
Questa sconclusionata ricostruzione della drammatica notte in cui, dopo aver fatto arrestare Geppetto, Pinocchio uccide il grillo parlante e si brucia i piedi, contiene la chiave di un segreto. E cioè che Collodi, pur essendo convinto di aver scritto, con Le avventure di Pinocchio, un libro per ragazzi, in realtà ha scritto soprattutto un libro sui ragazzi, e che questo è il motivo per cui, per più di cent’anni, è stato il libro più venduto nel mondo dopo la Bibbia. Libro sui ragazzi perché, oltre a deliziarci con le sventate marachelle del burattino parlante, ci introduce nella lingua e nel pensiero – liberi, disordinati e illogici – di chi non ha ancora una personalità adulta, e si esprime con gli strumenti della fantasia un po’ magica e un po’ onirica tipica dei bambini.
Bisogna aggiungere che quello che ci portiamo dentro della nostra infanzia e della libertà ludica di un’età in cui non si hanno responsabilità ci permette di rileggere, nelle avventure del burattino, i momenti più esaltanti del periodo più felice della vita. Quello in cui possiamo delegare agli adulti il compito di preoccuparsi delle convenienze sociali, dei doveri morali e dell’integrazione nel sistema del lavoro, mentre ci appropriamo del mondo con le esperienze un po’ selvagge che riusciamo a fare sottraendoci al controllo degli educatori. Pinocchio, come tutti i bambini, è assetato di conoscere e sperimentare, di muoversi liberamente anche nelle zone vietate e pericolose della vita. Ecco perché siamo sempre tentati di perdonarlo, anche quando dimostra di essere crudelmente insensibile, indifferente al dolore di chi gli vuol bene, dimentico di chi lo ha beneficiato e lo ha coperto di attenzioni.
Pinocchio è immortale perché il suo protagonista esiste prima ancora che noi lo si legga. Come nel libro, quando Pinocchio entra nel teatro dei burattini loro lo riconoscono subito, malgrado Geppetto abbia finito di piallarlo poche ore prima, così quando lo vediamo tentato dal gatto e la volpe riconosciamo in lui il sogno di ognuno di diventare ricchi in un sol colpo; sogno infantile che però ci portiamo dentro a lungo. Come ci portiamo dentro la fantasia che non occorra né studiare né lavorare per vivere, che esista un paese dei balocchi dove si può restare sempre bambini (anche Peter Pan vive in quel sogno), che in fondo rubare un po’ non sia un grave peccato, e così via. Tutte fantasie infantili, che però spesso condizionano anche il comportamento degli adulti, specie quando hanno la sensazione che il potere li metta al di sopra di leggi e regole etiche.
Il genio di Collodi riesce a mettere assieme la rappresentazione dello schema classico delle fiabe di formazione, quelle nelle quali gli eroi devono superare una serie di prove per diventare adulti, e magari ricchi e felici, con la morale pedagogica e la satira sociale. Pinocchio deve imparare che non si dicono bugie, non si ruba, che la vita costa fatica e che nulla è gratuito; ma insieme che la giustizia può essere iniqua, la polizia miope, i mascalzoni ricchi e potenti, la società crudele e gli uomini duri e violenti. E che alle volte anche le bugie sono necessarie, e le dicono pure gli adulti.
Vedere il giudice scimmione che ordina ai gendarmi «Questo burattino è stato derubato, mettetelo dunque in prigione», e poco dopo il carceriere che, per un’amnistia, libera i malandrini ma non vuole liberare Pinocchio perché «non è del bel numero», fa pensare a un fondo di qualunquismo, o quanto meno di forte sfiducia nelle istituzioni. Ma Collodi parla dello stato postunitario, ancora incerto nel suo cammino e, in parte, si sta prendendo gioco dell’antico spirito italico, pronto a trovare scappatoie proprio lì dove un potere arbitrario finisce per mettere in crisi la credibilità di un paese. «Sono un malandrino anch’io», mente Pinocchio, per usufruire anche lui dell’amnistia. E i gendarmi lo fanno uscire togliendosi il cappello. Non è vero. Ma è una bugia a fin di bene e, per una volta, il naso di Pinocchio non si allunga.»
tratto da I cento libri che rendono più ricca la nostra vita di Piero Dorfles, Garzanti