
Come si organizzarono i partiti monarchici all’indomani del 2 giugno 1946?
I partiti monarchici che avevano animato la battaglia referendaria risentirono, ovviamente, della sconfitta della corona in occasione del 2 giugno 1946. Essi si organizzarono in tre tronconi, il Partito nazionale Cristiano, il Partito nazionale del lavoro e il Partito nazionale monarchico: di questi solo il terzo sopravvisse, avendo la necessaria forza politica e anche un certo retroterra organizzativo che gli permise di assorbire gli altri gruppuscoli monarchici. Alfredo Covelli e Achille Lauro, soprattutto dopo le elezioni politiche del 18 aprile 1948, diedero al Partito un settimanale politico e un’organizzazione ramificata sul territorio nazionale che gli permise di svolgere un ruolo rilevante per tutti gli anni Cinquanta, caratterizzando la sua azione per la volontà di inserirsi su posizioni conservatrici nell’alveo governativo e puntando all’indizione di un secondo referendum istituzionale.
Su quali posizioni nacque e si organizzò il Movimento Sociale Italiano?
Il Movimento sociale italiano nacque rivendicando l’esperienza della Repubblica sociale italiana, ossia l’ultima vicenda politica di Mussolini. Esso si affermò dopo un dibattito apertosi su alcune testate giornalistiche capitoline e si impose su una frastagliata galassia neofascista che, da Nord a Sud, animò il paese nel dopoguerra. Il forte legame con l’esperienza repubblicana del fascismo, non impedì che all’interno del Movimento rifluissero istanze e culture variegate che, in definitiva, rappresentavano la stessa complessità ed eterogeneità che aveva caratterizzato il regime fascista. Certo la prima segreteria Almirante (1947-50) fu caratterizzata da un forte richiamo ai valori repubblicani e, quindi, all’anima sociale dell’esperienza della Rsi; caratterizzazione quanto mai necessaria per consentire al movimento di divenire il punto di raccordo di quanti quell’esperienza avevano vissuto, garantendo la sopravvivenza al Movimento stesso. Certo è che Almirante si rese ben presto conto delle difficoltà dell’azione politica in un contesto così ostile ai valori del fascismo e, malgrado le molte parole d’ordine e le iniziative eclatanti, si pose il problema politico di fondo: cosa fare dell’eredità del fascismo e come agire nell’Italia repubblicana e democratica. Cercare di risolvere questi problemi, però, non toccò a lui, bensì ai due segretari che si succedettero dal 1950 fino al 1969, De Marsanich e Michelini, che puntarono a una strategia di “normalizzazione” del Msi con l’obiettivo di entrare stabilmente nell’area di governo, rinunciando, dunque, al rivoluzionario carattere iniziale, almeno a parole, del Movimento.
Come si sono articolati i tentativi di realizzare una Grande Destra nel corso degli anni Cinquanta?
In effetti, i tentativi di realizzare una Grande destra si sono articolati per tutti gli anni Cinquanta e hanno visto come protagonisti il Partito nazionale monarchico e il Movimento sociale italiano. I tentativi furono sostanzialmente due. Nella prima metà degli anni Cinquanta, infatti, sull’onda della recrudescenza della Guerra di Corea e dell’azione portata avanti dalla Dc, la destra si avvalse dello spostamento dell’elettorato su posizioni maggiormente conservatrici. In questa fase i due partiti diedero vita al Blocco delle forze nazionali che ottenne un discreto successo in occasione delle elezioni del 1953, portando al fallimento della cosiddetta Legge truffa. L’obiettivo ultimo era quello di condizionare la Dc e cercare di spostare in senso conservatore l’asse politico italiano.
Il secondo tentativo prese corpo tra il 1956 e il 1958 con il progetto di Grande Destra che, includendo anche il Pli e altre formazioni come l’Unione Combattenti d’Italia di Giovanni Messe, puntava a realizzare un grande rassemblement a destra della Democrazia cristiana che avesse l’obiettivo, oltre quello di entrare nella stanza dei bottoni governativi, di convincere la Dc a non aprire al Psi, cosa che sembrò sempre più probabile a partire dalla seconda metà degli anni ’50. Entrambi questi progetti, però, non riuscirono a superare la strutturale subalternità della destra nei confronti della Dc, né a recuperare quella delegittimazione ideologica in cui ricadevano partiti che si richiamavano a passati politici e istituzionali ormai superati.
Quali testate giornalistiche hanno animato il dibattito in campo conservatore?
