzare un sorriso quando vi sentite tristi e osservate i cambiamenti nella vostra emozione; possono essere sorprendenti.
Alimentazione, attività fisica, contesti di sviluppo, relazioni con gli altri e nostre caratteristiche individuali, sono tutti fattori che incidono sul benessere di ciascuno di noi
Cosa succede nei casi in cui il benessere psicologico è minacciato da eventi ambientali o contesti di difficoltà e rischio?
È una domanda molto ampia e quello che possiamo dire oggi, grazie ai progressi della conoscenza scientifica, è che riusciamo a dare risposte sempre più puntuali e circostanziate. Nel libro affronto la questione nella sezione dedicata agli sviluppi atipici, presente in ciascun capitolo. Intendo dire che per poter rispondere in modo affidabile dobbiamo parlare di contesti specifici di età delle persone coinvolte e di durata delle condizioni di rischio, nonché della dotazione individuale di ciascuno. La psicologia ha adottato un termine che ben spiega cosa vuol dire dotazione individuale; sin dalla nascita i bambini si distinguono in bambini “dente di leone” e in bambini “orchidea”: i primi sono meno permeabili e suscettibili all’ambiente, ossia hanno minori conseguenze sia che si trovino in ambienti positivi che negativi, i secondi invece risentono di più di ciò che li circonda e traggono perciò massimo vantaggio dagli contesti positivi e massimo svantaggio dai contesti negativi. Si tratta di caratteristiche individuali di natura neurobiologica, che “filtrano” ciò che può accadere in contesti di difficoltà o di rischio. Quando parliamo di fattori o circostanze di rischio è inoltre importante tenere conto dell’età della persona e del contesto in cui i fatti avvengono; non è la stessa cosa subire la perdita di un genitore a due anni piuttosto che a dieci, oppure fare esperienza di abuso o maltrattamento in età precoce piuttosto che da adolescenti. I segni e le conseguenze che ne derivano sono riparabili con probabilità diverse.
Come si articola lo sviluppo emotivo, relazionale e sociale in ciascun periodo dell’arco di vita?
In maniere diverse; e conoscerle fa la differenza. Si evitano discorsi generali o opinioni generalizzanti che poco aiutano ad affrontare con efficacia le situazioni specifiche. Ho impostato l’intero volume con un taglio evolutivo; ogni capitolo riguarda un periodo dello sviluppo: infanzia, fanciullezza, adolescenza età adulta e età avanzata. Abbiamo molto da imparare essendo specifici. Un esempio per tutti: in adolescenza il modo di funzionare del cervello, la sensibilità e il pensiero dei ragazzi cambia in modo caratteristico. I genitori si trovano a “decifrare un codice” perché linguaggio atteggiamenti e modo di ragionare dei loro figli cambia e si rischia di non riconoscerli più. Nel libro descrivo come funziona il cervello a “due velocità” dell’adolescente, e quali conseguenze ha per il modo di prendere decisioni, per i comportamenti di rischio e anche per la sensibilità al giudizio sociale che tanto conta in quell’età. In questo le neuroscienze affettive ci stanno offrendo chiavi di lettura davvero interessanti. Aiutano genitori, insegnanti ma anche i professionisti della salute mentale a capire meglio il funzionamento emotivo e a progettare interventi che funzionano
Quali fattori determinano i vari percorsi nell’ambito dello sviluppo tipico e di quello atipico?
I fattori dello sviluppo tipico non sono così diversi da quelli che determinano quello che chiamiamo sviluppo atipico. Ciò che cambia è la combinazione tra di loro, che segue destini diversi. Nel libro ripercorro per ogni epoca della vita scenari di sviluppo atipico che si impongono all’attenzione o per il loro crescente aumento o per l’importanza delle conseguenze che esercitano sul benessere individuale. Parliamo della prematurità, dell’adozione, dei problemi alimentari, dei comportamenti di rischio, dei problemi comportamentali e dei funzionamenti genitoriali estremi come il figlicidio, solo per citarne alcuni.
Per tutti il valore aggiunto è quello di poter contare su un osservatorio che coniuga i dati della ricerca più recente con l’osservazione clinica, riuscendo perciò a offrirne un quadro aggiornato e stimolante. La lezione che costituisce un po’ la sinossi di quanto abbiamo detto fino a qui, è che l’emozione non è un’entità fissa; non possiamo mappare l’emozione come se fosse un’entità fissa. Dobbiamo considerarla un’entità complessa, dinamica e che si modifica nel tempo. Un tempo costituito dalla crescita individuale e dalle traiettorie evolutive, ma anche un tempo più sottile, che si esprime negli scambi tra le persone che avvengono in contesti diversi, e dai quali ancora molto possiamo imparare per conoscere il mondo dell’emozione.
Lavinia Barone, psicologa e psicoterapeuta, è Professore Ordinario presso l’Università degli Studi di Pavia, dove dirige il Laboratorio per la psicologia dell’Attaccamento e il sostegno alla Genitorialità-LAG (http://lag.unipv.it). Autrice di numerose pubblicazioni scientifiche, studia lo sviluppo sociale ed emotivo, con particolare attenzione alle relazioni familiari, all’attaccamento, alla valutazione dei fattori di rischio presenti nelle diverse fasi della vita e alla genitorialità. Da anni sviluppa e promuove l’applicazione di interventi evidence based.