Malgrado quello che si può ritenere, l’area di destra fu animata da molte testate giornalistiche e da molte riviste che svilupparono un dibattito particolarmente vivace. In prima battuta direi che l’esperienza de Il Borghese, sia nella versione di Leo Longanesi che in quella di Mario Tedeschi, e quella de Il Candido di Giovanni Guareschi svolsero un ruolo significativo, pur essendo esperienze giornalistiche differenti. Entrambe le testate cercarono di dare voce a un pensiero di destra nell’Italia del secondo dopoguerra, sia per i temi trattati sia per la collaborazione di firme ed autori importanti della cultura del periodo. Ci furono, poi, i grandi rotocalchi come Oggi e Gente che, seppur non connotati politicamente, favorirono la circolazione di tematiche che chiaramente possono essere collocati sul versante conservatore. Infine, meritano una particolare attenzione le testate di partito, come Italia Monarchia, Lotta Politica e Il Secolo d’Italia, che furono strumenti di battaglia politica e le molte riviste, soprattutto di area missina, da Il Conciliatore di Peverelli a Nazione Sociale di Massi, da La voce della fogna di Tarchi alla rivista femminista Eowyn. Insomma, un panorama culturale vivo e a tratti contestativo della linea ufficiale del partito che sfata il mito della mancanza di un’elaborazione culturale a destra.
Quale percorso ha condotto il Movimento sociale italiano alla trasformazione in Alleanza nazionale?
La trasformazione del Msi in An è stato un processo molto veloce, frutto dell’abilità politica e culturale di tre attori principali: Gianfranco Fini come segretario del Msi, da un lato, e Giuseppe Tatarella e Domenico Fisichella, dall’altro, che furono i patrocinatori dell’idea di realizzare un grande contenitore, appunto Alleanza nazionale, che potesse raccogliere tutte le anime della destra, anche quelle che non si richiamavano direttamente all’esperienza del fascismo o della Rsi. Questi tre attori cooperarono e condivisero questo progetto di allargamento dell’area di destra che cominciò a concretizzarsi sin dall’inizio degli anni Novanta, ma che prese corpo definitivo in occasione delle elezioni amministrative del 1993. In effetti, l’adozione della legge elettorale maggioritaria per l’elezione dei comuni e il progressivo sgretolamento del sistema dei partiti uscito dalle vicende della guerra, fece sì che il Msi ottenesse una nuova agibilità politica. L’endorsement di Berlusconi a Fini in occasione delle elezioni del 1993 e il successivo coinvolgimento della destra post fascista nelle alleanze disegnate dal patron della Fininvest accelerò il processo di trasformazione, che poté dirsi concluso con il Congresso di Fiuggi del gennaio 1995 e la nascita di An.
Che rapporto è intercorso tra destra e neofascismo?
A lungo si è creduto nel secondo dopoguerra che il neofascismo rappresentasse tutta la destra italiana. In realtà, all’indomani del crollo del fascismo quel gran contenitore di destre che fu il regime liberò di nuovo quelle culture politiche che erano confluite in esso nel corso degli anni. Così, il tradizionalismo cattolico, il liberalismo conservatore d’ispirazione sonniniano-salandrina, l’esperienza del socialismo nazionale, il legittimismo dinastico ripresero la loro autonomia, collocandosi nello scenario partitico del secondo dopoguerra. E se alcune di queste culture parteciparono, seppur in posizioni minoritarie, all’area della governabilità dell’Italia repubblicana, e penso al liberalismo, alla destra dc e a una parte del socialismo, altre, come quella neofascista e monarchica, restarono ai margini del sistema, collocandosi alla destra di esso e vivendo in una condizione di minorità dovuta alla teorizzazione dell’arco costituzionale. Dunque, l’area di destra si restrinse fondamentalmente solo ai missini e ai monarchici; dopo l’eclissi del monarchismo come movimento politico organizzato e la confluenza di quello che restava nel Msi (1972), solo questo Movimento ha rappresentato la destra politica. Solo con lo sgretolamento del sistema avvenuto sull’onda di Tangentopoli le varie anime della destra ebbero la possibilità di riacquistare la propria autonomia e riconoscersi, o meno, nell’esperienza di Alleanza Nazionale. Dunque, se il neofascismo rappresentò la destra italiana nel secondo dopoguerra ciò fu dovuto a una serie di contingenze determinate dal quadro politico uscito dalla sconfitta militare, dalla delegittimazione dello stesso concetto di destra e da un sistema che si era strutturato sulla base della formula centrista e della teoria dell’arco costituzionale che impediva alla destra, anche a quella non neofascista, di avere i crisi della governabilità.
Andrea Ungari è professore ordinario di Storia contemporanea presso la Facoltà di Lettere dell’Università Guglielmo Marconi, dove insegna anche Storia delle relazioni internazionali. È docente a contratto di Teoria e Storia dei partiti e dei movimenti politici presso la Luiss Guido Carli. Direttore della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice, il suo campo di interesse principale è la storia d’Italia con particolare attenzione agli aspetti politici, militari e culturali.